Il piccolo Hans - anno XII - n. 47 - lug./set. 1985

stro caso. Innanzi tutto qualcosa di analogo a questo «piacere della somiglianza » studiato da Ferenczi è definito dai teorici della luce francescani come il fondamento stesso dell'attività razionale umana, luogo di osmosi della luce divina 20 • Ma qualcosa di simile dice anche Dante (in iperbato) in Par XV, 73-78, dove Dio viene definito equalità, sede di ogni somiglianza, di fronte al quale « tutte somiglianze sono scarse», e che è per questo la fonte di ogni beatitudine, anzi, il luogo dove piacere e ragione coincidono: « ... 'l sol che v'allumò e arse / col caldo e con la luce, è sì iguali». In secondo luogo ciò che Ferenczi aggiunge da un punto di vista dinamico, cioé che questo piacere dei paragoni consiste «nel ritrovare gli stessi elementi in materiale completamente diverso» 21 , richiama la dinamica della sospensione del pensiero - aposiopesi - che struttura l'iperbato: lo scrittore sospende (rinuncia alla) la struttura verbale, e introduce un'altra dimensione (ferma la fabula, ma doppia i motivi), non sa se uscirà, e come, a rivedere contenuti familiari; così il pittore, che non sa la prospettiva «reale», ma ne ritrova elementi familiari - e stavolta ben reali - nell'orientamento -delle cose. Infine un'altra indicazione di Ferenczi potrebbe suggerire un ulteriore rapporto biografico fra Dante e Giotto - oltre ai sorprendenti punti di contatto messi in luce da Boccaccio, Benvenuto da Imola, Bandinucci, Vasari, ed amplificati dai biografi francescani. Come esempio di piacevole «senso della familiarità suscitato dalla somiglianza», Ferenczi sceglie il piacere che si prova rivisitando una città dopo molto tempo: probabilmente non solo i rapporti personali fra Giotto e Dante, ma anche la mistica dell'orientamento, il non sapere, il disagio, � il reale nel reale dell'iperbato si strutturano sulla distanza da Firenze, città nella quale Giotto è sempre tornato, ma non Dante. Paolo Bollini 154

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