Nuova Repubblica - anno V - n. 30 - 28 luglio 1957

(175) nuova repubblica LUCI DELLA RIBALTA TEMPO DI FESTI\TAL di F. DI GIAMMATTEO S TA per concludersi la stagione dei festival. Dei grandi manca solo Venezia; poi, anche per que– . st'anno il ciclo sarà compiuto. Le notizie che si raccolgono sono sempre le stesse: crisi e ancora -crisi. Soltanto il festival di Cannes ha mantenuto una buona dignità. Gli altri sono stati al disotto del livello medio. E' chiaro che tutto dipende da due fattori: il primo, lo smarrimento in cui si dibatte l'intero cinema mon– diale; - il secondo, il numero eccessivo delle manifesta– zioni. Non è possibile raccogliere' ogni anno un centinaio di opere (tante ne occorrono per sopperire alle neCes– sità dei festival) che abbiano un valore artistico indi– scutibile. Neanche se at_traversassimo un periodo di vac– che grasse, vedremmo un simile miracolo. Costretti da questo stato di cose, i festival si arran- . giano. Si compromettono sempre di più con i produttori, e con le loro potentissime associazioni; e finiscono per accettarne inconsapevolmente i criteri di scelta e di giudizio. C'è chi (Cannes e Berlino) punta, allora, sulla quantità e sull'esotismo, cioè sul maggior numero di paesi partecipanti - come se un festival fosse un'olim– piade o la fi~ra di Milano - e sulle possibilità di sban– dierare le partecipazioni più strane, la •Malesia, l'Egitto, l'Indonesia, Hong Kong, la Corea. C'è invece ·chi (come Venezia) tenta disperatamente la strada del rigore, puntando sulla selezione e sul numero ristretto. Ed è proprio cÒntro Venezia che si rivolgono le ire più feroci dei produttori. C'è infine chi (come Karlovy Vary) mi– ra al «condizionamento» tematico e va in cerca di contendenti che abbiano idee progressive, o presunte tali, da esporre. Dei tre chi ha ragione.? Non esiste una risposta sicu– ra alla domanda. Teoricamente (e, in parte, anche pra– ticamente) i secondi, perchè sono gli unici cui stia a cuore l'arte. Osservate, infatti, come Jél povera arte" ci– nematografica sia negletta. Forse se lo merita, ma nÒn .fipo a tal punto. D'altronde, se gH togliete questo, ai festival, che rimane? Chilometri di pellicola inutile. E noia fra gli spettatori, e ire fra i critici. Perciò, desta meraviglia il fatto che le manifestazioni siano ancora vive. Vivono, davvero, a dispetto dei santi. Nessuno le può più sopportare, nessuno ha il coraggio di proporne l'abolizione. - Ma se si continuerà così, il provvedimento diventerà necessario. Sappiamo: gli inventori dei festival - le in– dustrie alberghiere e le autorità politiche - vi si op– porranno con tutte le forze, e riusciranno a evitarlo. Sino a quando, però? Ora che, oltre il resto, c'è di mezzo la concorrenza, e se un paese ha il festival cine– matografico subito anche un altro lo vuole e così via, non si vede quali speranze si possano nutrire per il futuro. Dunque, con questa situazione e con queste prospet– tive, occorre trovare qualche modesto rimedio che aiuti la barca, visto che_ l~ barca non deve affondare. Si po– trebbe tentare, anzitutto, una azione inte"rnazionale - concordata fra tutti i festival ed eventualmente appog– giata dai governi - presso le associazioni dei produt– tori, per indurli ad accettare condizioni più vantaggiose e più logiche. Forse, si troverà un diplomatico così abile da convincere i produttori che, nel loro stesso interesse, sarebbe bene che i festival non si scred-itassero - per i film che presentano - più di quanto già non lo si ':\no. Altra cqsa da fare: realizzare un'intesa più stretta, e amichevole, tra i diversi festival, onde attennare la concorrenza. E' pazzesco pretendere che i film li scel– gano tutti insieme di comune accordo, e si spartiscano per così dire le zolle di influenza? Probabilmente si, ma anche questo è un tentativo che qualcuno potrebbe fare. A parole, già oggi i direttori dei festival collaborano e ostentano amicizia; in realtà fanno a spallate 1:er ac– caparrarsi in esclusiva i buoni film. Si trattereUbe di una iniziativa molto seria. Per attuarla, è necessario superare le prevenzioni e gli orgogli nazionalistici, na– turalmente. Sentiamo chiacchierare tanto di Europa che ci chiediamo perchè si esita a far circolare un po' di spirito europeo almeno in queste sciocchezze che sono i festival. E se proprio i dirigenti non ne hanno il corag– gio, si facciano avanti gli albergatori e gli uomini po– litici. Sono in gioco anche i loro quattrini e il loro pre– stigio, infine. se· qualcuno glielo dice, spiegando che senza accordi seri i festival scompariranno, vedrete che si svegliano. Nient'altro. O meglio, mille altre cose, ma tutte se– condarie rispetto a queste. In più, aggiungiamo solo la speranza che l'arte cinematografica, in tutti i paesi del mondo, riprenda il vigore che negli anni scorsi ha così deplorevolmente perduto. Senza soverche illusioni, però. Anche se il vigore tornasse, i festival rimarrebbero sem– pre troppi, e la situazione diverrebbe solo un po' meno precaria. 7 ' (Dis. di Dino Bosclii) PAESELLI ITALIANI - u l\fanca l'acqua, la luce, il gas, ma abbiamo un premio lettera-rio e un premio di pittura estemporanea)) B.IBLIOTECA Dizionario di economia po]ìtica A MAYA <lire l'.1<.1JTco Panta.le.oni, con una <li quelle sue schematiche e precise definizioni, che in eco– nomia esistono due scuole: quelJa di coloro che la sanno e quella di coloro che non la sarino. Distinzione assai simile a quella ch'egli faceva n~l campo delle im– pos,te, per cui diceva che l'imposta o si paga (e si ha cos-ì la percussione, l'incidenza, la traslazione, ecc, ecc.) o non si paga (e s'i ha così l'evasione). Ma se quest'ultima distinzione è air_f9:ra lai:gamente seguita, la su citata de– finizione mai come in questo momento mostra la corda e si riduce, ad esser generosi, ad una geniale battuta di spirito. Chi volesse oggi provarsi ad elencare Je varie scuole economiche, rischierebbe di annegare in una problema– tica che non ha ancora trovato la sua naturale sistema– zione, e finirebbe, molto probabilmente, per elencarne diverse decine. « Generalmente i dizionari scientifici - scrive Claudio Napoleoni nella sua stringata premessa a questo- Dizionario di economia polit-ica (Milano, Ed. Co– munità, 1957) - nascono quando i $Ùltati del lavoro di ricerca hanno portato a una sisteinazione sufficiente, all'enunciazione di definizioni precise ed alla classifica– zione rigorosa ed esauriente delle varie parti della ma– teria ». Oggi, lungi dall'essere giunta la scienza econo– mica ad un tal punto di logica sistemazione scientifica, iniziare un'opera del genere vuol dire senza dubbio an– dare incontro a critiche della più varia natura. Ma gli editori, e lo stesso Napoleoni, ·che dell'opera è il prepa– ratissimo curatore, hanno inteso evitare l'ostacolo ed in– vece di compilare un· c.ll.zionario nel modo tradizionale hanno raccolto un complesso di voci monografiche tali da « riassumere la problematica scientifica attual~ ». Non più di sessanta sono le voci che compaiono in ~quest'opera, ma 'certo la maggior Parte di esse sono qual– cosa di più di una voce: per l'approfondita trattazione della- materia, per l'ampiezza· degli orizzonti che delimi– tano il campo della materia siamo di fronte al vero e proprio trattato in cui, pet, dirla in termini vichiani, la problematica del fenomeno - appare tutta spiegata. Voci come quella stesa dal Brambilla (Impiego doella matematica neUa Scienza economica) o come l'altra sul credito, dovuta a vari autori, voci intendiamo dire capaci di occupare più di centotrenta pagine di grande formato, sono vere e proprie trattazioni specifiche di altrettanti problemi. · Naturalmente, col voler estendere certe trattazioni, forse anche oltre i limiti del necessario, si è finito col dimenticare altre voci ed altri problemi che pur sareb– bero stati importanti. Ad esempio non ci si è occupati specificatamente del «lavoro>>. Su di esso ricorrono, com'è ovvio, qua e là diversi accenni, ma una voce che si preoccupasse di porre in luce l'evoluzione subita da questo termine, nel pensiero filosofico e politico, da Ari– stotele agli Ordinamenti di Giustizia fiorentini, da San Tommaso a Marx non compare. Come non avrebbe sto– nato una voce che si fosse proposta di affrontare il pro– blema metodologico, ché anzi avrebbe forse concorso a spiegare al lettore la- diversità degli strumenti di cui si serv0no i vari autori nel trattare i singoli problemi. Il lettore avrà già immaginato le difficoltà che s'in– "contrano nel render conto di un'opera del g~nere. Un31 recensione scrupolosa dovrebbe evidentemente dividersi in tante parti quante sono le voci. Ci limiteremo invece a muovere sinteticamente quei due o tre appunti, per lo più a carattere marginale, che possono essere fatti a un'opera come questa, destinata a rimanere per luugo' tempo un punto fermo nella storia della nostra scienza economica. Le varie voci presentano, ad esempio, una bibliogra– fia talvolta perfetta (vedi quelle del Guidottir del Br3m– billa, della Cao-Pinna) tal'altra invece del tutto insoddi– sfacente. Inoltre, e questo fatto è ancora più grave, certe volte la bibliografia si ferma addirittura al 1951-1952. Tutto questo sembra sia da attribuire al ritardo subìto dall'opera nella pubblicazione, ritardo di cui sarebbero soprattutto « responsabili » - secondo quanto abbiamo sentito dire - molti studiosi che non hanno mantenuto rigorosamente fede agli impegni presi. E' successo quindi che coloro i quali furono solleciti nel consegnare i loro lavori, stesi alcuni anni or sono, hanno visto la loro bi– bliografia ferma a quell'epoca e, pertanto, non aggiornata. Un'altra osservazione. Per la compilazione delle voci si· è fatto ricorso a studiosi lielle più disparate formazio– ni scientifiche e ideologiche. E' successo così che accanto ad economisti soliti affrontare i problemi della fen_ome– no1ogia economica ricorrendo alle formule e a tutti que– gli strumenti che si sono venuti definendo e diffondendo in questi ultimi tempi, Vengono a trovarsi studiosi anco– ra legati alìa scuola èlassica. Ed ancora, studiosi di chiara formazione marxistiça (basti citare il Dobb) si uniscono ad economisti soliti a riconoscersi nella cosiddetta cor– rente del pensiero cristiano-sociale (basti citare il Fan– fani). La cosa, a nostro modo di veder.e, nuoce all'unita– rietà dell'opera, che ci appare spesso come un mosaico composto di tasselli di varia natura geologica. Gli studiosi che hanno steso le voci non necessitano di presentazione e la scelta nell'indicare le più riuscite e le più perfette è davvero difficile. Certo che scritti come quelli del Dobb (Pianificazione), del Pietranera (Interesse), del Demaria (Econometria), sono destinati a costituire altrettanti termini di riferimento ai quali per molto tempo gli studiosi di problemi economici dovranno rifarsi. Un grande merito degli editori è stato quello di dar fiducia a giovani e talvolta a giovanissimi studiosi, che forse mai come stavolta hanno dimostrato la vitalità della nostra cultura economica cosl scarsamente cono– sciuta all'estero. Fra tutti si eleva il Napoleoni autore di ben ventinove voci. Il Napoleoni è, diremmo, uno studio– so di avanguardia, e mostra una padronanza nella ela– borazione delle espressioni quantitative dei fenomeni economici che davvero stupisce. La sua conoscenza dei più recenti studi i,nglesi .e americani è amplissima, e l'uso ch'egli fa dello strumento matematico è quasi sempre appropriato ed opportuno. Certe sue voci, poi, come quella Valore, sono un saggio di perfetta conoscenza dei termi– ni storici del problema. Noi che siamo talvolta titubanti davanti ad una tale metodologia e che ci sentiamo più vicini a quel tipo di ricerche indirizzate prevalentemente alla valutazione ed alla individuazic,ne delle variabili economiche in termini qualitativi, siamo_ pur tuttavia certi che alcune voci fir– mate dal Napoleoni nulla cedono, per chiarezza e com– pletezza, a definizioni e formulazioni di ben più celebrati autori. ITALO BERGAMINI

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