Il piccolo Hans - anno XII - n. 47 - lug./set. 1985

Ma dietro lo scenario agitato, lo spettacolo pirotecnico e le illuminazioni, al di là delle sinestesie ebbre di simbolismi funambolici con cui si abbagliano i sensi dell'Hypocrite lecteur (mio simile, mio fratello: come suonano insidiose queste parole in Baudelaire!) appare quel luogo dell'allegoria dove la statua e il vuoto della folla (la folla delle parole) si ricongiungono: « Et parcourt, camme un prince inspectant sa maison, Le cimitiére immense et froid, sans horizon, Où gisent, aux lueurs d'un solei! blanc et terne, Les peuples de l'historie ancienne et moderne» (Une gravure fantastique) Le allegorie, scrive Benjamin, «sono i luoghi in cui Baudelaire placava il suo istinto di distruzione» 20 • Se «patto vuol dire simbolo» Baudelaire non vi aderisce e si mantiene nell'allegorico 21 • E se scende a patti è solo per «tradire» e scagliare le sue Fusées contro la risible Humanité: un testo come Pauvre Belgique - mai tradotto in italiano - che di solito viene pietosamente reciso dal corpus baudelaireano come una sua escrescenza patologica, rivela che è l'umanità decaduta l'autentico oggetto che il grottesco ha di mira. A fliìner dunque si è costretti quando non si ha più «l'abri d'une cahute» dove far ritorno. Un abisso separa il fliìneur della prima generazione da quello walseriano della seconda generazione. Nulla di più estraneo, di impossibile al primo che sentire arrivare «come un dono... la sera, perché è così per chi dedica la propria giornata al lavoro». E quel saperci fare con la vita, quell'amoreggiare con «la splendida macchina burocratica» e i piccoli piaceri presi nelle sue pause: «il caffé nell'intervallo, la passeggiata, la bevanda alterante, il fumo caldo della sigaretta» 22 sono del tutto sconosciuti al re del paese piovoso che la notte «prende alla gola» mentre in una «corsia gremita di so49

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