Il piccolo Hans - anno XII - n. 47 - lug./set. 1985

punto. (...) Tutte le pluralità di divenire che ci sono· nel fare l'amore, tutti i sessi, gli n sessi in uno solo o in due... » (G. Deleuze, C. Pamet, op. cit., p. 57); se gli riuscisse di filare lungo il raggio di luce che illumina la vergine, linea profilante dell'anoressica. Anche per il soggetto anoressico infatti, non v'è nulla di ascetico nell'aderire al divenire della propria «malattia», del proprio digiuno - per l'anoressica vale ciò che è detto di Concha, entrambe escludono «qualsiasi idea di virtù corporale » - nulla dunque di schopenhaueriano. Al contrario: non vi sono passi sul cammino verso l'ascesi, un divenire nell'ascesi, è piuttosto il divenire stesso che si fa ascetico, che assume in sé ogni ascesi duplicandola, che moltiplica ogni pudore nell'attenersi al puro profilo e nel rifiuto di ogni superfluità. Ecco il senso del divenire-linea anoressico: elevamento a potenza del profilarsi, duplicare la silhouette, mettere di profilo il profilo, mettere la carta, il foglio senza spessore, di profilo, su un lato senza larghezza e senza più dimensioni che una; fare della carta una linea (cartografia anoressica), linea di fuga, retta immateriale ma illimitatamente percorribile, almeno in una direzione. Tutto ciò comunque comporta rompere con la conoscenza biblica corporea, mediante l'amplesso negato, ma anche con lo sguardo conoscitivo metafisico, qui disorientato, come con le due facce di una medesima gnoseologia, sempre empirista e sempre idealista ad un tempo. (Che vuol dire? Bisogna smettere di fare l'amore, smettere di guardare?). Per colmare questo scarto, Mateo è convinto che basti l'entrata in gioco dell'oro. In realtà ciò lo conduce difilato alla pornografia. Scena dietro un cancello chiuso: Conchita e il Morenito recitano per Mateo. «Non vuoi andartene? . :- urlò - Non vuoi andartene! Ebbene, vedrai! (...) come se le sembrasse che la mia tortura non avesse raggiunto l'apice... oso appena dirglielo, signore,... si unì a lui... là... sotto i miei o_ çehi'... ai miei piedi... » (p. 114). 199

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