Il piccolo Hans - anno XIII - n. 49 - gen./mar. 1986

una confusione primordiale tra l'Io e la Cosa, l'uomo postmoderno è l'uomo arcaico. Come aveva già capito la Stein, quando disse: «L'America è l'arcaico moderno», e l'America, noi sappiamo, è l'epoca postmoderna. La quale è l'epoca in cui, come ai primordi, è la Terra che fonda l'uomo, lo comprende, e lo mantiene in sé. Così a lui che è mantenuto, tutto rimane estraneo, impenetrabile, esattamente come al primitivo. E come il primitivo l'uomo postmoderno ricade nell'animismo, e nell'oggetto affiora un'autonomia che disorienta ogni gerarchia umanistica. È così che l'uomo postmoderno giunge a una umana, troppo umana, umanissima democrazia. Solo che a chi chiedesse se questa umanissima creatura postmoderna è ancora un uomo, io credo che difficile sarebbe rispondere con certezza. Forse qui davvero è la fine di ogni umanismo, di ogni sua immagine, e tradizione. È questa cura forse la domanda autentica che dal postmoderno, dalla sua favola, noi sentiamo venire a noi, perché noi ne accogliamo il pensiero: si tratta, forse, di pensare la fine dell'umano, dell'humanitas dell'homo humanus. O è solo· la fine della sua sacra rappresentazione? Della sua sacra famiglia? Nadia Fusini NOTA ' Qui e più oltre faccio riferimento a due testi oltremodo famosi di John Barth: La letteratura dell'esaurimento (titolo originale: The literature of exhaustion) che comparve su «The Atlantic», agosto 1967, e La letteratura della pienezza (titolo originale: The literature of replenishment: postmodernist fiction) che comparve su «The Atlantic», gennaio 1980. Entrambi si possono trovare, tradotti da Paola Ludovici, nel numero 7 di Calibano, dedicato appunto alla letteratura postmoderna americana, Roma 1982. 81

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