Nuova Repubblica - anno III - n. 36 - 13 novembre 1955

(84) nuova repubblica I LUCI DELLARIBALTA I CAVALLI DI EDUARDO di VITO PANDOLFI D OPO U r SILENZlO di mesi e mesi sui palcoscenici di prosa, Roma si è s,·egliata a 11n tratto: Jean Vilar da una parte, l'Opera di Pechino dall'altra, il giorno dopo l'inaugurazione del Quirino con il Ventaglio, e il giorno prima il debutto di Eduardo con dne anziani ma validissimi cavalli di battaglia, Ditegli sempre di sì e Sik-Sik l'a,·te/ìce ina.gico. La storia del teatro a luoghi deput'l,ti: prima il grnnde avo, il teatro oi-ientale, poi M.olière e Goldoni, infine l'ultima metaformosi dell'antico n1in10 rinnovatasi e fl'esca come non n1ai in Eduardo. Né _solo la storia, ma anche le perplessità, le ince'rtezze, le risoluzioni a cui l'attività teatrnle si conduce oggi, sotto il peso del suo passato, nelle contingenze fra. le quali devo vivere, all'interno di una nazione e nel cerchio delle espe– :rienze universali. Quale spirito maligno ba ispirato la compagnia B1·i– gnone-Santnccio-Pilotto a presentarsi con Il ventaglio di Goldoni? Alle difficoltà, prnticamente insuperabili, di por– gere il Goldoni in lingua, si aggiungevano quelle di acco– stitrsi a ùn genere e a un autore per il quale la compagnia non ave,·a le qualità e gli elementi necessari. Anzitutto un complesso eminentemente drammatico (e non comico), una evidente inadattabilità delle doti dei suoi maggiori esponenti alle esigenze dello stile goldoniano, poi una crisi di scoraggiamento e di rassegnata disposizione, chia– ramente 1·isultante sulla scena. Lo spettacolo quindi era sbagliato nella sua impostazione. L'entusiasmo e la buona volontà av1·ebbero potuto· migliorarlo, ma non al punto eia renderlo eccell.ente. La colpa non va imputata agli attori, e neppure al regista, Carlo Lodovici, di cni cono– sciamo l'esperta mano e il felice intuito nel presentarci Goldoni: ma alla direzione artistica che ha avuto l'infe. ]ice idea di scegliere questo lavoro per il debutto della compagnia e l'inaugurazione del teatro (ahimé, ancora tra le· mani di Piacentini, simbolo di tempi che non tra– montano ·e di gusti che ci soffocano: la città di Borro– mini sta divenendo la città di Piacentini, e così si imme– schinisce; il Quirino pili di prima ha un'aria tJrovvisoria, cli moda già superata). II confronto con i due complessi stranieri che svol– gevano contemporaneamente la lol'O attività a Roma non poteva non risultare penoso per il nostro teatro. Bisogna anche aggiungere che la mia generazione - a cui sfor– tunatamente non è stato dato di assistere alle esecuzioni veneziane di Simoni - non ha ancora potuto assistere ad interpl'Ctazioni del Goldoni in lingua pienamente sod– disfacenti, e nutre il forte du~bio sia che i! nostro teatl'O in lingua non abbia oggi la maturità artistica necessaria pe,· interpretnre Goldoni; sia che il Goldoni «italiano> non conservi in effetti la freschezza e la vitalità del Gol– doni dialettale, la sua spontanea adesione al carattere umano. Il netto divario - nel senso cli una maggiore matu– rità tecnica, di una convincente sincerità artistica, di una immediata rispondenza alla realtà della vita e dello spet– tatore - lo si riscontrava cli fatti,, assistendo alle rap– presentazioni di Eduardo con la sua eccellente compagnia. Ditegli sempre di sì e Sik-Sik sono farse epiche dei tempi della sua combattuta giovinezza. Più vive che mai, le due farse divertivano in modo irresistibile, lasciando però un fondo di co1111nozione. La sera in cui ero presente, il pubblico fu talmente eccitato dalla rappresentazione che scoprendo due tenerissimi e grotteschi innamorati in balconata, volle dare spettacolo per suo conto, sollevò clamori. e si agitò, finché, come al finale della Cavalleria rusticana,, non intervennero i carabinieri. Il gioco scenico del primo Eduardo può dirsi - ormai è luogo comune il ripeterlo - cli schietta marca pulcinellesca. Si riallaccia alla commedia dell'a,·te, in cui il canovaccio serve dichia– ratamente da testo per le bravure co•miche cle'gli attori. Di qui si ricongiunge al teatro orientale, all'Opera di Pechino, dove l'interprete ò un vil'tuoso che però non rinuncia mai a prendere contatto con la realtà, ad attua– lizzarsi, e sa quindi fondere le due esigenze. Nell'Opera di Pechino, come negli eredi della commedia dell'arte, -è una tradizione ancora viva grazie ai suoi aggiornamenti, alla sua comunicazione ed osmosi col tempo. In Eduardo - teat,ale in modo superlativo, come attore e come au– tore, in questi due pezzi che erano stati quasi dimenti– cati - vive il senso ciel comico e del tipo, della situa– zione e dell'assurdo,. dell'imprevisto, ciel colpo cli scena. La parodia ha uno stile serrato, caratterizzato al punto da esprimere proprio quell'« esagerazione» del reale, che lo rivela. Naturnlmente, in Eduardo vediamo uno spunto, come uno squarcio di verità, che l'Opera di Pechino in– vece indica in un panora1na, in un arinonioso compin1ento. Eduardo sorprende la cronaca quotidiana nei suoi mo– menti.culminanti (e si pone vicino agli scherzi comici di Cecov), ne individua e no 1·iproduce le movenze, che, ri– portate di sana pianta sulla scena, hanno l'effetto cli 1·endere la vita incredibilmente conuca e di farla guar– dare con occhi nuovi, penetranti._ 7 Vacanze al museo flJis. di Gag) \__ *_B_I_B_I_J _I_O_T ___ E_.:;_C_A _ *__ LES CLÈS DE SAINT-PIERRE P RIMA di aver letto quest'ultimo libro di Roge1· Peyre– fìtte (Paris, Flammiu·ion, l.D55) ci siamo domandati quale uscio egli avesse potuto aprire con queste sue chiavi di San Pietro per poter destare tanto scalpore, e se fosse stato veramente l'uscio delle cucine di San Pietro o qualche altro più maestoso. In Francia il libro era stato sulle primo accolto con simpatia in tutti gli ambienti, non esclusi certi ambienti cattolici, piuttosto lieti che qualcuno si fosso finalmente deciso a « dirne quattro» alla Curia romana, dopo il dis– sidio risolto con pugno di fel'l'O sulla questione dei preti operai. Di questa simpatia aperta o larvata s'ern d'al– tronde avuta un'eeo nelle note da Parigi dei corrispondenti itaHani, che, un po' per l'importanza della cosa, un po' perché non scontenti neppure loro cli dire male di chi mag– giom1ente contribuisce a creare il clima conformista ita– liano, avevano riassunto larghe pa1·ti, proprio fra le più scandalistiche, del romanzo. In Italia, invece, si è- avuta non solo la violenta rea– zione degli ambienti vaticani e cattolici, come era preve– dibile, ma anche il pudico sdegno di alcuni scrittori « lai– ci». Notevole eccezione l'eccellente saggio pubblicato da Glauco Natoli sul Ponte del luglio scorso. E' stato con– cluso, insomma, fra scrittori cattolici e « moderati » o an– che « laici » minori, una specie di tacito patto Genti. Ioni letterario, alla rovescia, estensione dell'attuale quadri– partito politico, per cui, chi non se l'è sentita di dir male del libro, ha preferito tacere. Come mai questo libro aveva provocato l'ostilità di tanti scrittori italiani, c:ompresi i liberali? Una patte di questa ostilità si poteva anche spiegare con la figura tal– volta antipatica dell'autore, specie nelle sne opere prece– denti, come Les Arnitiés particulières, o Le., Ambassades e La fin des Ambassa,les, dove rivelava i dessous del Quai d'Orsay, ridicolizzando in modo particolare la figura di « Crapote », diventata poi consorte cli Georges Bidault. C'era in tutti questi libri un'atmosfera pesa.nte, soffocante,. non solo sul piano morale, ma anche SLtquello politico: il l'eyrefitte era sempre pieno di compiacenza pe,· i diplo– matici nazisti e per i collaboratori di Vichy e la sua car– riera diplomatica ern stata interrotta pe,· motivi poco chiari. ' Ma il carattere « antipatico » di uno scrittore non può .issere un elemento di giudizio letternrio c, comunque, que– sto non bastava a rendere «illeggibile» il Peyrefitte o a giustificarne anche una stroncatura arbitraria, tanto più che egli si era dimostrato scrittore fine e di gusto assai de– licato, specie nelle sue opere sull'Italia; i primi ça:pitoli del suo libro Du Vésttve à l'Etna - che ricordano ce1te pagine di Proust sulle chiese brettoni - sono fra· le più belle cose che si siano scritte su Napoli e su alcuni riti curiosi delle chiese napoletane, che il Peyrefitte ha voluto visitare senza eccezione, chiunque le custodisse, dandoci poi una descrizione di vari tipi umani cli ecclesiastici che è fra le più gustose e le più acute che si abbiano. D'altra parte, anche se il Peyrefitte non si può definire uno scrittore « cattolico », nonostante la sua sincera pas– sione, diremmo quasi di natura estetica, per i più anti– chi riti cattolici, non si può neppure definire anticattolico e giungeremmo fino a dire che sarebbe arbitrario annove– rarlo fra gli set·ittori. propriamente anticlericali. Che cosa doveva dunque fare sdegnare gli ambienti cattolici romani e determinare l'improvviso schieramento intellettuale « gentiloniano » clerica I-moderato? Forse upa certa vena, non certo « anticlericale », ma gallicana del suo librò, della quale si scoprono già alcune tracce nella sottile ironia non priva d'altronde di simpatia con la qua– le giu dicava le cose italiane, e in pa,ticolarn le cose cat– toliche italia.ne, nei suoi libri passati st1ll'Italia. Anti-italiano dunque? No, al contrnrio, ma insofferente, con1e tanti cattolici francesi, ecclesiastici e la.ici, prin1a di lui,, di quello che Alfred Loisy chiamava « l'im pèrialismo romano», la « donunazione » totalitaria del.la Chiesa di Roma sul mondo cattolico universale. E' forse quest'ostilità contro la Roma pontificia, la quale ricorda talvolta per il suo tono (ben più moderato tuttaYia) quello cli Gioacchino Belli, che ha ridestato in tanti nostri < moderati ~ un senso di « nazionalHà 1·on1a– na. » offesa, della « seconda Roma>, naturalmente, fa– cendoli diventare tutt'ad un trattq nazionalisti, a.posto– lici e romani. Les clés de Saint-p;e,..,e è del resto un libro assai cli– snguale e non riei:;ce se1npre a fondere arinoniosamente i tre elementi che abbiamo c,·ecluto di potervi scorgere: una serie cli saggi su alcune delle curiosità rituali ancora in vigore nella Chiesa cattolica, parecchi pettegolezzi sulla vita della gerarchia cattolica romana (che più hanno !atto irritare gli ambienti vaticani), pettegolezzi il cui tono ri– corda talvolta quello delle Ambassades e della Pin des Am– bassàdes, e una trama erotico-sentimentale che riecheggia un po' in certi punti l'atmosfera equivoca dei suoi libri Les Amitiés Particulières e Les Amottrs Singttlières. La parte saggistica del libro è certamente quella pi,, in– teressante e più inconfutabile: il Peyrefitte ha sempre avu– to una particolare passione _por certe minuzie della vita religiosa ed ecclesiastica, ha sempre an1to un autentico amore per questa vita simbolica della religione, entro la quale palpita spesso, ma non sempre, un tormento reale, una passione effettiva, e getta il ridicolo, con una satirn che, forse con una punta d'esagerazione, è stata parago– nata in Francia a quella del \'oltaire, sui residui più pa– ganeggianti e più antiestetici di questa simbolistica. La discussione sul santo prepuzio, che tanto appassionò ad un certo momento gli ambienti ecclesiastici, anche per– ché era una disputa sulla legittimità di parecchi prepuzi, tutti provvisti di notevoli titoli al riconoscimento della loro autenticità, è trattata magistralmente: solo una bolla pon– tificia bastò a mettere tutto a tacere ed a vietare la con– tinuazione della controversia. La passione per le indulgenze, che finisce per trasfor– mare certe pratiche della vita religiosa in una vera e pro– pria borsa per aumentàre il proprio patrimonio d'indul– genze, è anche una delle parti più accurate del libro. E così pure la passione per le reliquie, passione tramandata in gran pa,te dalle Crociate, che ha fatto sì che per al– cuni santi si siano autentificate decine e decine di reliquie cli braccia, di gambe e così via. Sono cose che tutti sanno, ha detto un recensore li– berale. Ma si deve rispondere che pudicamente nessuno le dice, che si lasciano deliberatamente praticare senza di– scuterne perché mantengono intatta una fede spuria in molta gente che altrimenti diventerebbe scettica; c_hefini– scono, inson1111a, per trasformare una problematica seria, come quella religiosa, sulla quale si possono anche avere scetticismi, dubbi, controversie e via discorrendo, senza perciò annoverarla tra le pratiche di magia, in una specie di fiera da baraccone, dove il mirncolo supplisce alle defi– cienze della lede e il dogma a quelle della teologia. · Quelle parti del libro in cui l'A. rivela i retroscena della vita della cmia romana sono invece più scandali– stiche e meno controllabili, ma non sono necessariamente inattendibili, dato che Io stesso Osservatore Romano ha ri-

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