pe da cui derivano tutte le altre, l'atto della fede, autentica dinamica dell'allegoria. Da una concezione puramente logica della similitudine (Convivio, III, XIV), che aveva per scopo la costituzione di un sapere filosofico, Dante arriva a una concezione dinamica- della similitudine quando la interpreta come atto della fede. Glielo riconosce S. Pietro stesso: se sulla Terra si ragionasse come Dante fa, le tormentose e alienanti interpretazione logiche della filosofia non avrebbero più «loco»33 • All'inchoatio nella somiglianza; il negativo di questo atto, corrisponde nella similitudine la sospensione del pensiero, aposiop_ esi, tra un membro e l'altro della similitudine - una luce negativa, che fa pensare, che costituisce la dinamica strutturante il testo. «Fede è sustanza di cose sperate/e argomento delle non parventi» (XXIV, 64-65): qu�sta è la risposta di Dante: fede, in positivo, è l'essenza delle cose verso cui ci si orienta, e - contemporaneamente, poiché la loro impronta è stampata in negativo come nostra inchoatio - il pensiero orientato attraverso il quale raggiungerle. Come l'inchoatio è il principio che lega per somiglianza a tutto l'universo, da Dio alle creature umili; così l'aposiopesi, l'impronta della fede stampata nel pensiero come privatio del pensiero, è un ponte dinamico che lega i due membri della similitudine, in modo che fra fede e ragione non c'è barriera - mentre tutto il mondo medioevale, ma non i francescani, l'ha vista, e si è diviso, chi da una parte e chi dall'altra, con i relativi «sofismi». L'iperbato - che si potrebbe definire come una mise en abyme della similitudine, una similitudine vivente, teatralizzata - come figura dell'aposiopesi, potrebbe essere immaginato come un porre in controluce, uno schermare la luce troppo forte alla quale il pensiero si adatta solo in negativo, gradatamente - anzi, da cui il pensiero nasce solo perché «motivato» di fronte a un negativo. Difatti la rosa mistica potrebbe essere appunto interpretata non co101
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