Il piccolo Hans - anno XII - n. 48 - ott./dic. 1985

nella descrizione, esso appare trionfante nella poesia, che è inscape d'aggetti elevato al quadrato. Nella poesia la lingua può partire libera da impedimenti grazie al nucleo figurativo distillato in precedenza. Il fulmine divino che la colpisce la solleva istantaneamente dal duplice imbarazzo: o l'emozione, trattenuta dentro la sensazione della cosa, paralizza la descrizione, o viene rigettata a grande distanza e allora la raffigurazione diviene quasi illeggibile. Dio è l'interiorità stessa della natura, e la poesia può fissarne lo straboccante contenuto figurativo pescandolo dal punto di massima interiorità che è al contempo l'esteriorità assolutamente compresente nell'universo. Il massimo di distanza e di presenza vengono a coincidere. Ma per Hopkins l'approdo a questo luogo di enunciazione è paradossale; -egli non è il mistico appassionato della natura di Dio, ma il poeta manierista della seconda metà dell'ottocento che insegue la natura, la sua varietà, e complessità, che riempie le poesie dei suoi epiteti vertiginosamente accumulati. In Dio egli trova l'unico specchio capace di riflettere quell'antinomia che il romanticismo non aveva saputo chiudere in una sola cornice. In Lui, supera d'un salto il problema «d'esprimere l'inesprimibile». Su questo punto la sua «soluzione» è nuova e molto avanzata. Una diversa «soluzione» è quella che, al confronto con Coleridge, Colaiacomo attribuisce a Proust di cui dice: per lui «la figura umana come il paesaggio acquistano la qualità immateriale di propaggini dell'io nel mondo inanimato ... e l'oggetto si tròva ad assumere una posizione sovrana nella rappresentazione letteraria; attraversarlo con la descrizione, appare indispensabile per far passare nella scrittura la sostanza psicologica dell'esperienza»'9 • L'approdo di Hopkins non è altrettanto definitivo, né egli pensa a un rovesciamento come quello che si opera in Proust. Hopkins si trova piuttosto nella posizione biblica di un «niente va perduto» illustrata da Wittgenstein: «quando non ci si studia di esprimere l'inesprimibile, allo79

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==