Il piccolo Hans - anno XII - n. 48 - ott./dic. 1985

gono dall'estero per continuare la loro saltuaria cura psicoanalitica. E fu il caso di una giovane ricoverata in ospedale psichiatrico, prima delle recenti riforme, la quale non faceva che ripetere che la chiave di casa sua serviva ad aprire le porte di tutte le case. Ora, se consideriamo che l'unica a possedere le chiavi del reparto era la sua psichiatra, che anzi possedeva un'unica chiave perché quest'unica si adattava a tutte le serrature dei reparti, allora ci si chiarisce che con quella frase la ricoverata eleggeva l'ospedale stesso a barriera per lei attraversabile e nel medesimo tempo, come vantaggio secondario, poneva la sua psichiatra al posto della pazza. Ma una chiave per tutte le serrature vuol anche dire qualche altra cosa, la stessa cosa che portò al suicidio un altro giovane psicotico il quale al suo psichiatra aveva sottoposto la sua idea di aver scoperto un sistema atto a far vincere tutte le squadre partecipanti a un campionato di calcio, un altro passepartout. Ciò che lo sgomentava era l'idea di una fecondità incontrollata, di poter aver lasciato figli ovunque, senza nemmeno accorgersene. E che dire quando questa chiave viene a coincidere, come per un ragazzo ritornato da un periodo di emigrazione di là dal mare, con quel cognome del padre alla cui preclusione Lacan fa rimontare l'origine della psicosi? Il cognome in questo caso ricalca il nome della carta da gioco che, in un mazzo, può prendere il posto di ogni altra e ben si adatta alla convinzione radicata in quella famiglia che ad ogni generazione dovesse esserci un alienato mentale. In realtà mi sembra però che più che di forclusione, cioè di impossibilità di accedervi, si tratta di un uso particolare che lo psicotico fa del nome del padre: l'appropriazione attraverso una manipolazione tecnica che egli compie a livello artigianale. Se è vero che lo psicotico, come il bambino, ha un inconscio di superficie, devo trarre dalle mie osservazioni 117

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