Nuova Repubblica - anno V - n. 16 - 21 aprile 1957

(159) 111w11a repubblica ATTUAZIONE COSTITUZIONALE_ La scuola è aperta per tutti (Dis. di Di110 /Joschi) ll;==L=U=C=I =D=E=L=L='A==R=I=B=A====L=T=A=~ I TROMBONI di VITO PANDOLFI F .EDERICO Zardi aveva intito~ato il suo ultimo lavoro, ripresentato recentemente al Festival bolognese, Scnndalo aU'itctliana. Sembra che la censura, oltre ad effettuare qualche taglio, lo abbia consigliato a cam– biar titolo, e la commedia è apparsa in cartellone come I tromboni, alludendo così ai personaggi nefasti della vita nazionale da bollare e da sconfiggere. Il lavoro di Zardi investe con violenza davvero inu– sitata le vergogne più clamorose del nostro paese. Sia pure in modo confuso e caotico, non pone limiti al com– pito del piccone demolitore, e lascia intendere chiara– mente dove orientare le speranze. Per la chiareZza batta– gliera con cui le presenta, si accetterebbero volentieri buona parte delle tesi polemiche di Zardi, e sostanzial– mente non si può non concordare con i suoi punti di vista, anche se si viene messi un poco in sospetto dalla loro genericità, anche ·se a volte le accuse ci sembrano configurarsi in alibi, anche se le proteste fanno ormai parte di un luogo comune, espresse a Questo modo. Sul palcoscenico tuttavia considerazioni come quelle che ab– biamo esposto, non contano molto. Conta il risultato tea– trale. Ad apertura di sipario vediamo Gassman nelle vesti di uno sciocco boxeur di estrazione lombarda, ballare il ' roclc and roti con Anna Mar,ia Ferrero, figlia viziata di un grande jndustriale. La madre - riprodotta con spi– ritosa e amabile malizia da Neda Naldi - è una sven– tata perdigiorno, la cui vacuità mentale non ha limiti. Esasperata dai grilli di quel bizzarro prodotto che è sua figlia, la conduce dalla unica salvezza possibile: uno psi– coallalista, cioè Vittorio' Gassman in camice biancò, oc– chiali, erre forte. Quanto dire un ciat'.latano. La sventu– rata dalla psiche sconvolta ne resta così poco convinta, che poco dopo, per disperazione, va a letto con un gio– vane deputato liberale, e al risveglio, disgustata oltre ogni limite dalla sua loquela incisa su nastro magnetico, lo fredda con la massima tranquillità di spirito. Non resta che ricorrere a un grande penalista. Il mago della psi– coanalisi non siamo riusciti a riconoscerlo. Forse era un personaggio di fantasia. Ma il penalista - in questo appassionante gioco di società - ci è parso riconoscibi– ]issimo per l'accento e la truccatura di Vittorio Gassman, chioma fluente e gesto teatralissimo. Il grande avvocato - trombone anch'egli - imbastirà qualcuna delle sue incredibili storie, si scatenerà in un'arringa formidabil– mente patetica, farà assolvere la pazzerella. Le cose cominciano a complicarsi. Finora questa figlia di miliardi anche nel suo delitto si manteneva coerente con le origini; ma eccola sragionare, cioè ragio– nare da persona normale, ribellarsi agli imbrogli in cui vorrebbe cacciarla l'avvocato (che se non fosse da lei minacciato del peggio getterebbe l'accusa su di un capo– lega). Ahimè, comincia a parlare per sua bocca l'Autore. Il Nostro è simpaticissimo, come il lettore avrà capito, ma nonostante ciò qualsiasi personaggio di questa fatta, pur con la grazia di Anna Maria Ferrere, diventa auto– maticamente insopportabile, attir3 gli schiaffi e il torto. Nel quadro che segue vediamo la fanciulla alle prese con un regista cinematografico - forse il solo personag– gio che tutto il pubblico, é non il grupPo più o meno largo degli iniziati, identifica senza difficoltà - deciso a sfruttare Jo scandalo per un film che l'aiuto-regista delinea in funzione messianica, lo sceneggiatore - preso di peso dalla realtà nella interpretazione di Luciano Salce (l'ottimo regista de1Jo spettacolo) - in funzione melodrammatica, cioè d'incassi. Per questa strada si po– trebbe andare avanti all'infinito. Si tratta cioè di un nor– !Tiale filo conduttore per i quadri; ma in una rivista il filo conduttore_ resta sempre in secondo piano; qui in– vece assume un peso sproporzionato, da commedia. Sot– to il suo peso, a suo confronto, i personaggi appaiono o schematici o macchiettistici. Lo stesso dialogo fa centro sulla battuta, "~"::_modo dell'umorismo letterario, e non sulla situazionè, secondo le regole dell'umorismo teatrale. Dice direttamente quello che si dovrebbe capire indi– rettamente. La verità che vuole imporsi, non convince. Dal regista passiamo al grande giornalista - inequi– vocabilmente lui, il principe del giornale principe - in– contrato casualmente in Spagn.a da madre e figlia in viaggio per dimenticare. 11 segno caricaturple incide nel vivo ed è ben indirizzato: ma l'eccessiva insistenza, le intenzioni volutamente dichiarate, finiscono per atte– nuarne granàemente l'effetto. Gassman si presenta nelle vesti di se stesso, quando la nostra ero]Ìia aspira perfino al teatro di prosa. Nel parodiarsi è davvero inarrivabile. Nonostante le repliche come al solito irritanti della fan– ciulla (avrebbe il compito di smontare « i tromboni»: eppure, basta che suonino alla {·ibalta, e il loro grotte– sco trabocca) il quadro risulta vivissimo, ben ideato, ben rappresentato, ricorda Jo spirito dei celebri impromptus parigini. Nel quadro successivo Gassman è un intellet– tuale di sinistra seduto in buona compagnia da Rosati, e poi alle prese con un gruppo di operai, pronto a di– scutere dei fatti di Ungheria: questi intellettuali vi ap– paiono cinici e di grossolana malafede (personificazioni di tal genere contengono il pericolo di fare di tutt'erbe un fascio). Gassman si traveste ora da deputato di moderata sinistra: due o tre nomi vengono alla mente ma non si sa decidere chi sia il preso di mira. ·sfruttatore, codardo, servo sciocco del magnate, pronto agli inchini più servili dinanzi all'alta finanza: un ritratto dal vero? La satira colpisce il ·segno: Jna anche qui la situazione è troppo. voluta per divertire. Infine e ancora, Gassman nelle ve– sti di un giovane dirigente d'industria, perfido e snob ---:-ci sembra di vederlo, là, dalle parti della provincia milanese - a cui per contrappasso càpita fra capo e collo quella castigamatti della figlia del suo capo, decisa a rendere la fabbrica da lui custodita, fulgido esempio di giustizia sociale. A questo punto il magnate - giu– stamente, almeno dal suo punto di vista - perde la pazienza, rificca la sua tormentosa progenie tra le mani del psicoanalista, le fa portar via certe ghiandole con– turbanti, e al quadro finale la vediamo, idiota per sem– pre, ballare di nuovo il rock and roU con il boxeur. L'Apocalisse minaccia spesso di affogare in un bicchier d'acqua. Un'esperienza - tutto sommato - per più lati po– sitiva. Finalmente un autore italiano ha osato affrontare coraggiosamente le situazioni più scottanti della nostra vita nazionale: il pubblico lo ha ripagato con un con– senso che è stato eccezionale in questo dopoguerra per una novità italiana, e che è dovuto soprattutto alle inter– pretazioni di Gassman ma anche all'attualità e alla vi-. vezza delJe questioni che finalmente la scena gli porge, sia pure in modo ancora incerto e confuso. 7 BJll.LlO'l'ECA • LETTERA D' AMOHE U N cc RACCONTO » certamente non è questa Let– tera d'amore di Giuseppe Bartolucci, che Feltri– nelli ha or ora pubblicato nella sua Universale economicn. E' piuttosto uno sfogo, una liberazione daì peso dei ricordi, dell'amore, delle nostalgie che opprimù il ·malato da tempo tagliato fuori dal mondo, esiliato in una casa di. cura solitaria fra i monti « come un transa– tlantico a metà mare». E sono appunto la casa di éura e la città - la realtà di oggi e la realtà di ieri - i poli intorno ai quali gira il mondo della Lettera. Di lui che scrive a lei, la Lettera tace i nomi ma entrambi sono così vivi e veri, che ogni notizia anag1'.afic2 non aggiungerebbe nulla alla loro personalità. Tutta la prima parte della Letrtera non è ~he un caldo rivivere di una felicità perduta, e il discorso si fa trepido, frenetico, e perfino quasi sfrenato. Le parole s·ammassano, si gonfiano e precipitano come la lava di un vulcano che si risvegli dopo anni. E allora rivelano l'occasione, il momento che le ha dettate ( « E mi cer .. cavi dappertutto, disperatamente felice. Libera allodoia. cielo, mare, ciliegio fiorito, amante, sorella, leopardo, tigre, agnello; lago, fiume, cuore della mia vita e delJa tua vita ti voglio tanto bene, tanto tanto, per sempre, angelo del mio cuore, per sempre, orsacchiotto, bambina, scimmia, ragazzaccia, moglie, mio amore, amore». e< Era bello affondare in te; carezzarti i capelli dietro la nuca, invitarti a salire domani a casa mia, per offrirti tutte le mie energie, e vederti morire di dolce stanchezza, gli occhi cerchiati di blu»). Eppure, è questa la parte vera della lettera, la sua ragione unica, quella che la giustifica, la riscatta da una semplice, anche se attenta e< relazione» dalla casa di cura. (Il diario si rivela qua e là, anche se le note sono abilmente cucite e spesso si fondono in un discorso di ampio resPiro). Certe pagine che descrivono l'ambiente del sanatorio rimangono purtroppo sul piano assai mode– sto della tlota di cronaca, e qualche osservazione diventa perfino fastidiosa, quasi stucchevole ( (< Quanti sono coloro che attendono con timore il momento di tornare a casa, dové troveranno disoccupazione, disciplina di vita, incertezza d€1 domani, isolamento? »). La pagina si redime invece in certi rapidi « ritratti » di compagni degenti; allora creature viye gridarlo, pian– gono, soffrono, imprecano, e il lettore sente nascere in sé una calda e tenera simpatia per loro. Giuseppe Bartolucci è redattore e critico letterario dell'edizione milanese dell'Avanti!. Critico, è quasi sem– pre attento e severo, raramente gli accade di peccare di generosità. Perciò stupisce un poco che abbia peccato proprio con se stesso. Perché, in verità, questa Lettern d'amore rimarrà nella storia personale di Bartolucci scrittore come un episodio che egli stesso si stupirà di aver reso pubblico. La cosa si spiega con la forza viva e violenta della passione per la donna amata; poichè si sa che la passione non accende solo i senti. La Lettera, però, ha· un merito, oltre a quello di farsi leggere con una piacevole leggei·ezza: ci fa attender; Bartolucci alla nuova, ma che in realtà sarà la prima, <e prova», quella: del romanzo, che ha terminato e avrà un tHolo molto significativo: La vergogna. D. T, ZAPATA L'INVINCIBILE D OPO la pubblicazione nel 1953 _del saggio di Horacio Estol su Pancho Villa (Cooperativa del Libro Po– polare, Milano), l'opera di Pinchon su Zapata (Edgcumb Pinchon, Zap(tta L'invincibile.· Milano 1 Feltri– nelli, 1956), contribuisce ulteriormente a chiarire gli avveniment: e i problemi che si collegano alla storia rivo– luzionaria e alle lotte democratiche del poi,olo messicano, alle imprese leggendarie dei capi contadini, e alla con– quista del potere da parte loro agli inizi del nostro secolo. Cento anrti prima il Messico aveva- otte"nuto ]'indi– pendenza dalla dominazione spagnola; dopo una guerra sanguinosa e decisa, in cui avevano trovato la mortt: migliaia di indios e Miguel Hidafgo y Castilla e Josè Morelos. Il generale Santa Ana aveva condotto a termine questa lotta nazionale, rovesciando il regno di !turbide e dando vita alla pr"ima costituzione repubblicana. Rima– nevano irrisolti però i secolari e tragici problemi della società messicana, sottoposta ancora ad un regime rigi– damente feudale e ad una miseria avvilente; rimane– vano senza risposta le aspettative popolari e insoddisfatte quelle esigenze di libertà che avevano informato lo spì– i:ito della rivolta. La politica di potenza degli americani e l'invasione progressiva dei loro capitali asservirono il territorio mes– sicano ad una nuova forma di dominazione, tra la pusil– lanimità dei governi e intermittenti insurrezioni popolari. Chi mise fine a questo stato di cose, fu il trionfo rivoluzionario di Benito Juarez e la promozione, nel 1857, di un nuovo ordinamento costituzionale. In seguito . anche ai provvedimenti legislativi promulgati da Juarez durante i primi anni della sua elezione a presidente della repubblica, venne stabilita l'espropriazione delle grandi proprietà terriere, e promosso l'incameramento dei beni ecclesiastici; di fatto, dopo il riconoscimento del 1833, cominciò ad esistere una reale parità di diritti tra i bianchi e gli indios, e cessò del tutto, dopo l'abolizione del 1835, la schiavitù dei negri. I tentativi controrivo– luzionari ispirati dalla Chiesa e sorretti dall'influenza straniera, furono uno per uno stroncati da Juarez fino al 1860; sette ann~ dopo, terminò anche la breve paren– tesi imperiale di Massimiliano d'As·burgo. Soltanto con la morte di Juarez il Messico riprese ad

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