Il piccolo Hans - anno XII - n. 48 - ott./dic. 1985

un simbolo o costellazione di simboli, la cui chiave sta all'interno del racconto medesimo, dunque raggiungibile da una lettura di senso. Si è tenuti ad entrarvi, non a passarvi attraverso. È ciò che dice, in altre parole, un critico americano (Padraic Colum), quando precisa che tali racconti «are so rounded and so perfect that they offer no crevice far the critica! knife». Vorrei provare, proprio in corpore del «Cask of Amontillado», a rovesciare tale presunzione: operando non sull'interno, tradizionalmente privilegiato, ma sulla superficie del testo; sforzandomi di identificare certe «structures essentiellement localisées du signifiant» (la definizione è ancora lacaniana) che nella loro distribuzione e insorgenza configurino un sistema che lavora a ogni livello: fonico, figurale, sintattico, tematico ossia semantico - sistema, mi affretto a precisare, non sistematico se, per dir così, si fa sempre sorpassare dalle proprie variazioni. «The cask of Amontillado», come ognuno sa, è il referto di una vendetta consumata a freddo. Stuzzicata la vanità del suo nemico Fortunato col pretesto di chiederne il giudizio su un barile di vino spagnolo, Montresor, il narratore, lo attira nel fondo di una cantina dove finisce per seppellirlo vivo. Questo sommario brutale non rende giustizia al racconto di Poe. Appunto, si tratta di vedere perché non sia semplicemente una storia «nera» alla Pétrus Borel o alla Villiers de l'Isle-Adam. Le indicazioni fondamentali sono somministrate al lettore già ad apertura di racconto. È probabilmente un tratto distintivo del modo di procedere di Poe, quello di implicare nella lettera dei débuts la propria chiave. La prima linea del «Fall of the house of Usher», percuote sui fonemi oscuri, abissali di «a dull, dark and soundless day» le proprie matrici generative; e «manifold», terza parola dell'apertura di «Berenice» («Misery is manifold») dice qual191

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