Nuova Repubblica - anno V - n. 1 - 6 gennaio 1957

(144) nuova repubblica S'l'ORIOGRAFIA MATERIALISTAE CONFORMISMO UNCASO ESEMPLARE· . . di GIORGIO SPIN I I N UN CERTO senso, questo libro (Alberto Caraccio– lo, Roma Capitale dal Risorgimento alla crisi dello . «tato liberale. Roma, Ediz. di Rinascita, 1!)56) po– trebbe definirsi come un < caso esemplare:.. V'è un ar– gomento senz'alt,·o affascinante: v'è un complesso di :ricerche tutt'altro che ti-ascurabile per entità ect' origina– lità, comprendente anche scavi archivistici realmente pre– ziosi: v'è un autore 1 in cui si intuiscono doti non volgari di mente, unite ad un entusiasmo per la propria indagine e ad un impegno etico-politico, che destano innegabil– mente simpatia: v'è uno sforzo molto interessante di ap– plicazione del metodo della storiografia materialistica., che si traduce in una cura visibile d'al'rnarsi di cifre e dati e scendere sul terreno concreto dei fatti, con 'la quale non possiamo che consentire. Eppure il libro non si legge senza sentire che tutte le belle doti e la buona volontà del suo autore non la spuntano contro Ja cappa di piombo di un conformismo bpaco, da cui un po' tutto l'isulta appiattito e falsato. ' Tanto per spiegal'Ci con qualche esen1pio, spigoliamo qua e là fra le pagine. C'è un primo capitolo, Verso la ca– pitale dell'Italia unita, riassumente le vicende spirituali attraverso cui la nuova Italia giunse a porre in Roma la J)topria. capitale, che noi rinunéeremo a discutere qui, per brevità di discorso. Già col secondo capitolo, però, F·ra Nord e Sud, si comincia a scendere sul terreno dei fatti e delle cìfre, non senza visibile intento di mostrare i! caratt~re di « conquista piemontese» dell'insediamento a Roma della Terza Italia. Piemontesi o quanto meno settentrionali i pl'efetti ed i questori: provenienti da To– i·ino huona parte dei gruppi finanziari accorsi ad investil'e capitali nell'edilizia. Ma non basta: « non solo per im– portanza, ma anche pe1 7 numero prevalevano di gl'an lunga, subito dopo il '70, gli immigrati settentrionali e toscani. Nel censimento del 1881, i provenienti da provincie del– l'antico Regno Sardo rapprese.ntavano il 41.4 o i toscani il 45. l per mille della popolazione, superando tutti gli altri. Anche il Settentrione, preso nel suo complesso, pre– cedeva cli gran lunga il Mezzogi(?mO, con un rappo1-to che solo trent'anni dopo si invertirà> (pag. 41-42). Ed a pro– va di ciò si esibisce una tabella cavata dal censimento ùel 1881, in cui si mostra la proporzione (per 1000 abi– tanti) dei censiti a Roma secondo il luogo di nascita: Roma 449.7 Toscana ·45,1 Calabria 3.9 Lazio 136.2 Marche 81.0 Sicilia G.8 J>iemonte 31.6 Umbria 41.0 Sardegna 1.8 Liguria 7.0 Abruzzi 68.2 Estero 22.1 Lornba1·dia . J8.5 Campania 39.2 Veneto 9.9 Puglie 5.9 Emilia. 31.2 Bflsilicata 0.9 Donde il Caracciolo 1·icava le seguenti percentuali rias– snntive: Nord 9.82 Sud 5.85 Centro 9.91 Lazio 13.62 Come l'A. arrivi a quest'ultima tabella, in verità, non si capisce bene. Sulla base di quel po' di geogra[ia e di 31·itmetica, che abbiamo imparato alle elementari, ci sem– bra in[atti che la somma delle cifre indicate per le regioni del Nord (Piemonte 31.6; Lombardia 18.5; Liguria 7.O; Veneto 9.9; Emilia 31.2) dia effettivamente 9.82%. Ma che 1a somma di quelle delle regioni meridionali (Abmzzi 68.2; Campania 3!).2; Puglie 5.9; Basilicata 0.9; Calabria 3.9; Sicilia G.8) non dia affatto 5.85%, sibbene 12.49%. E che la somma di quelle relative all'Italia centrale (Toscana 45.1; Marche 81..0 ed Umbria 41.8) non dia affatto 9.91%, sibbene 16.81 %. In altre parole, le regioni centrali prece– dono cli a1·an lunga quelle settentrionali e queste ultime restano indietro anche a quelle meridionali. Ma a prescindere da questo, un'occhiata alle cifre p1·0- dotto dal Caracciolo basta a chiarirci che, ne!Pimmigra– zione in Roma, le Marche, così modeste per sviluppo eco– nomico e popolazione (ma patria ,di papa Mastai ...), sono, in tosta alle altre i·egioni con 8.J %. Seguono gli Abruzzi, paese tutt'altro che «-sabaudo> o «borghese>, ma tradi– zionale fornitore di lavoratori manuali, balie e persone di servizio della vecchia Roma, con 6.82%. Al terzo posto viene ·bensì la Toscana, sede fino ad allora della capitale sabauda, col 4.51 % : c'è da domandarsi però se questa irnmigra:tione di toscani rappresenti del tutto un fatto nuovo, successivo alla breccia di Porta Pia, o non piut– tosto la prosecuzione di un fenomeno vecchio di secoli, come attesta oltre tutto l'origine stessa di tanti casati patrizi romani (Bol'ghese, Chigi, Aldobrandini, Rospiglio– si etc.). Comunque, segue a ruota la minuscola Umbria con un sintomatico 4.1 % e dietro vien la Campania con 3.92 %. I I famigerato Piemonte viene al quinto posto Con un 3.JG % che si distacca d'un ·soffio appena da.I 3.12% •dell'Ernilia: nè sembra ·arbitrario supporre che in questa cifra entl'ino più 01·iundi delle provincie ex-papaline delle Romagna e delle Lef;azionj, che non oriundi dagli ex-Du– cati. CIYegli immigrati piemontesi e toscani, dunque, p·re– valgano di gran lunga su quelli di altre regioni è patente– mente inesatto: di gran lunga prevalgono solo gli oriundi da.Ile provincie ex-pontificie del Lazio, Umbria, Marche, Emilia, congiuntamente a« burini» e «cafoni> dell'Abruz- 2,0 e della. Terra di Lavoro. Malgrado la presenza delJa corte sabauda, della nuova burocrazia o dei finanzieri « buzzurri>, la fisionomia demografica di Roma ancora nel l 881, mantiene in modo impressionante· un ~arattere « t_radizionale > ~ « papalino >. Dal che, uno studioso più agile del Caracc10lo avrebbe ben saputo trarre più di una deduzione interessante. Anche a· prescindere, in6ne, da queste considerazioni di fatto, resta evidente la fallacia deJ metodo seguito dal– l'autore, all.ineandoci davanti soltanto. le percentuali r~la– tive agli anni dopo il 1870. I'er valutare in quale misura il trasporto a Roma della capitale abbia inciso sul volto demografico de11a città quelle percentuali non bastano davve,·o. Occorrel'ebbe prima un quadro statistico della composizione secondo il luogo di nasc-ita della popolazio– ne romana a.vanti del 1870: quindi una tabella .analoga per la popolazione dopo il 1870: infine un raffronto fra le due SOl'ie, per vedere ove si notino un aumento od una diminuzione nelle percentuali. Diversamente, si ri~chia di attribuire alle cifre dei significati completamente ar- bitrari. · Ma anche sulla calata dei fìnanzied a Roma, ali.ratti dalla speculazione edilizia, il Caracciolo avrebbe potuto arrivare a constatazioni interessanti, se soltanto avesse usato spregiudicatamente dei dati da luj stesso raccolti. Col capitolo III, infatti, I prùni dibattiti ver l'avvenire della città, il libro passa a mostrare come alla conquista · sabauda abbia tenuto dietro la curée della finanza setten– trionale sulle speculazioni edilizie e come la proprietà delle aree fabbricabili, dalle mani degli antichi proprie– tari indigeni, si sia concentrata rapidamente « in mano a poche società fondiarie e a speculatori borghesi». Come i maHamat.i « piemontesi ,, jn breve volge,·e di anni, siano riusciti a trasforma.re una città più 1nedio-orientale che ern'opea, come era la Ro,na di Pio IX, in una abbastanza decente città occidentale, l'A. si guarda bene dal dircelo: de '1ninimis non cura.t vraetor. Ma nel ~uo zEllodi illustrare come il bieco Settentrione si sia mangiato a tòcchi la Città Eterna e come sia avvenuto il processo di concentrazione in poche_ mani delle aree fabb1·icnbili (ma esisteva dav– vero una diffusa piccola proprietà in questo campo, avan-. ti del 18i0? Oppure queste aree erano già bell'e concen– trate anche prima dei « buzzuni >, sia pure i11 mano di nobili rammolliti, anzichè di borghesi· pili capaci di lo– ro? ...), non cura nemmeno di rilevare quanto spunta dalle sue stesse i1~~ini. Per una zona caratteristica della spe– culazione edilizia dopo il lSi0, come i Prati di Castello, egli ci mostra infatti che i pl'Oprietfn-i indigeni censiti nel 1870 son già tutti sostituiti nel I 872, meno tale Lorenzo Cnalcli « mercante di campagna>, da nuovi speculatori forestieri e nominativamente dai seguenti privati o ditte: J. E. Texeira Celattes, Società di Ct·edito immobiliare e cli costruzioni, Società Napoletana di costruzioni, EmiJjo Pal'ente, L. Epotein cli Vienna, Società di costruzioni di 'l'orino, barone E. Rei!1ach' di Francoforte, L. Lieben di Vienna, l\feuricoffre & C., L. Cahen cli Anversa, G. Cahen cli Amsterdam, Mol"purgo e Parente d'r Trieste, I. de Weil (Di$. di Dino BO$Chi), CINECRISI - • Finalmente un posto solitario n 7 Weis di Tori.no, :13er11ardo Tanlongo, _Lorenzo Gualdi, Cae– iano !3arbos1, Grnseppe Baldini. Da notare però che nel 1873 il Tanlongo vende parte dei suoi terreni ad un Giu– seppe Sacer?oti. Sono. nomi, c~me ognun vede, che par– lano da soh. Eppure il Carac01olo, candidissinius attClor non sembra capime il linguaggio. ' • Noi sospettiamo, bmto per cominciare, che questo elPn– c? contenga a_nche degli sbagli di grafia: che Epotein, cioè, sia un Epste111 e che \Veil ,e \tVeis stiano rispettivamente per .\tVeiU ,e Weiss. Anche altrove, infatti, scappano fuori g.rafie tutt altro che 01·todosse, a cominciare da un inglese Jung, con ogni apparnnza di uno svarione per Young. Co– munque è impressionante come la borghesia italiana del SettentJ'ione appaia qui schiacciata, se non altro numeri .. camente, da un'ondata di nomi stranieri, fra cui non è priva di significato la frequenza degli austro-ger1nanici, da un3: parte~ degli acatto.lici, israeliti (Reinach, Morpurgo, We11l, VVe1ss, Cahen, L1eben) e protestanti (Meuricoffre), •dall'altra. Nè trascurabile è il fatto che ad una Società di costruzioni di Torino si contrapponga una Società napo– letana di costruzioni, nonchè una ditta Meuricof(re & C., che ha tutt.a l'aria cli appartenere alla nota dinastia mer– cantile dei Meuricoffre, di origine svizzera ma trapiantata a Napoli durante generazioni intere. Nei Prati di Castello almeno, il Sud non compare tanto oppresso dal Nord, quanto si suole dire. Comunque, non c'è traccia di una concentra.zione in mano a ristretti gruppi « piemontesi ,, che approfittino dei legami con la dinastia sabauda per arraffarn il malloppo. C'è la testimonianza del volto « eu– ropeo» della Destra storica, che apre liberalmente le porte della sua nuova capitale a quanti abbiano iniziativa e capacità di farsi avanti, dai napoletani ai torinesi, dagli austriaci agli olandesi ed ai tedeschi, nonchè del galan– tomismo dei suoi osponenti politici, di cui nessuno; a quanto par·e, figura còlto con le mani nel sacco. puo• darsi che il caso dei Prati di Castello n,ppresenti un'eccezione, nel quadro generale della vicenda edilizia di Roma dopo il 1870. Ma per accertare questo, non c'è altro mezzo che un'indagine sistematica e completa in– tomo ai trapassi di proprietà verificatisi nelle aree edi– lizie di Roma dopo il 1870. Proprio quello· che un serio materialista. storico avrebbe dovuto fare e che il Carac– ciolo non ha fatto. Citare i sacri testi ·di Antonio Gramsci ed Ercole El'Coli, come egli ama fare tanto spesso, è certo più facile che sgobbare in archivio. Ma non è un modo molto sicuro per procurarsi dati attendibili. Lo stesso ci si trova a ripetere più oltre, quando in un nuovo capitolo I'A. tratta del graduale passaggio, dal– l'intransigenza ad una posizione maggiormente cùnciliante verso il nuovo regime, di certi ambienti d'aristocrnzia «nera>. Causa di questo trapasso, secondo il Caracciolo, è il crescente impegno dei e: neri> in attività economiche (gestione di servizi di pubblica utilità come l'acqua pota~ bile, il gas, i trasporti, speculazione edilizia, attività ban– cai·ia etc.) che creano una sost8.nziale comunità d'inte- 1·essi fra costoro e la < borghesia nazionàle >. Lo stesso Vaticano ne è influenZato, e quindi da « potenza feudale> diventa « potenza borghese>, a mano a mano che gli am– bienti a lui più vicini passano da interessi economici di caratte1·e feudale ad inte,·essi cli carattere borghese e ca– pitalistico,' avviandosi così verso la conciliazione con lo stato italiano. Quanto sia precisa questa terminologia a base ç]i « feu– dale» e di «borghese>, specie se applicata ad un ente così peculiare come il Vaticano, non staremo a cliscut.ere. Ma diremo almeno che quando si parla di un trapasso storico, si ha il dov~re elementare di descrivere prima la condi~ione di partenza e poi quella di anivo. Nel caso specifico, cioè, jJ Caracciolo avrebbe dovuto dirci con esat– tezza cosa facessero i Torlonia, Borghese, Pacelli' e com– pagnia bella, avanti di «trapassare; dal «feudalismo> alle « attività borghesi>. Era dunque un feudatario di an– tico lignaggio il Torlonia? Vengono da nobiltà feudale i Pacelli? Erano ignote nella Roma papale avanti del JSi0 Je gestioni di servizi pubblici, come il gas e l'acqua po– tabile, ovvero non contavano rampolli. dell'aristocrazia e nera> nei loro consigli di amministrazione? Non esist~– vano anche prima di l)orta Pia dei capitali di aristocra– .zia «nera» nei lorn consigli di amministrazione? Non esistevanÒ anche prima di l)orta Pia dei capitali di ari– stocratici «neri» nelle banche romane? Modestamente, inclineremmo a dare risposta negativa a tali quesiti: an– che perché il Caracciolo si è scordato di dimostrarci che nella Roma papale vigesse un 13istema di stampo cur– tense. E soprattutto, curioso a dirsi per un materialista storico, si è scordato del tutto di darci un quadro delle strutture economiche, delle classj sociali o dei loro_ rap– porti reciproci in Roma, sia prjma <'ho ·dopo il 1870. Che il gas o l'acqua potabile abbia.no preso dopo ii 18i0 sviluppo immensamen'te maggiore che avanti, oppure che i capitali dei patrizi romani, depositati nelle banche locali, abbiano fruttato molto più dopo l'inizio del boon~ edilizio che non avanti, nessuno vorrà negarlo. Ma da qm a parlare cli, una sorta di conversione dei «neri> dal feu– dalismo alla mentalità. borghese, ci corre un bel pezzo. E tanto più ci corre, in quanto il libro che stiamo esami– nando dimostra per l'appunto che, nei decenni successivi al 1870 almeno, i « neri, continuarono ad occuparsi quasi unicamente di servi:ti pubblici, case, terreni od al più mo- 1.ini, senza minimamente imitare li, vera borghesia. capita– Jista, cioè quella creatrice di industrie e di grandi traf– fici. In altre parole, seguitarono a fare su scala più va.sta queJlo che già avevano cominciato a fare sotto Pio IX. Prima del 1870, si giovavano della protezione statale, dei , privilegi monopoli$lici ottenuti dal governo papale, delle proprie alte cariche 'nell'amministrazione pontificia. Dopo, cercarono di aggrappar.si al municipio di Roma od al– l'amministrazione, priva ormai di territorio, ma non di un bilancio e di fondi da manovrare, della Santa Sede. (segue a. pag. 8, 3.a col.)

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