Dunque: nessuna possibilità di riduzione, in termini di significato (in termini di concetto), del Senso che si elabora lungo i reticoli fondati dalla Lettera: reticoli del resto non orientati (a differenza appunto della linearità progressivateleologica - del Discorso), e che si costituiscono, come mirabilmente notifica Mallarmé, per «espansione» («Le livre, expansion totale de la lettre»), per «iniziativa della Parola», della Lettera («Le Poète [...] cède l'initiative aux mots»), secondo le regole del suo «gioco» («selon le jeu de la parole»). Che è però un gioco che ha a che fare con l'origine: «il s'agit de jouer avec ce qu'il y a à l'origine» (O. Mannoni). Per cui il Senso che ne è il prodotto si configurerà senza più come quel Senso originario, anteriore al concetto e ai significati, che il Discorso ha tendenzialmente occultato, o rimosso. Ma se il Discorso è il supporto del Testo, la scena (il «décor») che ne consente la manifestazione, allora l'origine di cui il Senso reca testimonianza non sarà altro che un effetto del postumo. Questa stupefacente «antinomia» - la quale rovescia il concetto canonico di tempo -dice insomma che il «prima» della Lettera nasce dal «dopo». Vi è di più. Se proviamo a svolgere l'implicazione sul piano assiologico, essa dice anche che i valori di «verità» non si danno se non a partire dalla scena dell'occultamento e della rimozione: a partire cioè da un teatro della «falsità» (col che viene confermato il valore di «svelamento» annesso dai greci al vocabolo che designa la verità: 'aÀ:rjiJEw). La stessa, eventuale posizione di priorità generativa della lettera rispetto al Discorso, non fa che presupporlo. Basti pensare all'anagramma, alla sua potenza strutturante e, in molti casi, decisamente inaugurale, il quale non può accadere, o cadere, se non all'interno delle unità di significato definite dal codice della lingua. Ma vi è una seconda, e forse anche più interessante, implicazione (una seconda «antinomia»). Se la Lettera, e il 150
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