Il piccolo Hans - anno XI - n. 42 - apr./giu. 1984

mela Baififioni, Il IV libro dei «Meteorologica» di Aristotele, Bibliopolis, Napoli, p. 225n. 3 Tale è la posizi!one con forza ribadita dall'as·colano Francesco Stabili (Cecco d'Ascoli) all'inizio del secondo libro de L'Acerba. Scriveva, infatti, Cecco, quasi traducendo Tommaso: Contro a fortuna ogni uom po' valere Seguendo la , ragion nel suo vedere. (Si cita da Cecco d'Ascoli, L'Acerba. Secondo la lezione del Codice Eugubino dell'anno 1376, a cura di Censori B. e Vittori E., Ascoli Piceno 197'1, vv. 67-68). Nell'esporre il suo concetto di fortuna, Cecco d'Ascoli entrava in polemica con quel famoso luogo dantesco - lnf. VII 70-96 - nel quale la fortuna viene definita «general ministra e duce» che permuta «a tempo li ben vani / di gente in gente e d'uno in altro sangue». Nella concezri.one dantesca (ma solo in questo luogo), essa è, dunque, un'intelligenza angelica preposta ai beni materiali, che pungola e .prova l'uomo elargendoglieli, sottraendoglieli o negandoglieli. In essa non è da identificare la provvidenza divina (come invece in Mon. II, ix, 8), in quanto virtualmente il « viatore» (l'uomo nella sua esperienza terrena) può essere facilitato nel raggungimento dello scopo del suo «viaggio» (il Sommo Bene) sia da una fortuna propizia ed elargente che da una avversa e sottraente. Come 1i.rnsegna lo stesso « viaggio» dantesco, dal fondo di disperazione dell'abominio del peccato si può non solo riemergere ma addiritt�a giungere a Dio. Come si può notare, il senso della ,posizione dantesca è più sott:le e «filosoficamente» sfumato delle posizioni prevalenti riportate, e alle quali si uniforma Cecco e lo stesso Dante in Purg., XVI, 73-78,. Nella ooncez,ìone della fortuna del VII canto dell'Inferno - quandanche questa posizione appa · re, a ben vedere, il completamento e la d:.retta conseguenza delle te orie dominanti - si riverbera, infatti, �J principio ermetico secondo il quale attraverso gli elementi impuri opportunamente dissolti si può coagula-re l'Oro, s.i può dunque raggiungere '1a perfezione dello Sp:xito: difatti, qualsivoglia sia la posizione a cui la fortuna drl.spone • l'uomo - e in questo luogo dantesco la fortuna, si badi bene, non è altro che dispensatrice •di beni mateniali - <l'uomo può operare su se stesso, «mortificarsi» (in senso tecnico) e accingersi alla « resurrezio ­ ne». L'opposizione fra Dante e Cecco d'Ascoli sul concetto di fortuna è, pertanto, solo apparente (o sarebbe meglio dire « semantica»), in quanto nella terminologia più tradizionale e « spagirica» dello Stabili, la fortuna è « disposizione» dei cieli sulla « criatura umana / per quaE,tà» (vv. 14-15) e, di conseguenza, egli può concludere (v. 22): Non è fortuna che Tagion non vinca. 112

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