Nuova Repubblica - anno V - n. 2 - 13 gennaio 1957

(145) nuova repubblica LUCI DELLA RIBALTA IL TEATRO SUDDITO di VITO PANDOLFI f , ATTIVITA'. teatrale, come in genere l'.attività spet– .A..J tacolare, viene a trovarsi in ogni paese del mondo, e particolarmente in Italia, dinanzi a un dilemma tra i più pericolosi. Dinanzi ad essa si situano due entità che di gran l~nga la sovrastano, e che, per una ragione o per l'altra, minacc_iano di svuotarla da.ogni concreta ra– gione d'essere: lo Stato e l'industria. Nei paesi dove impera lo Stato, ecco che all'attività teatrale viene sottratta ogni autonomia creatrice, ecco che essa viene sottoposta a una 'rigida direzione mediante la quale o la si limita a i.ma pura funzione divulgativo-culturale, oppure le si affidai:i,o compiti didattici nel senso minore del termine. In genere si altern9- l'un compito all'altro, escludendone sempre la possibilità di esprimere un proprio pensiero. Là dove predomina l'industria - ed il suo fatale pro– gresso nellà meccanizzazione - si tende a sostituire in modo sempre più radicale lo spettacolo teatrale con quello meccanizzato, che assicura maggiori utili. Si lascia tutt'al 'più allo spettacolo teatrale il compito di offrire una pr_ova generale per quello m!;!ccanizzato, oppure gli si consente una funzione di ritrovo. e di dibattito per élites. Nel [1:0stro paese le cose sono rimaste a mezza strada, con tutti i tipici inconvenienti che si riscontrano quando si agisce come l'asino di Buridano. Lo Stato non si assume le responsabilità dell'attività teatrale, se non in casi spo– radici, ma protegge fortemente e in pratica controlla ogni attività di industria anche teatrale. Così non si ha la pi-ena occupazione - che è già qualcosa - quale si realizza dove il teatro viene assunto dallo Stato come servizio pub– blico. E non si ha neppure quella piena libertà - sia pure libertà di morire .di fame, ma è sempre qualcosa - conser– vata in teoria là dove l'industda tiene il teatro alla sua mercé. . PassanO gli anni e ormai ·i lustri, ma lo stato italiano -ll.OIL.S.· decide a .r.egOlamentare con una legge i suoi rap– porti con l'attività teatrale, verso la quale ha poteri com– pletamente discrezionali. Convegni, inchieste, manifesti, si sono succeduti come una vaìanga senza c~e finora se ne siano visti risultati concreti. Sappiamo bene che ema– nare una legge costituiSce, nonostante tutto, concedere una certa libertà e autonomia, mentre anche il nostro Stato, come troppe CO?e in questo momento storico, tende sem– pre più a centralizzare il suo potere, a non lasciarsi sfug– gire ogni movimento dei suoi sudditi. Qualche settimana fa si era sparsa per Roma la voce che fina_lmente sarebbe stato presentato un disegno di legge per il teatro. Si trattava invece di una disposizione transitoria mediante la quale sarà possibile perpetuare ancora la vacatio legis. Per non parlare della fantomatica regolamentazione della ·censura teatrale (non si capisce davvero come ciò possa costituire un problema preoccu– pante, trattandosi di un'attività che purtroppo si rivolge a poche migliaia di spettatori, e praticamente non allarga la sua cerchia oltre quella ristrettissima percentuale di , ceto colto e agiato che segue le attività letterarie). Mancando forti interessi che premano, ss.rà ben diffi– cile che il nostro Stato prenda decisioni sostanzialmente positive per l'attività teatrale. Si preoccuperà soprattutto di renderla innocua, senza neppure salvare quel minimo di decoro civile in nome del quale si dovreb,be dotare Roma di un Teatro Nazionale, si dovrebbe consentire al Cittadino di avvicinarsi ai classici del· teatro con le possi– bilità offerte dagli stipendi medi. In base alle considerazioni suesposte, il miglior modo di combattere efficacemente quei nemici mortali che per l'attività teatrale sono lo Stato e l'industria, sarebbe di favorirla con uno sgravio completo dalla pressione fiscale, che serva a creare all'artigianato teatrale condizioni di fa– vore nei confronti delle attività spettacolari a base indu– striale; un disinteresse quindi in ogni senso (compreso quello della cel1sura) verso l'iniziativa privata. Favorire inoltre la costituzione di organismi autonomi, stabili e continui, lasciandoli vivere però in grembo ad una effet– tiva autonomia locale, facendone responsabili i Comuni e le Regioni: in quest'ambito, secondo il progetto Grassi– Strehler, due Teatri Nazionali (a Roma e a Milano), e un piccolo gruppo di teatri regionali. Il presente periodo storico sta dimostrando giorno per giorno come sia dannoso qualsiasi centralismo, tanto mo– nopolisJico quanto statale (che da noi si sorreggono a vi– cenda). La logica vorrebbe quindi che ci si indirizzasse in uno Stato com'è il nostro attualmente, verso le forme di liberalizzazione e decentralizzazione che abbiamo indicato. Si dice ~he la 0 logica fa parJe del Regno d'Utopia. E' pur vero che l'Utopia si ritrova improvvisamente attuale al– l'indomani di Ul)a lezione storica, spesso dolorosà. Quando riusciremo ad assumerla invece alla vigilia? 7 L'esodo deg11i intellettuali (Dis. di Dina Basclli) BIBLIOTECA BlBLIOGRAFfA DELLA STILISTICA E , APPARSA, or non è molto, l'edizione spagnola _ dell'opera di -Helmut Hatzfeld, già nota nel testo originale jnglese pubbljcato · in America: Biblio– g·rafia critica de la nueva estilistica aplicada a las litera– turas romanicas. Questa nuova ediZione, arricchita di utili integrazioni bibliografiche e aggiornata sino al 1955, è stata accolta nell'eccellente « Biblioteca Romanica Hispa– nica » diretta da Damaso Alonso. E' probabile che l'at– tuale veste linguistica, più accessibile al pubblico italiano, permetta una più larga conoscenza tra noi di un libro veramente utile sotto molti aspetti. Si tratta infatti di misura.re , sulla sua scorta, il grande lavoro compiuto in questi ultimi tempi da linguisti e critici di 0 1 gni paese, nel nome della « stilistica», su testi francesi, italiani, spa– gnoli, portoghesi e rumeni. E poiché si parla tanto anche .tra noi della «stilistica», e si discute sul significato e sui limiti d.f►-~ttribuire a questa disciplina, la « Biblio– grafia» di H~lÒÌut Hatzfeld potrà offrire un primo orien– tamento nella fittissima selva dei differenti contributi sti– listici, europei ed americani, e illustrare le varie correnti che già si son~ venute delineando all'ombra dell'emblema. stilistico. Il volume non è un arido elenco bibliografico, ma è un ragionato regesto dei rnigliori studi stilistici rag– gruppati intomo ad un comune tema o ad uno stesso pro– blema metodologico. Così il primo capitolo dell'opera ri– guarda la interpretazione dei testi; il secondo, l'arte di scrivere e i manuali di stilistica; il te.rzo, il confronto sti– listico dei testi nel caso di redazioni differenti di una medesima opera oppure nel caso di ~Ùna ricerca moderna di fonti; il quarto, gli studi sulla lingua di \111 autore o di un'opera secondo la scuola tedesca di Vossler e di Spitzer, quella francese di Bally e di Bruneau, quella spa– gnola degli Alonso, quella italiana di Bei-toni, Schiaffini e Devoto, quella svizzera di Spoerri. A questi capitoli, per così dire pano1'amici e di fondo, seguono i capitoli su questioni precise e particolari: sulla struttura letteraria, sugli stilemi caratteristici di uno scrittore, sui motivi sti– listici, sulla storia degli stili e gli stili di un'epoca. Il ca– pitolo undicesimo è il più importante perchè è dedicato alla teoria dello stile e della stilistica come critica e scien– za letteraria. Chiudono il volume due nutrite appendici con aggiunte bibliografiçhe relative agli anni 1953-55. _Di grande giovamento sono l'indice degli studiosi e quello degli sCrittori, delle opere e dei problemi. Detto questo, occorre tuttavia avanzare qualche ri– serva non propriamente marginale. Innanzi tutto non si può onestamente dire che alla apparente chia.rezza dello. schema corrisponda altrettanta chiarezza di esecuzione. Molto spesso la trattazione è farraginosa e ripetitoria, con– fusa e disorganica. La soluzione di molti problemi appare semplicistica se non addirittura superficiale. Ma soprat– tutto è da lamentare la scarsa conoscenza diretta che l'Hatzfeld dimostra per quanto riguarda i contributi ita~ liani. Abbastanza bene informato e spesso fedele descrit– tore della saggistica tedesca e anglosassone, se non di quella francese e spagnola, l'Hatzfeld quando si trova 'a parlare dei linguisti e dei critici italiani sembra ignorare qualsiasi senso di prospettiva, e a null'altro perciò riesce se non ad allineare nomi e nomi senza cogliere l'impor– tanza e l'effettivo peso. di alcuni di essi rispetto all'inu– tile esibizione di molti altri. Basti dire che Terracini fa una sola timida apparizione e che Folena è ricordato in una nota ,unicamente per certi appunti mossi alla edizione inglese del volume dell'Hatzfeld. E non si dice del do– saggio arbitrario e frettoloso dei consensi e dei dissensi. Pollice verso, con stizzosa ironia, per un Binni; e, al contrario, benevola sufficienza per 1,1n nutrito drappello di nostri mediocrissimi connazionali. E che significato può avere· la segnalazione di un ·gruppo di studiosi, de– finiti « eruditi »,. il quale accoglie in un sol fascio, quasi si trattasse di stretti consanguinei: Mario Puppo, Gio– vanni Nencioni, Luigi Russo e Natalino Sapegno, pro– prio in quest'ordine? Più che di malevolenza e di inca– pacità d'intendete, credo si tratti semplicemente di pes– sima informazione. Il che non ci stupisce dal momento che l'ignoranza nei nostri riguardi, da parte dei colleghi stranieri, è un dato di fatto che ormai" tende purtroppo al I' isti tuziona I ità. LANFRANCO CARETTI IL DIALOGO CHE CONTINUA S UL ~::ilANO della pura -storiografia agiografica gove1·– nativa può anche darsi che questo libro (Campilli, Malvestiti, MorQ, Pella, Piccioni, Porzfo, Scelba, Segni, Spa.taro, Togni, Tridente: ll dialogo che contintw _ La fierci del Levante e la politica meridionalistica. Firenze. Macrì, 1956) abbia un sup valore; sul piano delle cosè concrete decisamente non riesce a dire nulla. Intendia– moci bene: nessuno vuol negare la validità di un:istitu– zione come la Fiera del Levante di Bari che ha un suo compito preciso da svolgere nel quadro di un'espansione degli scambi commerciali fra l'Italia e l'estero, e nessuno vuol nemmeno disconoscere l'azione intrapresa dai goyerni più o meno democristiani negli ultimi dieci anni per il Mezzogiorno; ma quello che non condividiamo assoluta– mente è il tentativo di volerci gabellare la Fiera del Le– vante come una politica meridionalistica. Leggendo questa serie di discorsi (il libro è infatti la raccolta di tutti i di– scorsi che i vari ministri ed il presidente della Fiera hanno tenuto annualmente alla ina.ugurazione od alla chiusura della Fiera) vien subito voglia di rallegrarsi perchè sem– bra che il problema del Mezzogiorno non abbia più ragione di esistere. Discorsi come: « La Fiera del Levante strw,nento pro– pulsore dell'economia meridionale, nazionale ed iiiterna– zionale, focola-io d'iniziative e di realizzazioni nel granC:o cantiere testé schiuso della Cassa del MeZEogiorno, oasi di libertà commerc·iale ( !) , passo obbligat~ fra i popoti mediterranei, Oriente ed Occidente, pone i suoi sforzi, la. sua passione ( !), la sua poderosa attrezzatura al servizio della Patria e dell'Umanità ;i, oppure come: « L'Italia me– ridionale, illustl'i signori, è una forza potente che quando è risvegliata e saggiamente guidata sa fare di questi mi– racoli, sa scrivere pagine gloriose di eroismi e sui campi .di battaglia e sulle vie pacifiche del le.voro », discorsi come questi, dicevamo, in~eppano il libro che, lungi da.ll' impo– stare una vera e propri,, politica meridionalistica (in ef– fetti non ne aveva, nè poteva averne la pretesa, ed è fors,:; nato per l'ambizione di qualcuno), lascia, nel tono laLt· dativo e celebrativo delle sue frasi fatte, il tempo che trovn. Purtroppo invece il problema del Mezzogiorno esiste tutt'oggi, ed in termini davvero scottanti. Per convincer-– sene non importa ricorrere all'ausilio delle statistiche, ma basta appellarsi al giudizio sereno e competente del– l'OECE, ·che appena qualche rnese fa riconosceva che la frattnta fra l'economia dell'Italia settentrio,1ale e queJIU dell'Italia meridionale va sefllpre· più accentuandosi e non rimarginandosi. Questo vuol dire che una politica meri– dio.nalistica vera 6 propria non può limitarsi soltanto a potenziare una istituzione come la F,iera ~i Bar_i che :nel: l'attuale momento sembra essere l occasione m cm si cerca di nasconde1·e i grossi problemi del Sud, ma abbi– sogna di una serie Pi riforme che incidano nel tessuto connettivo della società meridionale. Il fatto ~ che questo libro aveva un vizio fi_n p~·im_a di nascere. Cosa ci si può aspettare da una sene d1 di– scorsi dì occasione? Tutt'al più essi costituiranno una ot: tima fonte dalla quale un sottoseg~etario al~e pri~e armi in 1_11ateria di innologia governativa potra attingere a piene mani. P.B.

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