Nuova Repubblica - anno V - n. 2 - 13 gennaio 1957

2 nate, nel novero degli « sciagurati», non è dignitoso cavarsela con un inciso di cronaca: « Dopo questa defi– nizione dei dimissionari, il segretario del PCI, ecc.». Co– nosciamo bene il destino di taluni ex comunisti, che filano diritto diritto dagli Urali alle miniere d'America, dal buio dell'Est alla luce di una lanterna a petrolio, scambiata per faro di libertà piena e non più discussa. Ma, tanto per continuare a ragionar dì cose semplici, se il comunismo ha portato alle supreme vette degli stati orientali e dell'URSS - dove son rimasti per lunghi anni, nella veste di geni, grandi guide del proletariato, uomini dalle folgoranti virtù politiche e umane - crimina1i, tor– turatori e mega]omani, nulla di men che naturale che tra coloro i quali abbandonano i partiti comunisti vi siano avvfnturieri ·senza scrupoli. In fondo, sono innocui: in– vece di svolgere opera di sabotaggio all'interno del Par– tito, per interi decenni, servendo la polizia o l'imperiali– smo come fece Marty fin dall'ammutinamento di Odessa o Rajk fin dalla guerra di Spagna, gettano la maschera e il caso è ben definito agli occhi di tutta la classe lavoratrice. Ben più seria e delicata è la questione degli intellet– tuali che operano una scelta sulla base di un giudizio marxista (e socialista in genere) dell'attuale situazione del movimento operaio internazionale. E lo è nel senso che più ci interessa: occorre rendersi conto che, anche no.n muovendo da impostazioni schematiche e in ultima analisi capitolarde, in quanto non produttive né sul piano dell'immediata attualità •né su quello della pro– spettiva storié:3, esiste il rischio di cadervi nel giro di una esperienza più o meno lunga. Ma si tratterà solo di .una esperienza strettamente personale o di clan, che dovremmo seguire con le rriani in mano, attendendo la Verificazione di una gesuitica « legge delle cose », oppure non dovremmo cercare di inserire quella esperienza in un contesto di esperienze collettive, ossia nell'esperienza storica di una nuova e originale iniziativa e guida della classe lavoratrice.? Questi intellettuali comunisti, qualora siano veri « resistenti » e veri umili gregari politici, «anticipano» la direzione che prenderà prima o poi il bracciante e il metallurgico comunista, anche se in que– sto momento non hanno dietro di sé masse di seguaci. E' sciocco evidentemente inventare un rapporto mec– canico di sudditanza, per cui basta la « fuga » di uomini anche illustrissimi - taluno di loro già maestro nel campo dei propri studi, come Natalino Sapegno - per provocare il crollo del PCI. Del resto noi non cerchiamo né desideriamo crolli improvvisi, che lasciamo tranquil- · ·1amente alle fantasie « socialdemocratiche)>. Senonchè appare altrettanto sciocco rovesciare la tesi nel senso che, allora, è meglio che gli intellettuali facciano i con– formisti e stiano dalla parte delle masse, ad ogni costo. Finisce che si giustifica tutto, Rajk e Tito fascisti anzichè sostenitori di determinate tesi, accettabili o meno, nel– l'ambito dello schieramento operaio, l'economia polacca e ungherese in condizioni floride anzichè sull'orlo della rovina, e capita che le mas·se si muovano intanto per conto loro e impugnino all'improvviso le armi. Già in Italia, peraltro, vi sono dei segni di questi movimenti alla base, che si manifestano in forme diverse e talvolta impercettibili, in molti casi comunque con ·1•arma della scheda cont-ro L'organizzazione sindacale della CGIL (nel che si vede •il pericolo grandissimo del conformismo, del dire e non dire, dell'allineamento pretestuoso e « acèa– demico )>). Insomma noi 18mentiamo la mancanza di una solida– rietà ch'era doverosa e necessaria _in primo luogo sul– l'organo del partito socialista. Evidentemente questi tipi di solidarietà non ipotecano tutto il futuro politico di chi ha scelto, fuori o dentro il Partito che sia, né impedi– scono di avanzl=!re delle critiche e delle riserve, né deb– bono significare provocazione, se liberiamo da questa espressione ogni ambiguità e sospetto di rinuncia. Se i comunisti hanno il diritto non contestato da noi di de– nunciare quelle che a loro avviso sono le deviazioni o degenerazioni socialdemocratiche di un partito socialista, puntando viceversa il loro consenso su reali o presunti « compagni di strada», i socialisti hanno egualmente il diritto (e il dovere!) di denunciare oggi i funambolismi parastalinisti, e puntare viceversa sui reali o presunti sostenitori delle loro stesse idee. Senza con ciò lodare i metodi di Reale e stizzirsi per quelli di Giolitti, ma. fis– sando una serie di ipotesi valide all'interno come all'e-, sterno del PCI, e naturalmente con una quanto si vuole cauta ipotizzazione di diversi risultati politici; lasciando infine agli oppoSitori interni la scelta e la responsabilltà dei metodi che via via intenderanno adottare (qui ap– punto è, ancora, il rifiuto di una vera provocazione). Quanto a coloro che hanno già rotto o romperanno, non si dimentichi che la solitudine fa l'uomo massima– lista (o piccolo-riformista, il che è lo stesso). Dobbiamo aiutare i dimissionari, far sentire loro tutta la nostra comprensione, denunciarne eventuali debolezze (e se ne sono avute nell'azione di Reale). Dobbiamo in ultima analisi contribuire a far partecipi anch'essi di quel grande processo di rinnovamento socialista, nel quale e solo nel quale le insidie della chiesuola saranno di– sperse e travolte tempestivamente. Purtroppo, agendo come si è agito, si è favorito il gioco degli avversari, di quegli stessi dei socialdemocratici che non vogliono l'unificazione. Abbiamo ragione di ritenere che Saragat - o, se si vuole, il Saragat del gennaio 1957 - abbia stre– pitato tanto per « coprire» la capitolazione del PSDI sul problema dei patti agrari. I socia1isti del PSI si rendono conto, nella loro gran parte, di tutto questo? Pensiamo di sì. No certo, è ap– parso, Tullio Vecchietti. Fermo restando il riconosci– mento dell'importanza di un suo contributo in uri partito unificato o no, il problema della direzione dell'Avanti! è ormai un problema che riguarda tutti i socialisti. GIUSEPPE FAVATI (145) nuova repubblica ITALIA POLITICA I CENTRALISMO DE CR A LLA VIGILIA del suo primo Comitato Centrale, il PCI deve ormai trarre le somme dell'epilogo, per . certi aspetti imprevedibile, del suo ottavo Con– gresso. L'epilogo non è consistito soltanto nel << caso Reale», di per sè discutibile: ma nel fatto, tanto più difficile a misurarsi quanto ancora imponderabile, che esso può avere all'esterno, e nelle sue eventuali collu– sioni con gli oppositori interni. Secondo noi, gli aspetti salienti del problema sono i seguenti. Il PCI deve constatare che proprio nel Con– gresso dell'EUR qualche cosa non ha funzionato. Non è facile scoprirlo alla prima. Ma ciò che non ha funzio– nato sembra essere stato questo: che della via italiana del socialismo si è voluta dare una visione per appros– simazione, partendo non già da ciò che il PCI sarebbe chiamato a fare, ma piul.tosto da ciò che avrebbe fatto meglio ad astenersi dal fare, per non recare nµovi squi– libri al sistema, tutt'altro che ~stabile, dei partiti comu– nisti nel mondo. Lungo tutto il congresso ci si è barca– menati tra due linee. La prima, era quella di° dichia– rare irreversibile il prot:esso iniziato col primo e il se– condo rapporto Krusciov, ed essersi così impegnati, in sede teorica, sulle tesi del policentrismo. La seconda, consisteva però nel considerare primaria, insostituibile, la funzione esempfare dell' URSS. Non che Togliatti non abbia finito col concedere qualche cosa alle altre 1 vie nazionali, ed anche, in singolar modo, a quella polacca. Ma si aveva l'impressione che questa concessione .gli fosse strappata dalla pressione esterna delle delegazioni interessate, o che gli giovasse per reintrodurre d'altra parte, surrettiziamente, l'obbedienza, se non allo stato– guida, ufficialmente smentita, al paese che tuttavia re– sta l'asse del « sistema)>, che è poi la Russia medesima. Attraverso queste sapienti cautele, l'autonomia della « via italiana » non veniva fuori. Tant'è vero che, come è stato notato, il congresso del PCI non ha saputo dare un contenuto alla sua battaglia industriale, in relazione al grosso processo riformistico in atto da parte del pa– dronato italiano; e la stessa maggiore insistenza sune battaglie agrarie appariva più un tema di agitazione, che una c6struzione politica: la scèlta di un terreno evi– dentemente più agevole, che non quello sul quale la CGIL ha sopportato ~ecente le sue più gravi scon– fitte. Non solo il difetto dell'VIII Congresso è stato quello di delimitare dall'esterno l'autonomia del PCI, e, come si è detto, in modo equivoco. Ma forse per questa stessa ragidnè, non si riusciva a darle un significato, per quanto concerneva le strutture interne del partito. Il fatto che si chiamasse al C.C. qualche funzionario di nuova leva amendoliana non significava evidentemente nulla; che si istituisse una Commissione Centrale di controllo, non avrebbe dato di per sè garanzie di sorta, sinchè restava quel dogma del centralismo democratico, che, per timore del frazionismo, impedisce la discussione di fondo della politica direzionale. · Eppure non vi sarebbe stato nulla da temere, anche nel riguardo del « sistema »,~ei partiti comunisti, a co– struire su garanzie democratiche la struttura. interna di un rinnovato partito comunista. Bastava avvertire, che certe procedure che si sono altrove rese necessarie per partiti comunisti al potere, non possono essere copiate altrove, quando i partiti comunisti si trovano all'oppo– sizione in regimi rappre.sentativi. Ma a compiere que– sto passo l'on. Togliatti ha temuto uno snaturamento sostanziale del suo partito. Ed ora dovrà inVece inco- IL COMITATO CENTRALE DI UN I T A' P OP OLA RE minciare a misurarne l'inizio di una frana. Il metodo seguito dai suoi oppositori non è dei più felici, e su questo evidentemente conta la direzione co– munista. L'on. Reale non ha risparmiato alla sua stessa persona inconvenienti profondamente dannosi. Gli uo– mini che vivono nella politica non apprezzano che si sventoli la copertina di un diario che sarà pubblicabile solo nel 2000; o che si concedano interviste ad agenzie e giornali americani, nelle quali si rende di pubblica ra– gione il segreto di certi rapporti russo-polacchi, di cui Reale sarà magari stato buon testimone, ma che sono di dominio pubblico da gran tempo. Più positivo ci è apparso, in complesso, i1 modo di procedere dell'on. Antonio Giolitti, e assai più persuasiva la risoluzione <lel1a sua federazione, la quale in sostanza si è proposta di prendere su di sè un'iniziativa perife– rica di rinnovamento del partito, tenendo conto delle critiche che il suo leader aveva pronunziato in Con– gresso. Eppure, anche così concepite, alla maniera di Reale o di Giolitti, le critiche rivolte alla direzione del PCI lasciano intravedere quel vizio essenziale che ab– biamo cercato di cogliere nel Congresso comunista: la sua incapacità di determinare dall'interno una politica del partito, data la negazione di una libera discussione dei fatti italiani, della lotta di çlasse quale si· pone qui, dei suoi limiti di fatto e di diritto - una libera discus– sione che permetta di farne il punto con obbiettività, anzichè tacendone o sopravalutàndone elementi che ,in qualche modo possono interferire con la politica del– l'Europa orientale, e con i metodi di quei partiti co- munisti. ' LA SECESSIONE di Reale, la conferma delle critiche di Giolitti dicono dunque già qualcosa, in quanto ini– ziano la dis.cutibUità deU.a gestione togUattiana del par– tito. Ma su questa iniziata discutibilità si innestano le novità esterne. Queste provengono dal convegno di Bu– dapest, e, più ancora, dalle conclusioni cui sono perve– nuti i comunisti dell'URSS e della Repubblica democra– tica tedesca. E' chiaro che la dottrina del policentrismo viene scolorendosi in un generico riconoscimento delle diverse <( situazioni », non dei diversi « metodi » che le singole nazioni possono s.eguire nella costruzione del socialismo. Il che attenua potentemente l'idea che (pre– testuosamente, dicono i suoi avversari) Togliatti veniva esibendo del pluralismo socialista. Il Comitato Ce~trale potrà ora darsi l'aria di discu– tere di tesseramento e di pubblicazione degli atti del Congresso. Ma potrà davvero evitare i veri problemi del partito? Se eluderà le ultime enunciazioni sovietiche, se perseguirà gli enunciati della via nazionale, sarà agevole a dissidenti e oppositori esercitare una spinta congiunta sul partito, per forzarlo a determinarne contenuti e me– todi effettivi - sfidandolo, sul piano della pratica, a sconfessarsi, se ritiene di poterlo fare. Se invece il Co– mitato Centrale si adeguerà alle conclusioni germano-– sovietiche, avrà scoperto la Vera i-iatura del suo tatti– cismo. La falla porà allora essere contenuta? Potrà: esserlo ancora, senza dubbio: il PCI non è di quelle case che si afflosciano d'un tratto. Ma discredito ed isolamento cresceranno ineluttabilmente. La crisi del PCI non è superabile che con una adeguazione del «fare» al «dire». Togliatti è in grado di corivertirsi a questo realismo? Ne dubitiamo fortemente. Alla seduta del Comita– to· Centrale seguirà, dome– nica 20, a.Ile ore 10 1 l'an-– nunciato ALADINO è convocato a Roma, via Arenula 41, per le ore 10 di sabato 19 gennaio, col seguente ordine del giorno : CONVEGNO PROGRAMMATICO per la discussione di alcu• ne tesi che saranno pl'e• ~entivamente distribuite ai Gruppi di Unità popola– re. La seduta antimeridia- 11a (in locale pubblico) sa– rà destinata alla illustra– zione di tali tesi; 1a sedu• ta pomeridiana (presso la sede di via Arenula 41) al dibattito su di esse. 1) P1·ospettive di U. P. in relazione all'unificazione delle forze socialiste e ali' azione politica della sinistra democratica ; 2) Problemi organizzativi ; 5) Eventuali e varie.

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