Nuova Repubblica - anno V - n. 10 - 10 marzo 1957

' n U O . T 7,n •s,,1.1a.,., I/ ~ CESACl,AU1HO vta casslàn Bon, 7 repuhu T B R N I Comitato direttivo: TRISTANO C60IGNOLA (direttore resp.), PIERO CALEFFI, FERRUCCIO PARRI, PA..OLO VITTORELLI. Segr. di redazione: GIUSEPPE FAVATI. Direz. e redaz.: Firenze, Piazza Libertà 15, te\. 50-998. Amm.i Firenze, Piazza Indipendenza 29, te!. 483-20718. Autoriz. Trib. Firenze del 30 dicembre 1952. Prlnt&d in ltaly. St. Tip. de cla Nazione•, Firenze, Via Ricasoli 8. 155 • ANNO V - N. 10 EUROPA E MERCATO COMUNE P ARE ormai certo che entro la fine di marzo i mi– nistri degli esteri dei séi. paesi della « piccola Eu– ropa» apporranno la firma ai trattati, istitutivi del mercato comune e dell'Euratom:· Sarà giunta così a com– pimento la nuova fase delJa politica cosiddetta europei– stica iniziata con il « rilancio >>. di Messina della prima– vera del 1955, dopo che il fallimento della CED ebbe inferto il colpo di grazia alle superstiti speranze di co– loro che, trascinati dal cieco miraggio delrEuropa per l'Europa,' avevano finitQ con lo scambiare per l'Europa istituzioni e politiche che con l'idea di una libera co– munità dei popoli europei ben poco avevano a che fare. Non è difficile vedere infatti che le due più importanti campagne europeistiche di questo dopoguerra, quella per la CED e quella, appunto, che si sta svolgendo in queste settimane per il mercato comune, coprono inte– ressi ben identificati, particolari di Singoli Stati, spinti a sposare la causa dell'europeismo, ~ossia una carta che finora ha pagato sempre bene, da motivi affatto diversi. Se l'europeismo della CED è servito alla Germania di Bonn per. riacquistare Ja piena Parità' di diritti con le altre potenze occidentali, l'improvvisò europeismo di Mollet, sbocciato sulle rovine· della'' politiéa di Suez, mira a fornire una copertura agli' Jriteressi ·.coloniali francesi posti in pericolo dal problema a'Algeria. Comunque, poiché il mercato comune sta diventando una realtà che· avrà certamente ripercussioni inCalcola– bili sulla vita di tutti i paesi europei, non basta denun– ciare i vizi d'origine e le riserve mentali che ne carat– terizzano la· nascita. Tanto· più che, qÙali che siano le forze e i motivi contingenti che danno la spinta ·a que- 1 sta evoluzione, si tratta di un evento rivoluzionatore suscettibile di sconvolgere profondamente gli attuali equilibri economico-soCiali, bene o male esistenti nei nostri paesi: individuare le forze che stanno dietro a questa iniziativa e cercare di prevederne le ripercus– sioni e le linee di sviluppo rappresenta pertanto il com– pito principale dei partiti socialisti e di tutti i gruppi democratici. Per quanto poco ci sia stato dato di conoscere per bocca dei protagonisti di questo « rilancio >> (per l'Italia la fonte più attendibile è rappresentata dalla ri– sposta all'interpellanza dell'on. La Malfa del 18 gennaio e dal discorso pronunciato al Senato il 13 febbraio dal ministro Martino), esso costituisce una prima sufficiente base di discussione. Premesso il fatto, che dovrebbe es– sere di dominio pubblico, che il mercato comune si propone di creare un unico spazio economico nell'area occupata dai paesi della CECA, mediante l'abolizione dei dazi doganali e la creazione della libertà di circola– zione di merci, servizi, capitali e persone, con·verrà sof– fermarsi su alcuni aspetti soltanto di questa costruzio– ne ancora in stato di avanzata progettazione, per cer– care di enuclearne le principali caratteristiche. Confes– siamo però che la ricerca, nei documenti già a disposi– zione, dei fondamenti politici dell'integrazione econo– mica europe~ si conclude in modo del tutto deludente: si direbbe, anzi, che si sia inteso ostentare un voluto indifferentismo e qualunquismo ideologico, per lasciare agli istituendi organismi europei un volto quanto. più possibile tecnologico e privo di qualificazione politica. Ma se queSta è l'apparenza, diversa è la sostanza. E c'è da dire anzitutto che un primo contributo alla chia– rezza proviene dal fatto che i governi abbiano final– mente rintinciato a sbandierare'_quelle pretese di sovra– nazionalità che in passato costituiròllo un tipico spec- chietto per le allodole. , Tanto per cominciare, q "ftdi, niente sovranaziona– lità. Ma niente anche, a quanto par,ç, e questo è il pun– to fondamentale, organi politici comuni. Così almeno hanno stabilito __ gJ_i, espe_:t,i 'che lavorano ai progetti d1 trattato, tenendo qua_$i a sottolineare la separazione artificiosa tra il politico e l'economico che dovrebbe pre– siedere a tutta la nuova impalcatura. E' nota l'afferma– zione del nostro ministro degli esteri secondo la quale « il mercato comune hofl ·sarà né dirigista ·né liberista:'' il suo indirizzo sarà quello che l'evolvere delle situazio- Un numero l. 40. Estero l. 50. Un numero arretrato L. 50. Abbonamenti: annuo per Italia e Francia L. 1500, sem. L. 800, trim. l. 450. 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Senonché, pro– prio questa frase, che vorrebbe escludere ogni scelta politica, tradisce già .una scelta politica, che coincide per_fettamente, e non certo del tutto a caso, con il ri– pudio degli ostacoli al « libero espàndersi delle forze economiche » chiesto dalla Confindustria. Il delicato· com– pito di armonizzare le strutture economico-sociali dei sei paesi dovrebbe essere lasciato, dunque, al « libero gioco delle loro forze economiche». E qui, a nostro avviso, si cela l'equivoco f0ndamen– tale di tutta l'impostazione che i governi e i movimenti federalisti hanno dato al problema dell'integrazione eco– nomica europea. Si è partiti, cioé, dall'idea che per su– perare l'esigenza, reale e realmente avvertibile, di libè– rare l'Europa ·dalla sua · condizione di inferiorità nei confronti dei due grandi colossi della scena politica mondiale, gli Stati· Uniti e l'Unione Sovietica, fosse suf– ficiente abbattere le barriere e costituire un'unica entità economica. In linea di principio, un ragionamento del genere non è sbagliato, ma rappresenta semplicemente un as.Petto ·della medàglia, p~r. cui errato sarebbe non tenere conto anche del su0 rovescio, vale a dire del fatto che l'allargamento del mercato non servirà a nien– te, se non a riprodurre su scala più vasta le disfunzioni e le coalizioni di interessi già esistenti oggi nelle nostre economie chiuse, se non si affronterà il problema base· delle strutture economiche dominanti nell'area coperta dal mercato comune. E con questo siamo tornati a ciuanto dicevamo sopra sulla scelta politica già impli– Cita nello sch~ma di trattato. L'irrobustimento dell'economia europea non si otter– ià infatti grazie all'automatismo del mercato, come vor– rebbe l'ottimismo degli europeisti ufficiali, ma sarà stret– tamente legato al progresso, oltre che tecnico, economico e sociale delle classi lavoratrici. Un livellamento delle condizioni salariali e delle garanzie sociali verso il basso • o un ulteriore impoverimento delle regioni sottosvilup– pate, che sarebbero il probabile risultato del libero gio– èo delle forze economiche, non significherebbero certo un punto a favore del riscatto dell'Europa dal suo at– tuale stato di minorità, bensì un aumento delle tensioni sociali e un nuovo fattoÌ·e di debolezza e di soggezione all'America del nostro continente. ' E' evidente, dunque, che nonostante il proposito uf– ficiale di escludere la politica dal mercato comune, que– sto si p'resenta con una fisionomia politica sufficiente– mente precisa. Ciò non soltanto per il fatto di. essere limitato ai sei paesi che sappiamo, ma anche, e soprat– tutto, per il inodo stesso della sua strutturazione. Non a caso un'alta personalità di parte governativa ha te– nuto a dichiarare pubblicamente che l'assemblea del mercato comune non dovrà essere eletta direttamente dai popoli dei paesi interessati, per scongiurare appunto il pericolo che nella nuova assemblea ellropea - la quarta della serie, dopo il Consiglio d'Europa, l'assem– blea della CECA e quella dell'UEO - abbiano a sedere rappresentanti estranei ai << partiti democratici», che nella terminologia ufflciale comprendono a mala pena i membri del quadripartit0. Non a caso, quindi, dalla nuova assemblea dovrebbero risultare esclusi gli orga– nismi politici che più direttamente rappresentano le masse lavoratrici. E veniai:no a un altro punto: servirà almeno il mer– cato comune a creare le premesse per una azione auto– noma dell'Europa sul piano internazionale? Stando alle dichiarazioni dei suoi promotori si direbbe di Ilo. Al contrario, si tratterebbe di un altro tentativo per soffo– care ogni velleità autonomistica, poiché è chiaro che la cristallizzazione della situazione europea nei termini odierni significherebbe un atteggiamento di chiusura nei confronti di ogni ipotesi" di più elastica articolazione della politica europea, ipotesi che presuppone una nuo– va sistemazione dell'Europa e, come primo passo, la soluzione del problema tedesco. E' ovvio che non pos– siamo rifiutarci di compiere i passi già fin d'ora realiz– zabili per u'na integrazione europea fin quando non sarà stata compiuta la riunificazione della Germania; solo è ri.ecessario non perdere di vista che l'Europa non finisce all'Elba e che qualsiasi politica che mirasse a fare dei sei paesi del mercato comune un recinto chiuso, in fùa.– zione di un atlantismo più o meno spinto e più o meno ritardato, non gioverebbe alla causa della pace né allo stesso potenziamento economico dell'Europa. · In questa situazione, nella quale i dubbi e i pericoli sono quanto meno pari ai vantaggi che potranno deri– vare dalla creazione del mercato comune, è necessario che le forze del movimento oPeraio e socialista si ins~ riscano attivamente nella linea di sviluppo delle nuove progettate istituzioni, per portarvi il peso delle loro istanze e soprattutto per impedire che il nome dell'Eu– ropa serva ancora ad avallare la politica di comodo delle classi padronali e a coinvolgerci nella bancarotta della ~olitica francese in Africa. **

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