Nuova Repubblica - anno III - n. 36 - 13 novembre 1955

r. Bit 6 tissimo PC argentino potevano indurlo ad offerte di \colla– borazione e di « unità nazionale». « La caduta di Poron indebolirà gli altri dittatori é pro. babilmente li incite,·i, a cereare una soluzione pacifica, graduale>. Non vedo perché questo çlovrebbe avvenire. Al contrario, il f.atto che al regime demagogico ·e opportunista di Peron si sia sostituita la dittatura reazionaria del mili– ta,·ismo clericale, incoraggeri, tutti gli Odria, i Rojas Pi– nilla e i Castillo Armas dell'America latina. I soli regimi che la caduta cli Peron indebolisce è quello de\ MNR boli– viano, e, forse, quello cli Ibafiez nel Cile. Basta vedere la fretta dei riconoscimenti diplomatici al nuovo collega, e il tripudio della stampa reazionaria di tutta l'America. Quanto alla possibilità cli una liquidazione « pacifica e graduale> delle dittature latino-americane, meglio non par. parne: sono illusioni che la storia dovrebbe aver ormai per sempre distrutto. Ti ringrazio della pubblicazione. Cordiali saluti. Tuo, CARLOS GONZALES RIVERA Pur pubblicando integralmente questa lettera del no– stro collaboratore, non ci sembra cli doverci discostare so– stanzialmente dalla interpretazione che Alba e Vittorelli hanno già dato su queste colonne dei fatti argentini. Ci sembra che il ragionamento cli Gonzalez pecchi d\111 certo schematismo, per cui le «categorie» ch'egli costrni• sce appaiono piuttosto astratte. Che, p. es., « una ditta– tUJ'a fascista si instauri contro le masse popolari> non è 1·igorosamente vero: una parte delle masse popolari appog. giò indubbiamente l'instamazione della dittatura hitleriana. Che il movimento sindacale britannico o americano non faccia, sostanzialmente, qualcosa di diverso da quello che fece la Confederazione peronista ciel lavoro è egualmente un'affermazione astratta: perché, anchè ammesso (e non concesso) che il funzionamento burocratico interno cli que• ste organizzazioni sindacali possa essere messo sullo stesso "piano, Conzalez sembra dimenticare le diverse condizioni « polit-iche > in cui operano questi sindacati nelle diverse ipotesi. L'operaio non è solo nel sindacato, ma anche nel– l'organizzazione politica di cui fa parte: e contro ·la buro– cratizzazione sindacale è sempre in grado di combattere «politicamente> attraverso il partito e in molte altre for– me: cosa che non si vede come fosse possibile sotto la dittatura peronista. Si ha l'impressione che la negazione sistematica di una realtà democratica, il difetto cli distin– zione tra gli interessi' (anche reazionari). che il sistema de– moci·atico può coprire e il n1eccanisn10 di funzionarnento della democrazia, che è sempre piì1 «aperto> di qualsiasi meccanismo totalitario, renda difficile al nostro collabo– ratore cli distinguere anche nel giudizio politico. Può darsi che in situazioni sociali -particolarmente arre– trate, fo1·n1e supel'Ìori di convivenza democratica non si possano raggiunge,·e se non attraverso una fase di « ditta– tura del proletariato» (per lo meno, la questione può es– sere messa in discussione): ma è difficile identificare por un fenomeno di questo genere la dittatura corrotta e de– magogica di Peron, ed è soprattutto necessario riconoscere elle alla fine è appunto solo attraverso quelle « forme su-· periori > che il proletariato si libera, e prendendo reale coscienza di sé diventa capace cli affrontare il nemico con le sue stesse armi, diventa anzi l'elemento propulsivo fon– damentale della forma democratica, lottando per modifi– carne il contenuto. * GENITORIE INSEGNANTI Un gruppo di -docenti milanesi, persuasi che le riven– dicazioni economiche .sono soltanto H primo, necessario passo ve1·so una piena ri/\hilitazione~ della loro dignità e della loro funzione, ha chiamato intorno a sé un gruppo cli genitori, fra i più solleciti dol buon andamento della scuola, nell'jntento di promuovere una associazione mista, per la difesa e il potenziamento della scuola di· Stato. E' nata così l'UGISS (Unione Genitori degli Alunni e In– segnanti della Scuola di Stato), con sede provvisoria in Milano, via Cerva, 22. L' UGISS porterà dinam,i all'opinione pubblica i pro– blemi della scuola, con "dibattili, discussioni, convegni e CO"<l la segnalazione cli abusi e storture, locali e generali, in violazione di leggi e di regolamenti. Per l'anno scolastico testé iniziato l'attività dell'UCISS prevede fin d'ora un pubblico dibattito sui programmi della scuola elementarn, da tenersi al più presto; e convegni sul funzionamento della scuola media unica e delle scuoio professionali. _______________ ,,.. ---------·· L'ECO DELLASTAMPA UFFICIO DI RITAGLI DA GIORNALI E RIVISTE Direttore: Umberto Frugiuele eca G" l\lilano, Via G. Compagnoni 28 Corrisp. Casella Postale 3549 Telegr. Ecostampa (84) nuova repubblica IL TABU' DEI FEDERALISTI LAMOGLIE IMBALSA Caro Godignola, dopo .tante irose polemiche, l'Rrticolo « Rilancio enro– peo » di Paolo Vittorelli, uscito su N. R.,del 18 sett. u. s., mi consente di trovarmi d"accorclo con lui in più di un punto. Anzitutto nel giudizio Rssolutamenle negativo che egli cli, del « nuovo corso> della politica europeista, adottato dai sei governi dopo la caduta della CED, e in particolare della recente conferenza cli Noordwijk, « dove l'adesione al principio pii, largo e più federalista dell'unità econo– rnica integrale, 01-izzonta.le, non è veramente un progresso, bensì probabilmente solo la -scelta cli una via più gene– rica e 1110110 impegnativa», tanto vero, aggiungo io, che l'unica cosa concreta, anche so criticabilissima, uscita da quella confere11za è l'idea di una nuo,·a autorità specia– lizzata (a carattere sopranazionale) per l'energia atomica, a cui si va dedicando in questi ultimi tempi Jean Monnet. Inoltre non posso che trovarmi d'accordo con l'altra im– portantissima ammissione, che cioè « parlare ancora di unità delle sei potenze della CECA, come parlare cli unità economica, sia puro integrale, senza unità politica, è tempo perduto». Qnesta enunciata da Vittorelli è per noi fede– ralisti, ver.ità ovvia e Jampante. Infine sono grato a Vittorelli d'aver chiarito ai lettori cli Nuova Repubblica che i federalisti sono cordialmenle « seccati > di questo stato di cose, cbe non credono affatto nel valore cli quei risultati e in pa1·ticolare non contano su– gli uomini della CED. Dico questo perché - per quanto i nostri scritti da un anno a questa parte siano stati addirittura spietati nel combattere. le sopr(lcitate manifestazioni pseudo-europeiste cli marca governativa - l'opinione pubblica meno infor– mata, ma anche quella che avrebbe il dovere di esserlo, ha continuato imperlerrita a considerarci non solo come so– stenitori ma addirittura come responsabili cli quella poli– tica, come se l'UEO equivalesse la CED o i progetti inter– nazionali di oggi quelli supernazionali cli ie1·i! Spesso alla base cli tale atteggiamento ci sta un grosso fondo di ignoranza e la velleità di liquidare a buon mercato un avversario che, se conosciuto per quello che realmente è, potrebbe farsi un pericoloso concorrente. Questo è il caso dei socialcomunisti, che hanno interesse a rigettarci sempre dalla pa,-te dei conservatori, per meglio poterci ad– ditare al disprezzo delle masse da loro controllate. Inveçe i governativi, che fino a ieri si sono largamente avvalsi dell'aiuto da noi disinteressatamente offerto all'or– ga~zazione della campagna pro CED (e non è da esclu– de;re,-'come Vittorelli afferma, che per certuni non fosse che la mascheratura d'interessi che col federalismo hanno ben poco in comune!), oggi ci fanno il vuoto attorno, con la stizza cli chi ·ha perso un amico che credeva di aver conquistato per sempre e ha interesse a tener nascosti i termini reali della rottura: di qui le accuse di « dottrinari e massimalisti> che da quella parte ci vengono rivolti. In fondo queste due posizioni~ umanamente e politica– mente parlando, si spiegano abbastanza. Ma quella che si spiega meno è la posizione cli Unità popolare, che avrebbe dovuto logicamente veder con gioia il ritorno dei federa. listi a posizioni di lotta che - sia pm per ragioni di– verse - non si presentano troppo dissimili dalle sue, al– meno per quanto riguarda l'indipendenza dallo schieramen. to delle forze della politica ùfficiale e il carattere ideale di un impegno che non promette niente per oggi ma può co– stituit-e la premessa per profondi rivolgimenti nel futuro. Per gli amici cli Unità popolare non posso pensare alla stizza dell'alleato perduto che ho piè, sopra attribuito ai governativi (ché semmai si tratterebbe ora cli un alleato ritrovato), né ai motivi tattici deteriori, o cli ignoranza, che ho invece attribuito ai· socialcomunisti; Per gli amici cli Unità popolare mi pare tràttarsi di un vero e p~oprio errore di va-lutazione politica, in quanto essi non hanno riconosciuto l'elemento di sincerità cli certi europeisti cli ieri (in primo luogo De Gasperi e Aclenauer, che non pos– sono essere posti sul piano degli attuali Pinay e Bidault citati da Vittorelli !) e il carattern potenzialmente rivolu– zionario di una lotta come quella per la CED, che, pure comportando la creazione di istituti cli per sé insufficienti, apriva però un varco che poteva essere decisivo nelle tra– dizionali strnttu.-e degli Stati nazionali, altraverso il quale le forze popolari avrebbero.potuto irrompere per far valore i loro diritti. Tutte cose gii, dibattute e scritte, anche da me su Nuova Repubblica., che quindi non fa conto qui ripete,·e. E' peraltro vero che la cronaca parlamentare ha dato ragione a coloro, come gli amici di Unità popolare, che non credevano in un felice sbocco cli quella battaglia. J\Ia « fam. mi indovino che ti farò ricco>, rispondo io. Ora, chi può escludere che le cose (se non ci fosso stata l'Indocina di mezzo) potessero anche andare di versa mente? • Non avremmo cedo, con la CED, toccato il cielo con un dito, ma avremn10 offerto agli europei un primo quadt·o istituzionale comune entro cui la lotta delle nuove forze sociali contro i vecchi privilegi avrebbe potuto farsi meglio. Invece oggi siamo in piena inyoluzione nazionalista. Lo stesso Aclenauer ha dovuto ripiegare sotto la spinta delle forze nazionali d~I suo paese, che sperano in un ritorno al grande Stato tedesco, reso possibile dalla ricostituzione dell'esercito nazionale e dalla ritrovata parità gimidica con gli altri Stati, conseguenze degli accordi di Londra e cli Parigi. La Francia segue con le mani legate il suo tragico destino di potenza coloniale in declino, apprestandosi a porcor.rere, d'altronde ln pieno st~to d'incoscienza, il lungo calvario che ridurrà essa pure, la «grande» Francia, al rango cli potenza satellite. · E l'Italia? L'Italia già più non esiste come potenza e non so capire come uno scrittore di solito così acuto e sprc. giudicato come Vittorelli si riduca nel codazzo dei nazio– nalisti per postulare il suo ingresso all'ONU - nella cui serieti1 e utilità più ormai nessuno crede - arrivando per questo ad avallare, cosa che noi federalisti non facciamo affatto, il comportamento del nostro « pioniere del sorriso>, Forse oggi lo stesso De Casperi, se fosse vivo, sarebbe co– stretto a fare la stessa politica, ma non c'è d ubbio che noi saremmo allora contro cli lui, come ~ ia.mo stati suoi sinceri estimatori quando lo abbiamo visto impegnarsi - lui, già riconosciuto dalla storia come un gr'ancle statista - con l'entusiasmo cli un giovane che nulla avesse da per– dere in favore di una causa ideale come quella della Fede– razione europea. Negli scrittori di Nuova Repubblica generalmente tro• viamo, nei confronti dei federalisti, lo stato d'animo cli chi pensa: « Mi hai fatto correre un gran rischio una volta, e ora, qualunque cosa tu dica o faccia, non posso e non voglio più prestarti fede>. E istintivamente si portano sulle posizioni oppost_e. Questo può spiegare perché anche Vittorelli esca nei soliti luoghi comuni, cari a tutti i sabotatori dell'Europa e specialmente a quelli dell'estrema sinistra: come l'accenno critico alla ristrettezza dell"area dei sei '( che pure ci avreb– be consentito cli risolvere il problema chia,·e dei rapporti franco-tedeschi) e il patetico appello alla Gran Bretagna, di cui peraltro si giustifica l'assenza col probabile carat– ter., conservatore del p1·imo ipotizzato nucleo cli federa– zione continentale (quando si sa benissimo che il rifiuto in– glese cli partecipazione alla prima autorità sopranazionale · europea - la CECA - risale· a Churchill, che non era certo la persona pii, qualificata ad interpretare le esi– genze progressiste cle·1suo popolo!). E Vittorelli, così facendo, non si accorge cli contrad– cliJ-si con quanto più sopra aUe,·mato nel suo stesso arti– colo; non si accorge cioè di essere anch'egli un sabota~ toro dell'Europa, portando, con la presenza della. Gran Bre– tagna, condizioni imp"ossibili alla sua realizzazione, né più né meno di quei governanti èla lui giustamente denunciati, i quali parlano di una cosa così grande co111e il mercato comune per non correre il rischio di doyerJo, almeno par– zialmente, realizzare. Concludendo, poiché ritengo veramente proficua l'aper– tma cli un nuovo dialogo tra federalisti e Unità popolara (a cui personalmente mi legano tanti ricordi di belle bat– taglie condotte assieme), vorrei che anche nei confronti elci federalisti - indipendentemente dagli atteggiamenti perso– nali di questo o quel dirigente - Nuova Re1n1bblica usasse lo stesso metro di obiettività che tutti le riconosciamo nel– l'impostazione cli altri pu,· difficili e delicati problemi, sve– stendosi da ogni sospetto più o meno legittimato da pre– cedenti esperienze, per una confrontazione d'idee che abbia corQ.unque in con1uneJ con la necessaria fra1;chezza, il non meno necessario presupposto cli stima in chi le professa. Spero vorrai riconoscermi cli essere a mia volta inter-· venuto in tal senso, e ti saluto con viva cordialità Luciano Bolis L'amico Bolis mi ,·icorda un po' quel vedovo che, non potendo rassegnarsi alla perdita della moglie, se la fece imbalsama,·e e se la tenne in casa. Questa necrofìlia per la GED, che anima tutta la sua coi·tese lettera a Godignola sul mio articolo, vizia in partenza e pregiudica ogni pos– sibilità di discussione fra federalisti c"edisti e a.nticedisti. Finché si continua a parlare del « carattere potenzialmente rivoluzionario> della GED, ed attribuire alla guerra d'In– docina il suo fallimento e a fare del!' esito di queUa batta– glia un episodio di « cronac" parlamenta,·e >, è pe1·fìno inu– tile comincia,·e a disc,,tere. Perché la discusaione sia ut·ile bisogna: • 1) Volere l'unità europea per l'unità europea e no11 per consentire il riarmo tedesco o pe,· altri fìni che non ser– vono a unire il nostro continente 1na a div-idere ancor di viù il mondo in blocchi di potenze; 2) Volere una /unzione autonoma dell'Europa nella volitica mondiale e non la creazione di u.n'Europa desti– nata fìn dalla nascitci ad ess ere l'appendice di una delle due .1na,rJ(J.Ìori potenze rnondi< i.li; 3) Fare l'Europa con le /01·:e volitiche e socictli vera-. mente rivoluzioncirie del nostro continente - ché le rivo– luzioni si fanno con i rivoluzionari e non con i reazionari o i contror-ivoluzionari; e farla col ·maggior numero possi– bile di nazioni democtatiche · eu,·opee, senza escluderne in vcirtenza nessuna, neppure quelle fìn qui estraniatesi dal moto unitario europeo a causa del carattere semp,·e più spur-io e più reazionario della passata azione federalista; 4) Gonsidetare il federalismo europeo solo come il 11ri1novasso di un'azione internazionalista più larga, anc'he a liinghiss"ima scadenza, cercando di ,·endere più seri i ten– tativi generici fìn qui /lltti su questo piano, come l'ONU, e non di beffarsene con gioia perché anch'essi, come l'azio– ne europea, danno pi-ova di scarsa serietà. In parole povere, si tolga di mezzo il cadavere impa– gliato della GED e si cessi di celebrare i riti alla sua beata . memoria. Allora, si potrà ~iprendere a ragionare e a par– lare di nuovo dell'Europa in un'atmosfera più sana. P. V.

RkJQdWJsaXNoZXIy