Nuova Repubblica - anno V - n. 17 - 28 aprile 1957

(·,<,_j (t 00) nuoH r~pul,l,lica 'Scegliendo fior da fiore (Vis. di Di11'o Bosclti) ~l==L=· =U=C=I=D=E=L=L=A=R=I=B=A=L=T=A=. =i DA OTELLO AlCOCCODRILLI di GIACOMO GAMBETTI /L'ALTERNARSI nei pannr del Moro e di Jago dei due , attori :principali dell'Otello shals:espeariano (pre- sentato con molta attesa dagli « Spettacoli Vittorio Gassman » al Festival della Prosa) ha una giustificazione e un motivo soprattutto di carattere estetico. Questo infatti - che, dopo le e.Sperienze inglesi, se non erriaino élccade in Italia per Ja prima volta - è l'unico modo per com– prendere e definire chiaramente tutta la tragedia, perchè i due personaggi sono nettamente posti in un fondamentale rapporto di reciproca chiarificazione, q·uali due aspetti, a 101·0 volta formati da numerose sfaccettature, di un unico animo, e rappresentazione artistica delle forze di un carat– tere uffian0. E' su cìuesto piano, poi, ch"e il campo è libero, come è naturale, alle interpretazioni più varie e più per– sonali, sia di registi che di attori. Il personaggio-Otello di Gassman è un generale forte, giovane, nel pièno della gloria e della fortuna: ma l'attore non ha saputo sempre privarsi dei suoi-toni più. insinc'eri e più ricercati (accen– tuando la versione felice, però a volte un po' troppo· bar– bara, di Salvatore Quasimodo), che sono anche i meno riusciti; annientato poi dal dolore e dall'odio-amore nei confronti di Desdemona, egli ha smesso di ascoltarsi com– piaciuto ed è stato assai più credibile e intimo. L'Otello di Salvo Randone è un uomo maturo, che ha vissuto e sof– ferto; riguardo' alla fuga di Desdemona « convinçe i giudici con la nobile e sincera ingenuità delle sue giustificazioni-»; la moglie è ·per lui « l'oblio delle sue penose, passate vi– cende; è fa gioia del presente, la dolcezza del futuro, dopo un'esistenza di emozioni gradite, ma travagliata da bufere e da tempeste;>; alla fine H supposto_ tradimento è soprat– tutto e essenzialmente « un'offesa alla sua lealtà >>.Sono parole di Tommaso Salvini, uno dei « grandi » dell'800 che meno seguì i modi un po' esteriori generalmente imp~ranti nel suo tempo; e Randone, interprete eminentemente mo– derno, attore centrato soprattutto sùll'umanità e sulla vita semplice e quotidiana dei suoi personaggi, ha creato un carattere profondamente vicino alla sensibilità e agli inte– ressi preminenti del mondo di oggi, puntando in maniera fondamentale sulla credibilità naturale e sentita, sulla profondità dei sentimenti e della forza d'animo. All'op– posto dell'Otello più classico ed eroico, il momento dello -schianto signifìca per lui una estrinsecazione del proprio cuore e del proprio dolore, nella fine di tutte le ultime spe– ranze di lottare e di vivere, di avere ancora un'importanza nell'arco di un mondo fatto anche di sentimenti, dopo che di gloria, di non isolarsi in un inaridimento dell'animo. I due Jago sono sul medesimo, rispettivo piano: di ragiona– mento e di sottile e nello stesso tempo amara perfidia quello di Randone, di baldanza giovanile e spesso di pura e insidiante cattiveria quello di Gassman, cui l'attore ha dato una dimensione forse più felice del suo stesso Otello. Alla diversa prospettiva in cui sono visti i protagonisti, non corrisponde però, come avrebbe dovuto, una- diversa e analoga disposizione della vicenda e di tutto lo. spettacolo, cosicchè l'analisi interpretativa del regista· si è approfon– djta in una direzione ibrida, che non è compiuta nè nel– l'urla nè nell'altra distribuzione. Del resto gli altri attori,– per parte loro, non hanno costftuito, in maggioranza, una• presenza molto espressiva; all'infuori infatti del FeJiciani, assai sicuro in ambedue i ruoli, e dell'Anzelmo, nessuno ·è parso convincente e aJI'altezza della situazione: nè An– drea Bosic come Doge, né Osvaldo Ruggieri che ha creato un Cassio assai sc_olorito e impersonale, come invece non deve essere, nè soprattutto Anrl~maria Ferrero, attrice inadatta ai classici, debolissima e inefficace Desdemona. La regia, dunque con diversi meriti ma non priva di limiti, erà dello st,.s.s._oGassman, un uomo di teatro che comunque affr"onta con \fcurezza sia le ambizioni che le responsabilità; incerte nello Stile e complessivamente non belle le scene, a parte forse quelle dell'arrivo a Cipro e deUa rissa.; più felice, lo stesso Coltellacci, nel disegno dei costumi. Ancora Vittorio Gassman ha presentato I tromboni di Federico Zardi. Poichè ne ha già riferito, nello scorso nu– mero, Vito Pa'ndolfi, Passiamo subito a un autore esor– diente, Guido Rocca, che dalla cronaca ·sèttimanale ha tratto gli spunti e i modi per la sua I coccodrilli, i-appre– sentata al Festival (pèr l'indisponi·bilità del Teatro di Trieste, con Gti ipocriti di Giovanin~ftn dalla 1< Compagnia Proclemer-Albertazzi-Sanipoli-Carotenuto »: un'opera fon– damentalmente amara, di còstu·me e d'ambiente, centrata su alcuni particolari caratteri di giovani d'oggi. Felice nelle psicologie e nelle situazioni .nella prima parte, dotata di ottimi brani letterari nella seconda e nel finale, la còm– media scopre incertezze, squilibri, scarsez{a di mestiere e di tecnica, ma ~anche i suoi difetti rivelano un autore, impegnato e positivo, che è tutt'altro che privo di capacità e che sa rivestire quasi sempre di modi suoi personali la realtà da cui trae le mosse. Anche il regista, Franco Rossi (l'autore di Amici per La pelle) è un esor– diente in teatro: ha fatto un ottimo lavoro (con le scene di Pier Luigi P.izzi) di dinamica interpretazione, aderen• tissimo allo spirito del testo e nello stesso tempo assai personale e soprattutto pieno di spirito. Quello stesso sp1- rito che Giorgio Albertazzi, attore intelligente e moderno. nelle vesti del protagonista ha profuso forse un po' troppv, togliendo al suo personaigio quel tanto di cinismo e so– prattutto di amarezza indispensabili, e perfino il suo stesso coccodrillismo; ottimi gli altri, fra ,cui Bianca Toccafondi. Eccellente la recitazione di tutti, e sopi-attutto di Anna Pfoclemer, ormai deHe nostre migliori, e di Giorgio Al– bertazzi, in Un cappello pieno di pioggia, tre atti di Michael V. Gazo che hanno la pretesa quanto mai spropositata di mettersi sul piano di Morte di un commesso viaggiatore, adattati e messi in scena, per la stessa compagnia, da Luigi Squarzina. Questa volta si è trattato di una vera e propria interpretazione predominante e di una regia creativa (con la scena unica di Gianni Polidori), che ha saputo giusti– ficare l'opera. Di per sè, infatti, il drammone di Gazo, scritto, a quanto pare, quasi nei modi della commedia dell'arte, coi dialoghi e i movimenti crea.ti sul canovaccio dell'autore in accordo coi :primi interpreti, è solamente, nella cornice di un certo mestiere, una storia che preten– derebbe di tracciare tutto in una volta, molti, troppi pro– blemi umani e soc~ali della vita di oggi. N. B. H lettore appena attento e avveduto si è di certo accorto che il giudizio relativo à Giorgio De Lu.Ho, apparso neI corso del pezzo qui pubblicato sul n. 154, Esordio del Fe– stival, si riferisce aU'interpreie (che non recitava) anzich~ al regista (come doveva essere) solo per il salto di alcune righe. 7 • BIBLIOTECA L'EVANGELO E IL MITO P OTRA' forse sembrar strano a qualcuno che su ,,. di un periodico prevalentemente politico come Nuova Repubblica venga recensito e pi-esentato àl pubblico un libro a carattere strettamente religioso, anzf, per meglio dire, essenzialmente teologico, com'è questo del Miegge (Giovanni Miegge, L'Evangel.o e H Mito, Milano, Edizioni di Comunità, 1956). In .effetti però non pare stranezza il par.lar di teologia sul terreno politico, se si considera che è proprio nella quasi assoluta impreparazione teologica che è sempre risieduta la debo– lezza di ogni pensiero laico che volesse affrontare in sede politica le più agguerrite falangi dei curialisti. Ques~ fenomeno si è sempre verificato dappoichè, in una errat~ valutazione del separatismo tra Stato e Chiesa, si è rite– nuto che, relegand·o i fenomeni religiosi nel campo eselu– sivamente privatistico, si potesse bandire ogni prepara– zione teologica per poter affrontare compiutamente ogni problema di laicizzazione della· vita pubblica. · Un invito a rimeditare taluni spunti del pensiero teo– logico contemporaneo non riesca quindi discaro neppure al cultore di questioni politiche. Il volume del Miegge presenta ai lettori italiani il pensiero del teologo prote• stante tedesco Rudolf Bultmann, professore all'Università di Marburgo, assai noto nel campo degli studi teologici, tra l'altro per i suoi lavori sulla « Storia della tradizione sinottica»,. il « Commentario all'Evangelo di Giova~ni » (1941), « Il Cristianesimo primitivo ne:l quadro delle antiche religioni» (1948-53), ed infine per il volume « Ri– velazione ed ev~nto salvificante » edito nel i"941, nel quale egli presenta la sua tesi sulla necessità di « demitologiz– zare » il Nuovo Testamento. Giovanni Miegge, professore dì esegesi neotestamen– taria nella Facoltà Valdese di Teologia di Roma, autore già noto al pubblico italiano, tra l'altro per i suoi volumi su «Lutero» (1946) e « Per una fede» (1952), ci espone ora in tutta la sua vivezza la problematica 'insita nel pen– siero di Bultmann, offrendo così al lettore l'occasìbne di aggiornarsi nel merito di una delle questioni più aperte nel campo teologico in questi ultimi anni. Il l\1iegge, a mezzo di una esposizione ~hiara e precisa, di un discor- 1·ere se:r.rato e limpido, trasporta il lettore, anche poco assuefatto ai non semplici problemi dell'ordine teologico, nel vivo delle questioni, mostrandoglierie ad un tempo la ·complessità e· l'importanza in una elaborazione critica, ma al tempo stesso semplice. Il problema della· creazione del mito di fronte al dato della rivelazione diVìna, come di fronte ai fatti sto– rici, è uno dei più tormeqtati e dei più vivi in ogni epoca che intenda rendersi conto della sua présenza nella storia. Come fenomeno culturale il mito è stato sempre inqua– drato in una posizione d_eteriore di favola in contrappo– sizione ad un logos, di Jeggenda in antitesi alla verità, di fantasiosa elaborazione del dato storièo reale. Tuttavia non vi è epoca dell'umano divenire che non abbia avver– tito la presenza del mito, la sua linfa feconda, e che non abbia cercato di abbattere i miti, per farne poi sorger dei nuovi in luogo di quelli caduti, quali più dirette espres– sioni del suo pensiero e del suo vivere. Anche la storia di questi nostri ultimi anni ha subìto prepotentemente l'influsso dei miti, del loro fascinoso potere nelle fasi di rigoglio come nella rovina lacerante dello spirito umano nel momento della loro caduta. Alla problematica insita nel mito e ad un processo d1 derilitologizzazione non sembra dover sfuggire neppure il mondo della rivelazione cristiana, malgrado la sua fre– schezza e la sua sempre attuale incidenza -del .trascen– dente incarnato Figliolo di -Dio, nella vita dell'uomo. Il tema trova le sue radic-i nel ·fatto che mentre manca un documento storico originario e diretto, il messaggio neo– testamentario è a noi pervenuto soltanto a mezzo della testimonianza delle primitive comunità cristiane. Nel risa– lire da queste testimonianze alla sua veste originaria, è possibile rinvenire se ed in quali forme il messaggio di– vino è stato avvolto da diversi aspetti mitici, subendo talune deformazioni? E' in questa linea che si sviluppa il pensiero del teologo tedesc;o, nei confronti del quale il Miegge avverte con accurata prudenza che il Nuoyu Te– stamento è un messaggio (kerygma), l'annuncio della Buona Novella della salvezza, nella morte e nella resur– rezione del Cristo, valido allora come oggidì ed in ogni tempo. Il pensiero del Bultmann offre un impulso e so– spinge il lettore a seguirlo nel voler vivere il messaggio cristiano libero da ogni implicazione cosmologica e meta– fisica, sotto l'osservazione attenta di una revisior,e demi– tologizzante ché non è scevra di un vivo interesse e si sviluppa nelle vie di un esistenzialismo di cui non è dato però scorgere sino in fondo le ultiine implicazioni. Critici protestanti e cattolici si presentano pressochè uniti nel prendere nei confronti del pensiero e soprattutto delle conseguenze del procesSo di demitologizzazione del messaggio cristiano offerto dal Bultmann, un atteggia– mento di remora e di moderazione. E' innegabile che nella storia stessa <;lell'uomo, nel suo pensiero come nel suo credere, il mitd si po~e come una « valutazione posi– tiva », come « linguaggio della fede religiosa in una linea di pensiero in cui la religione non è concepita in modo prevalentemente razionale, ma come atteggiamento to– tale e nella sua espressione più acuta non r.azionale, o di una particolare razionalità: la linea si direbbe, dell'irra– zionalismo religioso, se que5;ta parola non fosse pregna di indesiderabili confusioni e semplificaz-ioni >> (pag. 135). Anche se, ~ome rileva il Miegge, Bultmann eccede nel caricare il dato impersonale della comunità primitiva

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