l’ordine civile - anno I - n. 11 - 1 dicembre 1959

:: pag. 6 Ho citato questo piccolo · studio perchè di1nostra cosa possono fare dei ·Comitati di consultazione quando le condi– zioni generali siano favorevoli al loro funzionamento : una lenta ridistribuzione del potere e, sin dall'inizio, un'azione decisa per abituare l'altra parte a considerare loro, lavoratori e rappresentanti di lavoratori, come eguali. Di questo lavoro quotidiano ci sarebbe bisogno ogni giorno in tutte le fab– briche italiane. E già che il discorso è iniziato, parli-amo ora soltanto delle possibilità di partecipazione operaia in Italia. lo non credo che gli operai italiani siano in grado oggi di dare un notevole contributo alla gestione d•ell'azienda: basta pensare alla maggioranza di semi illetterati di « Quar– tiere Operaio » e .di altre inchieste genovesi e italiane pe1· non poter tenere oltre questa illusione: ci vuole la riforma dell'istruzione pubblica, prima di poter eventualmente par– lare di partecipazione operaia alla gestione economica. Tut– tavia, in certi tipi di azienda, le indicazioni e i consigli operai ,( siamo quindi su un piano nettamente inferiore a quel– lo 1 della gestione ,comunè) possono già og·gi riuscire utili, e già lo sono in molte aziende attraverso forme diverse di inol– tramento. Vi sono poi importanti possibilità di gestione co– mune o di autogoverno, per esempio nel campo assistenziale o ricreativo; e non vanno trascurate. Ma il campo in cui una forma di seria consultazione comune, direi di incontro e col– laborazione, è urgente e teoricamente possibile, è quello dei rapporti tra gli uomini e tra gli uomini e la macchina. L'azienda italiana, in generale, è medioevale e totalitaria; il ceto imprenditoriale, poi, è di un genere che, come direb– be Bendix, riconosce « solo a sè il privilegio dell'associazio– ne e dell'azione volontaria, mentre impone a tutti i subor– dinati il dovere dell'obbedienza e l'obbligo di servire i loro datori di lavoro al meglio della propria capacità ». Dalla mat– tina alla sera della sua giornata di 1 lavoro, l'operaio si senti: ricordare •Cento volte che egli è aJl'ultimo gradino di una gerarchia di caste fissa e immutabile. L'entrata a parte per gli operai, l'ispezione, i dirigenti che salutati non salutano. gli ordini perentori, i sorveglianti che inquisiscono, l'aria di discriminazone, il divieto di discutere multe· e punizioni. l'assenza di informazioni, il divieto di questo e di quello, le miserie dèlla mensa e dello spogliatoio, i movimenti, i tempi di lavoro fissati senza discussione nè appello, l'arbi– trarietà delle promozioni ·e dei premi la imprevedibilità dei trasferimenti, la irragiungi·bilità kafkiana dei principi del potere aziendale, e altre cose an.cora, rendono la vita degli operai italiani ben più misera di quel che potrebbero fare i salari pur del tutto insufficienti per una vita decente. Que– sta ,è davvero alienazione dell'uomo dalla sua vera natura: non resta che un oggetto, mero strumento di produzione. E questa è la ragione per cui l'obiettivo principale degli operai l'ordine civile in fabbrica è, oggi uno status nuovo --· vogliono un ricono– scimento di eguaglianza. Per poi trattare, co! fine di rifor– marla, la struttura sociale della fabbrica. A questo punto, però, si può obiettare che tutti i punti elencati sono regolabili per contratto ( la « costituzionalizza• zione ·>> di Bassetti e Corna-Pellegrini) e che una volta che essi siano regolati dal contratto, la difesa, l'uso, lo viluppo loro spetterebbero logicamente ai sindacati, anzichè ad un nuovo istituto, il « consiglio di consultazione », o comunque si voglia chiamarlo. Tanto più che, come anche questo arti– colo riconosce, essi sono spesso diventati, all'estero, strumen– to delle direzioni: figurarsi in Italia, con lo stato di intimi– dazione e la tradizione fair play che abbiamo. Eppoi, po– trebbe aggiungere il nostro oppositore, che discorsi utopistici sono questi? la classe operaia italiana è sbaragliata e in pezzi, che senso ha in questo momento, fantasticare di nuovi istituti che rappresenterebbero una decisiva vittoria? Senonchè, io penso che lo cose non possano durare così a lungo. Sembra a me evidente che, forse presto, questa con– dizione medioevale della fabbrita sarà troppo in contrasto non solo con il mondo moderno che ci circonda e influisce per mille modi anche su di noi, ma anche incompatibile sarà con il nostro stesso progresso nazionale che, malgra.do i governanti, ha pure luogo. Non fosse altro, vi sono, se– condo me, già molti segni che si sta formando una opinione pubblica più ind-ipendente ed attiva. Anche gli imprendi– tori, non già quelli di tipo familiare e di classe, ma quelli « professionali », come si usa dire, gente ,che si è fatta con gli studi e l'abilità personale, stanno capendo che non può mica dura1·e così in eterno : bisogna far sparire le fratture dal mondo della fabbrica. lo credo che tutto sommato, e sal-. vo ricadute internazionali, noi andiamo verso un disgelo qua– si generale nei confronti della classe operaia. D'altra parte, l'attuale equilibrio politico è chiaramente destinato a rompersi. Il regime che esprimerà il nuovo equi– librio si troverà probabilmente in condizioni di risollevare gli operai e di tentare insieme il superamento delle condi- . zioni della lotta di classe. Allora la via dei con igli operai ( fatti di operai, e non di professionisti in loro rappre entan– za) sarà la sola possibile, proprio perchè esce dagli chemi tradizionali. Come che sia, ripetiamo che nessun governo, nell'ambi– to di questo o di altro equilibrio, potrà durare a lungo senza affrontare il problema della condizione operaia ( anzi, del lavoratore: perchè l'impiegato non sta meglio): tutte le for– ze del tempo nostro ce lo spingeranno. Per questo tener vivo j} dibattito sulla condizione operaia, ora che i tempi diven– gono di nuovo favorevoli a svolgimenti di libertà e di egua- , glianza, è uno degli obiettivi principali di questa rivista. BANCA- COMM.ERCIALE- ITALIANA· BANCA D1 INTERESSE NAZIONALE BibliotecaGino Bianco

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