Il piccolo Hans - anno XII - n. 47 - lug./set. 1985

griglia prestabilita di simboli e dalla sua rappresentatività di un inconscio visto come un marasma di flussi. E ritorniamo così alla mia nozione di protesi. Chiarimenti sulla nozione di protesi. Quando Freud si riferisce a una « protesi » ciò a cui fa allusione, br�vemente, nel suo scritto, è a un supplemento, un'aggiunta frutto della tecnica, che serve, un paio di occhiali per il miope o il cannocchiale per vedere le stelle, a rinforzare una debolezza o a colmare una mancanza di potenzialità. Curiosamente, usa "protesi » in una direzione che non gli è congeniale e che, introdotta nel caso del piccolo Hans, non esiterebbe egli stesso a chiamare « filosofica », nel senso cioè che egli dà alla scuola filosofica di Wundt. Quando invece in questi anni ho cercato di definire la nozione e la funzione che nella clinica ho rilevato della protesi, vedo che la mia protesi non è un completamento, ma qualcosa che sta alla radice dell'identità e che, pur determinandosi in un.turbamento, mal si adatterebbe alla categoria del perturbante. L'illustrazione che ho immaginato di Sussi e Biribissi che s'incontrano alfine, esige due dita puntate che sono, per ciascuno, quello dell'altro, e la funzione di protesi, perché di un sostegno, di un artificio si tratta, ma di un artificio incarnato, mi allude a ciò che Lacan ha chiamato significante, ma non ci va a coincidere, perché l'altro in questione non è un significante, ma, in carne e ossa, l'intero Biribissi. Nel caso del piccolo Hans la protesi di Freud potrebbe apparire al termine, con il sogno dello stagnaio che, provvidenziale, potrebbe sostituire un popò, o un pipì, mancante. 6

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