Tutto ciò ricorda per qualche verso il paradosso che pongono ai sociobiologi gli altruisti i quali, proprio per la loro propensione a sacrificarsi, dovrebbero rapidamente scomparire a vantaggio degli egoisti. Ma, invece, i seguaci dello zen non sono affatto scomparsi. Anche prescindendo dalle premesse indiane, si registra una improvvisa fioritura e istituzionalizzazione dello zen (con il nome di ch'an) in Cina a partire dal V0 secolo; una sua profonda influenza su tutta la cultura cinese sotto i T'ang e sotto i Sung; una diffusione negli altri paesi est-asiatici come la Corea e il Vietnam; una nuova esplosione nel Giappone di Kamakura (solo qui, propriamente, come zen); fino a raggiungere il nostro secolo e le spiagge californiane. Ma non è tutto. Al centro delle sette e delle. scuole zen campeggia l'istituzione del Patriarcato (espressione, forse non felicissima, con cui si è soliti indicare il vertice dell'organizzazione monacale e la sua continuità nel tempo: cin. tsu-shih, giap. soshi) che disegna una ininterrotta dinastia intellettuale e spirituale risalente sino al Buddha. Questa continuità è garanzia irripetibile di autorevolezza e di verità e suggerisce quindi, almeno implicitamente, persino una esigenza di ortodossia. E non è dubbio che l'ortodossia esiga quanto meno una risposta abbastanza precisa sul che cosa, come e perché debba trasmettersi nel campo del sapere. Lasciamo dunque i diretti interessati ai loro ambigui dinieghi e vediamo piuttosto, storicamente, come la insopprimibile tensione tra l'imperativo a predicare e a insegnare e l'impossibilità di ogni discorso sia stata vissuta dallo zen nel quadro della cultura est-asiatica di cui costituisce uno degli aspetti non solo più tipici e singolari, ma anche di particolare rilievo. Si prospetta subito una contrapposizione di fondo, carica anche di valenze simboliche. È vero che proprio �n un recentissimo studio Hsueh-li Cheng ha voluto mettere in rilievo alcuni debiti dello zen nei confronti del confuciane132
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