Il piccolo Hans - anno XII - n. 47 - lug./set. 1985

ricordo per il lettore e/o per se stesso (sarebbe già un altro passo). Non è l'ambito della verità che entra in gioco, ma del desiderio e del piacere. « Ce que je sais parfaitement, ce sont les choses qui me font peine ou plaisir, que je désire ou que je hais ». Il disegno, eccolo convertito in destino. Esso presenta in forma di logogrifo, di paraffo, di sigla o formula personale, la sostanza reale della « vie de Henry Brulard ». Il disegno, beninteso, non risarcisce niente, non « sta al posto » di -. niente; ritrascrive la domanda con la quale si chiude il capitolo trentaseiesimo: « mais que dois-je donc désirer? » Uno scritto di Freud, Le bugie di due bambine, del 1913, gira intorno al legame fra colore (pittura), denaro, amore per il padre, disegno. Me ne servo per quell'ultimo tratto, che riguarda la piccola soperchieria di una ragazzina la quale, a scuola, _dovendo tracciare un cerchio a mano libera, ricorre invece, nascostamente, a un compasso - soperchieria subito scoperta. Non so quanto sia arbitrario partire di qui, ma forse non è importante saperlo. S'incontra la figura del cerchio, che è convenzionalmente il simbolo della perfezione geometrica, delle equidistanze infrangibili (nella bugia della bambina s'identificava con la perfezione patema...) Nella gerarchia sociale di Flatland o Flatlandia, paese a due dimensioni, i Cerchi o Circoli sono l'istanza massima, Preti « amministratori di ogni Affare, Arte e Scienza », « causa di ogni cosa che valga la pena di fare e che vien fatta da altri ». Il libro del reverendo Edwin A. Abbot, Flatland, a romance of many dimensions, uscito nel 1882 peraltro anonimo, non è certo dei più trafficati dal lettore, attualmente; a torto, perché rientra di diritto e con discreti risultati, in quella vena di pamphletismo matematico-simbolico, di caricatura giocata sui numeri della scienza o parascienza, dentro cui si alloga, per esempio, Swift non meno di Bu18

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