Il piccolo Hans - anno XII - n. 47 - lug./set. 1985

li... Per secoli e secoli queste distese apparterranno all'inumano». D'altronde l'arte non consiste forse nel resuscitare il tempo morto cristallizzato nella reliquia (ciò che Benjamin chiamava« redenzione»)? « Quel che l'intelligenza ci restituisce sotto il nome di passato, scrive Proust, non è tale. In realtà come accade alle anime dei trapassati in certe leggende popolari, ogni ora della nostra vita, appena morta, s'incarna e si nasconde in qualche oggetto materiale; e vi resta prigioniera, prigioniera per sempre, salvo che noi c'imbattiamo in quell'oggetto. Attraverso lui, la riconosciamo, la chiamiamo, ed essa viene liberata» 13• È proprio il caso di dire che l'artista trae il suo incanto dal Nulla; come dice il verso di Baudelaire O charme d'un néant follement attifé! (Danse macabre) che è anche la miglior definizione del Barocco. Quidquid humani a me alienum puto Baudelaire è uno degli abitanti più illustri del paesaggio dell'epoca terziaria (C'est un pays plus nu que la terre polaire; / Ni betes, ni ruisseaux, ni verdure, ni bois!) e ne porta i segni. Aridità, sterilità, freddezza, immobilità, impassibilità, insofferenza verso il prossimo (« Molti amici, molti guanti») sono alcuni dei tratti che formano il suo ideale estetico di« perfetto uomo di lettere». In lui domina una volontà di artificio che nella sua perfezione formale deve eliminare ogni indiscrezione fisiologica, ogni impurità naturale segnando il trionfo dell'antiphysis. Ma dietro l'odio del naturale si cela l'odio per la vita inquinante, quel « tepore madido» che gli fa orrore. L'opera di Baudelaire, scrive Sartre 14, tesse« l'elogio della sterilità assoluta... l'uomo raro si porta nella tomba il segreto della sua fabbricazione; vuole se stesso totalmente sterile: è il solo modo 45

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