l’ordine civile - anno II - n. 13 - 1 luglio 1960

• • Bilancio di novanta anni lil Africa Si concluderà in questi giorni l'esperienza colonizzatrice africana deH'Italia con la dichiarazione dell'indipendenza somala. La bandiera italiana - seppur già in forma no,n più sovrana da dieci anni -- sarà del tutto ammainata da un territorio africano. Può ttort essere quindi fuor di luogo di tracciare un sommario bilancio di qudla che è stata l'azione italiana in Africa, che è durata esattamente novant'anni: 1870-1960. Prima ancora che l'unità italiana fosse compiuta, e cioè nel lontano 1869, la Compagnia marittima Rubattino e il missionario P. Sapeto pensavano a dare uno sbocco colo– niale al paese, per conto degli elementi più proclivi a una politica di espansione po li.tico-stretegico-economica della na• zione. Ne fo risultato l'acquisto e quindi l'occupazione in forma sovrana, nel 1882, del piccolo territorio di Assab; ~ull'estrema costa dancala meridionale. Lo si definì .uua ·sta– z.ione carbonifera ·per i· piroscafi sulla rotta delle fodie, poi un possibile sbocco dell'Etiopia e, infine, un luogo per co– lonia penale .... Assab non divenne mai, di fatto, ,stabilmente nessuno di questi obiettivi, perché l'Inghilterra faceya buo• na guardia fra Perim -e Aden, la Francia ci manteneva la serrata concorrenza di Gibuti e relativa ferrovia, mentre Assab non aveva alcuna strada nel suo retroterra, e, per ultimo, la colonia penale, in quel clima d'inferno e senza risorse, ,faillì. Le polemiche su Assah si succedevano, ,quando, nel 1885, i politiei ccafricanisti » aprivano un più vasto orizzonte di penetràzione con lo sbarco a Massaua, sulla costa eritrea, a nord del piccolo possedimento dancalo. q si fecero delle illusioni, si credette nella disinteressata e leale amicizia :bri– tannica, che ci so-llecitava un intervento per •aUeggerirle la pressione mahdista nel Sudan, e si cominciò a marciare nel– l'interno. Furon fatti venti chilometri, fino ·a Saati, e, nel febbraio 1887, ,la tragica giornata di Dogali ( che oggi può apparire un quasi insignificante episodio, seppur doloroso) gettò il disorientamento nell'opinione pubblica italiana. Il grido: cc via dall'Africa! ,i cominciò a echeggiare per la pe– nisofa, ma il governo vo-lle vendicare l'onore organizzando con un ritardo di otto mesi,_ una spedizione, che avrebbe .do– vuto essere o punitiva o esecutiva di ulteriori guadagni. Par• tirono 30.000 uomini, che per allora costituivano un esercito imponente e... non accadrle nu1la. Il Negus ebbe paura, si ritirò, ma gli italiani non avanzarono. Cominciò allora la politica di cc penetrazione pacifica » con le prime esperienze di trattative sistematiche con l'elemento locale, cristiano c musulmano, abissino. L'impreparazione • e l'incompetenza, che sempre ci accompagnarono nelle nostre imprese africa– ne, unite spesso a una mancanza di chiari obiettivi, porta– rono, nel 1890 alla ·,:.dita all'altopiano con l'oècupazione di Asmara e di quello che divenne il nucleo. centrale della Co– lonia Eritrea. di Filippo Dotti ma ugualmente nocive, di Inghilterra, Francia e Russia, s1 potrà comprend'ere come l'Italia si trovasse in una situazione quanto mai precaria. Cominciarono Je difficoltà sul piano internazionale e i tradimenti dei piccoli capi, agganciati col danaro; a ciò si unì la perenne discordia fra militari é politici. in questo frangente, mentre prevaleva il concetto dell'occupazione di lutta la parte utile del Tigrai, senza però me!tere in opera fo1·ze sufficienti dal punto di vista organizzativo e militare, sop_raggiunse, effetto di un cumulo di disgrazie più che di incapacità, la fatale giornata di .A,dua, •del 1 ° marzo 1896. L'autodenigrazione unita all'npposizione interna degli anti-africanisti gonfiò l'episodio, certamente grave ma tut– t'altro che irreparabile, in una sciagura nazionale quasi apo– calittica. E mentre le forze in .Joco avrebbero facilmente ro– ve,sciato la situazione a tutto favore dell'Italia, prevalse la politica rinunciataria e paurosa. Si perdette molta parte del territorio veramente utile, si cedette a patti umilianti e tutto il prestigio conquistato e in qualche modo mantenuto, fo gettato a tut,to profitto dei ... concorrenti europei. ·Come se poi •non bastasse, si rinunciò anche a qualche possibilità che nessuno ci aveva tolto, come il possesso sudanese di Cassala, sicché le condizioni del residuo territorio eritreo si ridussero a meschina cosa. Però il ccvia dall'Africa » non trionfò e ,la solu~ione di compromesso portò alla costituzione della Eri– trea, nei confini èhe durarono per 43 anni. La saggia e pa– ziente politica di Ferdinando Martini, che resse l,a colonia dal 1897 al 1910. salvò il salvabile e cercò di valorizzare il possi-bile, allegge~endo al massimo il bilancio nazionale e ottenendo così che l'Italia, dimentincando l'esistenza di quel territorio, se lo conservasse per l'avvenire. Frattanto, sistemata così l'Eritrea, un'altra _terra, pro– spicente l'Oceano Indiano, era a poco a poco passata sotto il -dominio italiano : il Benadir, che verso l'inizio del secolo prese, ingrandendosi, il nome complessivo di Somalia italia– na, e stendendosi teoricamente ( di fatto lo· fu solo integral– mente nel 1926) dal Kenya al Somahland e •ad una linea ideale che raggiungeva i punti estremi di Dolo, sul fiume Giuba, con una delle punte del possesso inglese, si snodava tutta contro il territorio etiopico dell'Ogaden: un territorio vastissimo -e suscettibile anche di una buona valorizzazione Le vicende -somale furono, all'inizio, molto timide: pic– coli presidi -costieri, alcuni incidenti con gli indigeni,. qual– che fatto d'armi con pochissime perdite, una politica indi– gena di penetrazione lenta ma fortunata, imposizioni britan– ni-che in tutto il settore nord dei ,cosiddetti sultanati semi– indipendenti di Obhia e Migiurtini. Al 1910 la Somalia ave– va assunto fa fisionomia di una colonia di sfruttamento, pa– cifica ordinata e... dimenticata, quindi ancora da sfruttare. Viveva, nQn dava noia e gli italiani forse neppure sapevano che esistesse ! I territori dell'Africa Orientale non rappresent•avano, Data la divisione politica del territo~io etiopico, ci si nel festino internazionale africano, cui si erano assise tutte accorse che non ci si poteva li•mitare al fin allora occupato, le grandi Potenze, se. non una semplice presenza, che aveva poiché né si aveva un confine possibile ·sui lati orientale e costato danaro e uomini, disillusioni e dolori, e non lascia- meridi-onale, né si 'avevano in mano un territorio sufficien- vano intravedere svi-lup_pi degni di adeguato rendimento. temente vasto e ricco per servirsene o a scopo economico- C'erano e bisogna· ormai tenerli, per l'onor della bandiera agrario o emigratorio. Sorsero le due politiche, la tigrina e e per una certa affezione, che si era infine stabilita, almeno la scioana, cioè verso il padrone vicino, il ras del Tigrai, o nella ristretta cerchia dei cccoloniali >J nostrani. verso il padronè globale e lontano, il Negus-di-"tutta....l~Etio, ...... - ...-------.Sorge\ta---per.ò, ...nel-.hacino del Mediterraneo, il problema pia. Questa visuale dualistica inceppò la strada. Come se ciò uro-ente di evitare un accerchiamento. Rinunciato a Tunisi, non basl1sse, si unì l'equivoco trattato di Uccialli, che ci -dava caduto l'Egitto sotto l'influenza brita_nnica, l'Italia minac~ troppo, perché potessimo sfruttare, con le forze e le possi.- ciava, con le mire sulla Libia da parte di altre Potenze, d1 bilità politiche di allora, il ·negoziato raggiunto: cioè il pro- rimaner lettera,lmente senza fiato nel proprio mare. E allora, lettorato su tutto l'impero negussita. Se a eiò si· ag·3ìungono senza far rumore, il governo Giolitti, nelle sue successive rein- le influenze e le politi~he «~ti-ital~a.n~ ç?,i,.fl~~~~t~ ? ~~parate,, carnazioni, preparò con una incliscutibile abilità politica e

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