Il piccolo Hans - anno XIII - n. 49 - gen./mar. 1986

L'eredità postmoderna Notava Borges in un suo racconto: «Un libro non è un'entità isolata. È relazione: è l'asse di innumerevoli relazioni». È da qui credo che si debba partire per leggere quel crocevia di forme, e differenti generi, quell'ibrido assoluto, quella forma autenticamente bastarda che è il romanzo postmoderno americano. Anche per esso, come per ogni narrazione, sarà dunque questione di rapporti: di rintracciare le trame nascoste, o superficiali, entro cui scorrono le immagini e i messaggi, e si orientano leggi di trasmissione, di eredità, di debiti e di prestiti. Colpisce subito allora una qual certa predisposizione della postmodern fiction a tenersi entro una serie di coordinate orizzontali, come dimentica di movimenti in altezza e in profondità che legano i differenti testi, anche se è vero che già nel post di postmodern emerge una certa relazione con una profondità temporale; o meglio, una certa anteriorità, che definisce la cosa stessa postmoderna nel senso di segnarne l'arrivo ritardato. Nel post di postmodern, in quel prefisso, si condensa per la verità tutto il senso preterito di ciò che, presentandosi oggi, presenta soprattutto la propria posterità. Perché quel post soprattutto questo indica, che il nuovo non c'è: rispetto al modern quel post non rinnova nulla. Solo semplicemente viene per l'appunto dopo. V'è dunque in quel prefisso che prefissando suffissa, 69

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