Nuova Repubblica - anno V - n. 10 - 10 marzo 1957

2 TUTTO ILPOTERE A. L MONO P .LI O di FRANCO VERRA A DUNATA oceanica, quest'anno, i..ll'assemblea della Confindu~tria. Tutto era _stato predispos_to perchè la convocazione annualo dei rappresc-mtanh delle orga– nizzazioni territoriali e di categoria degli industriali po– tosse tràsformarsi in una. manifestazione di forza e di com– pattezza del padronato italiano. Discussioni, come sempr?, non ce ne sono state e l'esame della nostra complessa si– tuazione produttiva, economica e sociale si è esmuito nella relazione del dr. De :Micheli e negli interventi dei ministri CClrtese, Andreotti e 1'vfodici, che IacevaiÌ.o « ala·~ ai ma– gnati ae11a nostra industria. Quali siano i problemi più assillanti degli industriali italiani non si è capito bene, chè, in assenza di un vero dibattito, non si può valutarli sulla base del discorso di De Micheli, uomo di concetq modesti, oratore grigio e monotono. In realtà si è trattato, tutto sommato, di una manifestazione politica. per riproporre il rilancio della < triplice interconfederale » e rivendicare i[ djritto degli industriali di partecipare, non come privati cittadini, ma come rappresentanti e sostenitori di interessi sezionaH, alla vita pubblica del paese. Non sono mancate le critiche, condivise poi dal ministro Ah~reotti, al nostro sistema fi– scale, troppo oneroso per l'iniziativa privata, compressa e mortificata appunto dalla brutalità del fisco. Non sono mancate le critiche, sottolineate da scroscianti battimani, alle imprese pubbliche, e persino il mercato cornune e l'Eurato~ sono stati sfiorati dalla diffidenza di De Micheli, il quale li accetta solo in quanto siano espressione di at• tività sottratte e in toto> all'iniziativa statale, a cui invece si fa appello per proteggere quelle industrie che dal mer– cato comune,. per effetto della concorrenza straniera, ve– nissero a trovarsi in condizioni di difficoltà. Insomma', il governo dovrebbe sviluppare ancor più, per l'avvenire, una· politica economica. ispirata agli interessi confindustriali. Ma nonostante l'adunata oceanica e l'apparente una– nimità, che del resto non poteva non esserci <lato che gli eventuali dissenzienti non avevano il tempo materiale per parlare, le forze degli industriali italiani non risultano poi tanto monolitiche. E' emerso chiaramente nei giorni successivi all'assemblea che v"è 1111 dissidio di non tra• scurabili proponioni fra piccoli e medi industriali, da 'una parte, e-gruppi rnonopclistici, dall'altra, i quali ultimi, pur nòn figurando in posizione di leaders di 1jrimo piano nell'organizzazione padronale dell'industria, ne ispirano compattamente la politica. E si è riaffacciato il dissidio fra industriali del Kord e industriali del Sud. Se n'è• avuta la prova, quando, nei .dieci minuti che gli sono stati con– cessi per parlare, l'ing. La Ca.vera, presidente della Sicin– dustria, ha sottolineato che, in mancanza dei promessi è non mantenuti intervenfi ed investimenti della iniziativa privato. del settentrione, gli industriali siciliani auspicano che l'lRI e l'ENi investano i capitali necessari alla ef– fettiva rinascita dell'Isola. Negli ambienti confindustriali un atteggiamento del genere è considerato vera e propria eresia, od il La Cavera appare a De Micheli, scrupoloso esecutore della politica di Marinotti, dei Valletta e dei Faina, una specie di Tito della situazione industriale ita– liana. Ciò A ritenuto tanto più grave in questo momento, in cui i dirigenti confindustriali sono impegnati non già contro il comunismo - ch'essi, sul terreno dello obietti;e valutazioni di classe, considerano debellato - ma contro il dirigismo economico. Lo slogan dell'assemblea avrebbe potuto essere questo: e abbasso l'IRI e l'ENJ, tutto ·il potere al monopolio privato! :.. I piccoli e medi industriali ed i loro colleghi siciliani si sono accorti di essere chiamati a difondere interessi non propri e qualche fermento di ribellione è serpeggiato fra loro, Ma il governo ha accolto il ricatto di Dc M.icheli e, .a pochi giorni di distanza dalle sue strombazzate liberiste, ha chiamato al ministero delle partecipazioni quel 'l'ogni che, per gli industriali del monopolio, è ·1a più sicura garanzia che in Italia non si farà, almeno per ora, una seria politica d'intervento statale nell'economia. I"'er la Confindustria la difesa del liberismo coincide come si sa con la difesa delle libertà democratiche ( !) e pe1·sino con la tutela delle classi lavoratrici che, in un regime dt libera ed incontrollata iniziativa privàta, vedrebbero ~accresqiute le occasioni di duraturo lavoro. Sempre per difendere gli interess.i dei lavoratori, .Òe Micheli ha messo in guardia i suoi associati dal concedere la diminuzione dell'orario di lavoro a parità di salario, o altre provvidenze. Tutte belle cose, dice, il presidente della Confindustria, ma in .... Ame– rica., non in Italia, OV9 la situazione è difficile e potreb– bero risolversi in un danno per gli operai. Per· fortuna in Italia abbiamo questi bravi magnati dell'indushia, che risolvono ogni problema e che pensano a tutto o a tutti: agli interessi dei loro ignari dipendenti, a suggerire, .o me• glio ad imporre, la giusta politica economica ad un- go– verno che non sa che cosa deve fare, a difendere la de– mocra.zia e Ja libertà e la dignihì della persona. De Micheli queste cose non le ha taciute anzi le ha dette a tutte lettere; e fin qui niente di male, tanto più che nemmeno i suoi associali gli avranno interamente cre– duto. Il male è incominciato quando tre ministri si sono succeduti a11a tribuna per far proprie le tesi del relatore ed assicurarlo che il governo farà del suo meglio per ren– dere inoperante il ministero· delle partecipazioni, che, se– condo l'on. Cortese, dovrebbe avere un generico carat– tere di burocratico coordinamento di attività statali non precluse al.. .. dominio cli,i privati, e per attutire i riflessi pratici di un ordinamento tfibl.ltario che non piace nean– che all'on. Andreotti. Il ministro l\fedici, tanto per mar:i~nersi sulle generali, ha dichiarato, all'inizio del suo intervento, di ;::ondividere completamente il discorso del presidente della Con6ndustria, che aveva ascoltato con particolare attenzione. Di fronte a tanta unanimità e a così « amorosi sensi > fra industriali e governo e soprattutto di fronte alla po– litica enunciata con prosopopea e sufficiem;a, quale è l'at– teggiamento dei sindacati? Che cosa intendono (are? Con quale politica, intendono rispondere! E' quello che sa– rebbe ormai l'ora di conosce!.:..e. ll==L=E=T=T=ER=E=A=L=D=IR=E=T=T=O=R=E = lii I CALCOLI DELLA TIMO CAMPOBASSO, l marzo 1957. Caro direttore~ lo scritto p·ubblicato nel n. 5 di Nuova Repubblica <lava un totale di n. 1.572 abbonati attivi a Carnpobasso al 31-12-1956. Successivamente la TIMO, entro il feb– braio, ha pubblicato il richiesto supplemento defili abbo– nati attiyi al 31-12-1956. Esso elenca n. 409 nominativi di Rbbonati. Ho potuto però personà.lmente provare alcune irregolarità. . Il rag. Setaro Alitonio ha occupato l'appartamento del "dott. Cardarelli Roberto, da tempo trasferitosi altrove, conservandone il numero telefonico. Il Setaro non doveva essere elencato fra i nuo\"i abbonati, ma nella pagina delle varfozioni, fra i subentri. Il prof. Di Muzio Umberto si è trasferito in altro ap– partamento, ed è stato elencato col nuovo numero telefo– nico nel supplemento. La sua precedente abitazione è stata J?Oi occupata da!Ja Balducci Sina riportata pur essa nel supplemento con )o stesso numero telefonico che aveva il Di Muzio quando abitava in via Torino. O il Di Muzio o la Balducci dovevan e:-scre elencati nella pagina delle va.riazioni. Non sono in grado di dire se vi siano altre irregolarità del genere. L'art. 20 del Regolamento di servizio riportato a pag. 5 'dell'elenco ufficiale precisa che gli apparecchi installati nello stesso appartamento, ufficio o stabilimento sono da considerarsi supplementari, e che pertanto non danno luogo ad altrettanti abbonar.o.enti. Tenuto presente ciò son tornato a contare il numero degli abbonati attivi al 31-12-1956, e questa volta, Jimitatamente ai soli uffici pub– blici, non ho considerato i numeri d'ogni singolo ufficio come altrettanti abbonati, appunto perchè non sono da considerarsi tali. ·Ed ecco il prospetto aggiornato: abbonati attivi al 31-12-1956 ripor- tati nell'elenco ufTiciale (tolti i supplementari) 1.434 abbonati dei Comuni compresi nella rete m·bana di CBasso 35 abbonati riportati nel supplemento (detratti i 2 doppioni di cui sopra) 4G5 riportati nol. ·supplemento 2 totale abbonati attivi al 31·12-105G 1.V3G Sembra dunque che la TIMO anche in seguito alla pubblicazione del supplemento non abbia superato al 31-12-I 050 i 2.000 abbonati attivi per poter applicare per 1a rete UJ·banl\ di CBasso la t.a.riffa prevista per le reti di II gruppo. Né il cittadino ha la possibilità e l'autorità per inda– gare se entro lo scorso 1!)5G vi sono stati abbonati, e quanti, che hanno disdetto l'abbonamento o si sono tra– sferiti altrove da CBasso. Devo d'altronde una rettifica a proposito del 10% ap– plicato dalla TIMO per dil'itti di automatizzazione. Ho ri– trovato alcuno Iatture dello scorso l 056, e da esse risulta che il canone trimestrale per gli abbonali di lI categoria era di L. 5.. 694. Il canone, salvo una differenza di L. 48 secondo i miei conteggi, corrispondeva a quello legale contemplato nel DM 30-6•1!)55. La rettifica prova però che la 'l'IMO fino al 31-12-1!)56 conosceva la legge di cui si è dimenticata nell'euforia del capodanno l 957. Eppertanto nemmeno a datare dal 1-1-1957 poteva maggiorare i canoni di un IO% per di– ritti di automatizzazione non dovuto dagli abbonati di CBasso. Tale maggiorazione può ]asciar pensare che la rete urbana è stata automatizzata in questi ultimi mesi; ma Ja rete urbana di CBasso è automatizzata da anni". Crato de1la pubblicazione, La saluto Ettore Lal!i (155) nuova· repubblica l'l'ALIA POLI'l'ICA LA RESA DEI CONTI A Ml LAKO, domenica scor·sa, la sinistra socialdemo– cratica ha tenuto un convegno, di quClli che si so– gliono convocare nelle oro gravi. In sostanza, la corrente aveva l'impressione che la situazione marciasse più in fretta di lei; e che_fosse tempo di mettersi al passo. La discussione, che ha avutq qualche momento aspi-o e tempestoso, riguardava il quesito so si potesse o meno fidarsi, come per il passato, delle platoniche affermazioni unificnzioniste della maggioranza; se non fos.<,eormai ne– cessario iniziare una tattica d'urto, anzichè di insistente e sempre delusa arnmonizione. ]~ a questo divisamento si è infine venuti, anche se la risoluzione cli :Milano non dica gran chè di nuovo, rispetto alle precedenti. Ma essa, e tu~to il convegno, erano il segno che si sentiva arrivare la crisi: crisi del governo, o crisi del partito. E si noti c\1e la no– . mina di Togni non aveva, in quel momento, dato ancora a \"edere le sue intere conseguenze nella polemica politica. Ciò che sta dunque avYenendo nel PSDI è quanto i socialisti avevano richiesto e previsto, e la sinistra del par– tito da tempo attendeva. La socialdemocrazia è giunta alla sua resa di conti. Pìù lentamente degli altri schieramenti della sinistra italiana, nella n~.isura stessa in cui poteva esserne ritardato dalla posizione di comodo di partito go– vernativo, anche il partito socialdemocr.lltico entra a pren– dere la sua parte nel grosso movimento di revisione della sinistra popolare del nostro paese. Si diceva, al congresso di Venez"ia, che l'unificazione non avrebbe potuto compiersi se nQn provocando una loti.a interna al PSDI: da questa setti,nana la lotta è aperta, e non potrà essere palliata ùa compromessi o da soperchierie, Sarebbe facile, e di malgusto, in questo momento, pr0- nunciarn il necrologio di questo partito. Più d'uno nel no– stro movimento ne ha fatto parte in passato, e per fo1·t11na si è avvisto in tempo delle sue contraddizioni, e della sua sempre pili grav:e precarietà. Nello stesso tempo, sarebl)e ingeneroso non ricordare qui che la scissione di Palazzo Barberini se fu un· crudele e forse errnto chiarimento, an– che allorn, della sinistra italiana, risultò, soggettivamente, animata da nna spinta morale di cui non sarebbe equo discutere la sincerità. Questo riconoscimento non de,·e tnt– tavia oscurare la verità: il PSDI quasi in nessuna circo– stanza ha davvero ricoperto, negli ultimi Cinque ::i.nni, la funzione che continuava ad attribuirsi, di forza condizio– nante della democraticità in Italia; in nessuna, senza ·meno, gli si dovettero misure socialiste di governo. Non dimentichiamo, certo, l'opera di Tremelloni; ma se !'ii pensa a come questa sia stata contenuta in un ambito politico di eccellente costume liberalclemocratico, anzichè carattei-izzatamente socialista, si deYe pur avvertire che ciò si è verificato per l'arretratezza. di tutto il partito ri– spetto alle sue stesse posizioni vei-bali. Non si rivela un segreto, se si rico1·da come Tremelloni stesso dovette, troppe volte, sentire che non aveva nessuno dietro le spalle. Così la vicenda ·del PSDI incomincia a conchiud~rsi. Sappiamo bene che l'unificazione non è fatta, che le for-ze più sedentarie di questo partito resisteranno ancora; che la lotta della sua sinistra è impari, per le continue emorrngie da essa subìte negli anni, così da allontanarne le più ,·igili e critiche coscienze. Ma il principio della fine è iniziato, dal momento in cui si leva, nella Direzione, il caso Togni; dal momento in cui Matteotti ha deciso di dare la sua battaglia. Il caso Togni non è la semplice sorpresa di una scelta personale; è quello sul quale si prova il residuo, anche minimo, di socialismo del PSD.I. Il settore pubblico jn mano ad un uomo di radicato istinto privatistico, è uno scherzo, che la democrazia cristiana può anche consentirsi per l'indifferentismo dello. sua tradiz,ione in queste ma– terie, ma sul quale un socialista, diciamo pure un social– democrntico, non può ingannarsi. Ma non c'è soltanto il caso Togni (conseguenza in fondo logica di una fidllcia regalata a Segni dallo squa– gliamento di sei deputati della destra e dal voto posi– tivo di due deputati fascisti). C'è anche il caso Sarngat. Caso del tutto diverso, s'intende. çaso tanto più patetico, in quanto a nessuno è mai venuto in mente di supporre che le ambizioni ministerialistiche di Saragat non si presen– tassero sinceramente, nel foro interiore, come la certezza di un servizio da rendere in buona fede alla democrazia. Jn realhì Saragat sta decadendo senza gloria, nolla misura in cui il suo collaborazionismo governativo andava sernp1·e più facendosi privo di umiltà, nella persuasione della inso– stituibilità di una. persona, che poteva erodersi identica con la democrazia stessa. Duro al suo posto, o improvvisamente deciso alla crisi, Saragat resta il vinto più vinto di tutta la crisi del socialismo e del comunismo del 1956. Per avere tanto gridato che a Mosca non era accaduto nulla, o. che i socialisti eranq l'imasti quelli di ·ieri, Saragat si troYa al– l'improvviso ad essere superato da tutti: dai comunisti italiani in via di rabberciamento; dai socialisti avviati sulla strada giusta, e dai democristiani che hanno preso a non più considerarlo; dalla terza forza laica, repubbli– cana e radicale, pronta ad associarsi ai socialisti in una politica di alternativa. Il socialismo e ]a democrazia italiana possono ancora valersi del nome di Saragat; ma non possono più tollerare che venga speso per impacciarne il cammino. ALAl)JNO

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