Il piccolo Hans - anno XII - n. 47 - lug./set. 1985

l'espressione, ma nella postura, nel comportamento, nell'abbigliamento. Almeno due ordini di motivi motivano per Kraepelin, e per il coevo Weigandt 29 , il ritorno alla fotografia. In primis, se Kahlbaum non era d'accordo con la « degenerazione » e si poneva interamente dentro alle ragioni di metodo della clinica, Kraepelin nel contemplare il « processo » come un'involuzione irrecusabile e inesorabile riavvicina il campo della clinica alle ipotesi degenerative. Proce�so e degenerazione, prima linee ben distinte e viste in opposizione, finiscono per colludere ampiamente. In secondo luogo, la scena di questa fatale collusione tra processo e degenerazione, intesa modernamente quale somma di dati genetici, è il manicomio con il suo spazio « senza tempo » (zeitlos). I gruppi di catatonici, di ebefrenici, di paranoici, di donne maniacali (tav. 8) rivelano l'atmosfera di una segregazione cristallizzata e programmata in sezioni, dove le tipologie dei casi divengono tipologia di classi patologiche e più estensivamente di classi sociali emarginate. Non è senza peso notare come l'obbiettività clinica che impronta le illustrazioni delle varie edizioni del trattato kraepeliniano sia coeva all'ipotesi di Sander di rendere con la fotografia una tipologia e delle figure e dei ruoli sociali. Le fotografie che attestano il sapere nosografico e istituzionale finiscono per essere analoghe a quelle che garantiscono la schedatura e confermano un controllo che attraverso tale visibilità lo sguardo del potere esercita sul cittadino. Le illustrazioni dei trattati che derivano da Kraepelin, in Italia quelli di Bianchi e poi di Tanzi e Lugaro, dilatano progressivamente questo scetticismo del sapere e dell'operare psichiatrico, e rendono più tragica la contemplazione di quanto è marginale, vedendolo sconfinare nel difforme, nel tarato. La « degenerazione » ha gravato il processo di ombre ereditarie, di pregiudizi razziali. Non colpiscono 36

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