Nuova Repubblica - anno V - n. 20 - 19 maggio 1957

(t 65) nuova repubblica UN lUAES'l'llO JJELL' AR'l'E OTTONE ROSAI di ROBERTO SALVINI L A MORTE inattesa ha còlto Rosai al culmine della sua fama. Non so all'estero -;- dove i critici per inseguire i fenomeni più appariscenti e palese– mente, o apparentemente, più nuovi, spesso non si av– vedono dei valori più solidi -, ma qui da noi - dove la critica è più meditata e meno incline a la– sciarsi traviare dalle mode - Rosai aveva da tempo ottenuto il posto che gli compete fra i maestri dell'arte di questo secolo. Pure, anche questa fama nazionale non fu per lui una conquista facile. La limitazione tematica deJ.Ja sua pittura, quell'umor popolano ·che sembra accomunare i suoi pittorici personaggi - gli omini e le stradicciuole e le squallide piazze d'Oltrarno - al temperamento e all'educazione del loro autore, l'innegabile aura di to– scanità che circola nelle sue spoglie composizioni, ri– schiano a lungo di circoscriverne l'apprezzamento entro i limiti ingiusti della cultura provinciale e della poesia popolare. Se era facile infatti, superata quella prima avver– sione che la deformazione e lo sprezzo della finitezza accademica suscitavano nel pubblico impreparato nei confronti di Rosai come di tutti gli artisti moderni, affe– zionarsi ai semplici temi umani e paesistici della sua pittura, era più difficile penetra1·ne con la Umpida ori– ginalità del linguaggio la profondità della ragione poe– tica. Poteva ad un primo sguardo sembraire che il me– rito di questo pittore di origini extra-accademiche, anzi popolari e artigiane - era figlio di uno stipettaio ed era giunto al1a pittura in un modo non molto diverso da"' quello in cui vi giungevano i fiorentini di cinque se– coli fa, quando.entravano nella. bottega del pittore dopo essere stati « all'orafo» o avere rinettalo bronzi o do– rato cornici - poteva sembrare, dicevo, che il suo me– rito fosse soltanto quello di riscoprire, 'sotto gli aspetti disordinati e tumultuosi di una città che se non era moderna si andava adattandÒ almeno al traffico e alla vita di una città moderna, gli aspetti più vivi di una Firenze antica, o meglio di una Firenze di sempre. Ciò che si leggeva nei .suoi quadri trovava allora rjspon– denza in ciò che ciascuno di noi confusamente sentiva. e pareva che il compito di questo artista fosse quello di aiutarci a riscoprire questa Firenze che poteva essere nostra non meno che sua. La stessa assenza di pro– blemi - almeno nel senso di una problematica esterna, di una scoperta dialettica con movimenti e atteggiamenti dell'arte moderna -, il limitato raggio culturale delle sue premesse, contribuivano a creare l'immagine del pittore istintivo che della terra e del popolo che ama può divenire illustratore arguto e sagace. Nato nel 1895, aveva intorno ai vent'anni partecioato al movimento fu– turista - movimento confusionario ed equivoco, ma passaggio quasi obbligato, allora, per ogni giovane di ingegno, perché solo lì ferveva la salutare polemica contro le false tradizioni -, e aveva creato anche lui ]e sue brave scomposizioni di oggetti, i suoi collage.s. Ma chi avesse saputo Jegg~rvi ben dentro vi avrebbe già scorto una ricerca di sapidità cromatica che doveva pre– ludere a quel calore affettuoso che avrebbe avvolto più tardi, in una lunga, quasi sfocata contemplazione, pae– saggi, fiiurine ed oggetti. Certe nature morte, nel '19, potrebbero conh·assegnare un periodo « metafisko » di Rosai, ed· accentuare in tal modo il parallelismo di svolgimento che lega questo pittore a molti altri del1a sua generazione. Ma il fatto è che queste esperienze furono meno impegnative per lui che per altri: rapi– dissimi esercizi di grammatica, sufficienti ad appren– dere il nuovo linguaggio a chi non aveva avuto il tempo di apprendere quello vecchio, accademico (al– l'Accademia di Bel1e Arti Rosai si affacciò appena, e ne uscì sbattendo la porta). Così è anche di qt'.1el suo accostamento a Cézanne, indubitabile, credo, ma forse in parte indirettQ (vide Rosai i venti Cézanne della c,oll. Fabbri di Firenze, esposti nel '20 a Venezia?) che dà l'avvio dal 1920· in poi alla lunga serie degli interni di osteria e dei paesaggi urbani - strade, piazze d'Ol– trarno, stradicciuole dei colli, vuote per solitudine an– tica o punteggiate di omini e di carabinieri. Appena un Punto di partenza per la scoperta del proprio mondo, facCia a faccia con l'oggetto, con la natura. ,E se mai, fiancheggiata per un tratto dalla vicinanza di Soffici, la sCoperta di un valido punto d'attacco con l'unica tra– dizione toscana autentica, que1Ja dei JJ1acchiaioli. Ma ROSAI - Uomo che legge ~ qui corre l'obbligo d'avvertire che lo spirito di garru– lità episodica molte volte presente anche nei maggiori fra quegli ottocentisti e proprio d~gli epigoni di quella scuola non ha luogo nella pittura di· Rosai. Così come il suo accostarsi a Strapaese per diffidenza delDa retorica novecentista non gli impedisce di essere altrettanto clas– sico quanto i pochi grandi pittori del «Novecento» più autentico. Al di là del motivo infatti, che, nella sua costante riduzione ad una quasi squallida semplicità delle s~rade più popolari della città o di quelle rimaste ancora ru– stiche del subU:rbio, nella sua altrettanto costante pre– dilezione per un'umanità quasi storpiala o fatta risi– bHe dalla mise;ria, potrebbe i~dir.izz.a1ie il critico verso una definizione «populistica)) òella sua arte, sta la strut– tura compositiva e cromatica dei suoi quadri. Una strada un p~sàggio di Rosai ci si presentano così spo– gli neÌla lor~ essenzialità, da parere il frutto di una deliberata riduzione del vero ai suoi dati più elemen– tari. E in:vece non è cosL Non è che quel motiv-0 si sia presentato dapprima a1l'occhio del pittore nella sua ricca varietà d'aspetti per lasC'i:arsi poi gradualmente ,co– stringere -entro queU'equ'iHJ:',rfo sommesso di masse cro– matiche, per lasciarsi ridurre, quasi consumandosi, a tale semplicità dì apparenza. Quella strada, quel pae– saggio sor-io nati ·a quel modo, come _visione distaccata, allontanata nel tempo e quasi rivissuta .nella memorfa in un'ora so1itairia e malinooÌlica della fan,tasia: per questo si velano di un colore ·opaco, ma vivido al tempo stesso di preziosi riflessi. Motivo e forma nascono in– sieme, come due aspetti della stessa ispirazione, che è da cercare nell'affetto lungamente covato e doloroso per la pazienz_a di una città, della Sua gente a un destino di atavica povertà. Lo squallore delle stradette anguste e contorte. limitate da case quasi senza finestre, il fu– moso gr,igiore delle osterie sono la proiezione sulle cose della grigia esistenza del1'l:1omo. E quando questo com– pare in persona prima è nelle contorte macchiette, ne– gli omini consunti, che non sono caricature, ma imma– gini di antica, sopportata tristezza. 11 senso del caratte– ristico è certamente vivo, acuta -ed arguta è l'osserva– zione, ma non a fin.i di satira: v'è invece l'evocazione appassionata e assaporata in una lunga malinconia di un mondo e di un modo di viver-e che non mutano da secoli e non mutera~no. I NCENTRATA su questi motivi poetici, la vasta produ– zione di Rosai ha conosciuto incertezze e involuzioni. I medesimi motivi sono. stati presi e r'ipresi dal pittore in una sede interminabi1e di variazioni, dettate talvolta da ùn bisogno sincero di approfondimento, tal!altra dal gu– sto dell'esercizio formale. Ma Rosai non si è mai esau– rito, e fra alti e bassi, la sua pittura non ha mai ces– sato di evolversi. E l'ultima serie ormai classica di pae– saggi, quella delle vedute· di Firenze del 1954, ce lo presentò rinnovato. Deformati nella contrazione de11e mas~e. negli scorci improbabili, i monumenti di Firenze; chiuse da muri senza finestre~ le piazze solitarie: ma jn una più aperta e più canora preziosità di toni, jn una n1.:1.ovaopalescenza di tinte, si pon~vano non più come simbolo di una deserta povertà, ma come oggetti di commosso stupore: dove l'antica tristezza è rischiarata da una· luce nuova, che è il riflesso di una contem– plazione ispirata, ardente e quasi drammatica. 7 • IHBLIO'I'ECA • LA GUERRA DEL SOLDATO TAMURA L A LETTERATURA e la cinematografia d'ogni paese, con una spregiudicatezza che non ha trovato ri– scontro in nessun al'tro settore dell'arte e deJla cultura, nell'immediato u1tlmo dopoguerra e ancora oggi, hanno continuato ad esprimere una condanna pre– c'isa e inequivocabile contro Ja violenza, contro la ten– denza irrazionale deg}j uomini ad uccidersi tra loro, contro quelle ideologie che hanno iniettato nell'animo di tutti l'odio cti razza e di nazionalità, contro le guerre. La Germania con i suoi caporali Asch e le sue iro– nie sul mestiere del soldato e la incomprensibile disci– plina di caserma, contro i miti prussiani e la falsa pro– paganda del nazismo che deforma e imbestialisce lo spi– rito del popolo tedesco, ha però sempre cercato di risol– vere dal di dentro della vita militare problemi male impostati nel passato. Il caporale Asch rimane, alla fine, un buon soldato, e la sua spregiudicata vivacità torna ad onore dell'esercito. L'Italia, con la Sua Armala Sagapò, ha cercato di sollevare un piccolo sipario sulla guerra, ma la cen– sura militare ha ben presto interrotto una scena che si prestava ad utili considerazioni, lasciando posto sol– tanto alla sovrabbondante quantità di diari e a un lungo processo di inutili discolpe. La guerra dei nostri scrit– tori è cominciata contro la fame nei campi di concen– tramento della Germania, e, sulla fascia appenninica, contro gli ultimi deteriori residui del nazifascismo. Ed è così della F1·ancia tormentata di Antelme. della Francia amara di Vercors e dei Maquis. La Russia ci ha squadernato le sue vittorie, dopo averci descritto l'abnegazione delle popolaz_ioni invase e l'eroismo degli assediati di Stalingrado. Dovunque, le testimonianze dei letterati hanno preteso di salvare qualcosa; nel pieno della disfatta il <( sergente nella neve» ritrova ancora un angolo per meditare, un can– tuccio in cui garantire, al caldo, la propria umanità. Questo giapponese Tamura (Shuhei Ooka, La gw.?rra del solda.to Tamura, Torino, Einaudi, 1957)" ha di fronte invece soltanto la certezza della morte, e questa cer– tezza gli dà coraggio per andare avanti. La disfatta nip– ponica non conosce neppure il aollo dei miti imperiali, conosce soltanto la fame, una fame nutrita di radici e di erbe, di qualche patata. Il dramma non è più di un eserci.to, di una nazi0ne, non crolla soltanto un regime, un sistema, un credo se– colare. Muoiono gli uomini attorno a Tamw·a e la loro carne serve di cibo a chi rimane in piedi.. La fine del– l'avventura giapponese sta per Sh0hei Ooka sullo sfondo tropicale di un paesaggio filippino e sulle lunghe file dei corpi in decomposizione dei so1dati. Tamura, in attesa della propria morte, non ha un solo pensiero per la casa lontana, per la moglie, per le ìllusioni che forse un giorno l'hanno possedutç>; cerca invece di risolve,re i problemi che in gener,e !"hanno sfiorato: problemi di ordine spirituale che gli sono sug– geriti da una croce, da una chiesa abbandonata, da una antica impressione, da uno spavento. Per un mese, attra– verso la foresta e sulla costa, vaga senza una mèta; un tascapane con poche patate, una manciata di sale · che gli è costata l'assassinio di una donna, e una bomba a mano c.he, dimesso dall'ospedale da campo, gli è stata affidata affinchè provvedesse da solo e con dignità a sopprimere il proprio corpo malato. Lontani rimbombi gli annunciano un nemico che sta per venire, i fuochi sulle montpgne son~ segnali di una popolazione ostile.; ·1a luna illumina malfide paludi e la pioggia che insiste per intiere giornate gli penetra nelle ossa. La guerra del soldato Tamura è una guerra di fantasmi e di incubi, è un'attesa supina di qualche accadimento, di una offesa, di un colpo che uccida. Una inconsapevole rivolta umana conclude il terri– bile dramma di Tamura, ma sopraggiunge il buio, la pazzia, un desiderio infinito di solitudine. E' difficile ritornare uomo. Questo è il prezzo che si paga alla fine di una guerra. Né ironia né speraoza: quella di Ooka è una ribellione, una dura protesta, la condanna amara e senza riserve di ogni tipo di guerra. FRANCO. BOIARDI E' USCITO NEI QUADERNI DI "NUOVA REPUBBLICA,, E. K.ARDELJ, Le ragioni della crisi ·ungherese

RkJQdWJsaXNoZXIy