Il piccolo Hans - anno XII - n. 47 - lug./set. 1985

carne, i suoi vuoti e i suoi pieni, le sue luci e le sue ombre. Ben diverso appare - o soltanto mi appare? - il caso dell'ippogrifo. Questa straordinaria creatura alata è stata sempre riconosciuta come una delle più alte realizzazioni della fantasia e dell'arte dell'Ariosto, e, in certo senso, come il simbolo stesso del suo poetare. Lo sottolinea, tra gli altri, Attilio Momigliano sin dalle prime pagine del suo Seggio sull'Orlando Furioso, ove indugia sulla prima apparizione del grifone alato, identificandolo quasi con lo spirito del poema: «E così per lungo tratto l'Ariosto ci accompagna con questi colpi d'ala, e il verso si leva, leggero, nel vano cilestrino dtll'aria, su picchi solitari, sospesi sul paesaggio profondo del deserto. Ad ogni istante in queste pagine si apre una prospettiva di aquila, e la poesia balza dalle contrade impervie dei Pirenei alle aperte serenità del cielo (,..] Poche volte la poesia dell'Ariosto è così isolata come in queste pagine, poche volte essa pare - come qui - una visione circonfusa soltanto d'aria e di silenzio». Creatura d'aria e di luce, discendente diretto di quel Pegaso che è assurto a simbolo stesso dell'immaginazione fantastica e della stessa poesia (così anche in Freud, Il motto di spirito e la sua relazione con l'inconscio, a commento di una locuzione dal Wippchen di Stettenheim, Pegaso sta al posto tout court del «poeta»), l'ippogrifo appare creatura aerea e celeste. Nell'ottava (IV, 19) ove Ariosto lo descrive non mancano certo i particolari «realistici»: 102 Non è finto il destrier, ma naturale ch'una giumenta generò d'un grifo: simile al padre avea la piuma e l'ale, li piedi anteriori, il capo e il grifo; in tutto l'altre membra parea quale era la madre, e chiamasi ippogrifo: che nei monti Rifei vengon, ma rari, molto al di là degli agghiacciati mari.

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