Nuova Repubblica - anno III - n. 22 - 7 agosto 1955

2 parlamentari per le questioni finanziarie dello Stato e per i problemi politici in genere è stata distratta dalla « cam– pagna elettorale» per la vicepresidenza della Camera, or– mai vacante dal giorno dell'elezione a presìdente dell'on. Leone. L'apertura dei comizi, per dirla in gergo elettorale, sì ebbe non appena Segni, ultimò la distribuzione dei di– versi incarichi minfateriali e precisamente dal momento in cui, il maggio,· aspirante al seggio n. 2 di Jlfontecito1·io, l'on. Crescenzo Ma,,za, dottore in medicina e chirurgia non– ché segretal"Ìo democrfatiano alla presidenza della Camera, Iu elevato al rango di vicecommissario per la Sanità Pub– blica. I candidati che si sono fatti avanti, se non si tien conto d i sei o sette socialdemocratici e di tre o quattro libera.li, sono tutti democristiani: Castelli-Avolio, Resta, che pare sia sostenuto dal presidente Leone, Cappa, Fo– resi, che è il candidato dell'on. Fanfani, Marazza che è portato dalla < Concentrazione > e Dominedò il quale, come si converrà, è un «isolato>. Egli, il Dorninedò, si agita più d'ogni alb·o e va .chiedendo, con due mesi di anti– cipo sull'elezione, voti a destra e a manca. Si vuol sapore quali siano i meriti di cui si fa forte? Lo abbiamo conosciuto, per quanto le cronache ne abbiano tel)uto poco conto, come il sottosegretario pe.r antono– masitt: è stato al governo, continuamente, sotto De Ga– speri, sotto PeUa e sotto Scelba per otto anni filati. Lo si ricorda, con la sua aria di dire « io so tutto , oppure « il governo sono io, in ogni seduta di J\Iontecitorio. Si ricorda di lui la volta in cui, parlando De Gasperi al Se– nato, redigeva l'uno dopo l'altro appunti frettolosi che ,poi passava con molta sufficienza al presidente del con– siglio il quale, lotto il primo, ebbe cura di gettare tutti sii alb'i, via via che gli pervenivano, nel cestino della carta. Tutti i resocontisti parlamentari ricordano di averlo visto, nel corso delle sedute, anche quando i segretari leg– gevano il « resoconto verbale > della seduta precedente, perennemente occupato a prendere appunti; si seppe, poi, dai commessi che egli non faceva altro che scrivere in bella calligrafia < inglese > il proprio nome e cognome e la qualifica che, in quel momento, occupava nel governo. Ora, dunque, l'onorevole Francesco Maria Dominedò aspira alla vicepresidenza della Camera e l'argomento di cui più si fa forte per perorare la sua causa è lo stesso che foce sganasciare dalle risa il defunto De Gasperi _e che, in definitiva, gli valse il sottosegreta,-iato perenne. e Che dirò a mia moglie - si vuole abbia detto a De Gasperi nel 1947 - se non sarò·eletto almeno sottosegretario?>. Un altro fatto che, negli ultimi giorni, ha rallegrato le lunghe soste dei giornalisti e. dei parlamentari nel Tran-. satlantico è quello che si riferisce alla decisione del quo– tidiano Il 7'ù·reno di Livorno: Athos Castone Banti ha da tempo gilll'<1to a se stesso di ignorare, « finché il di- 1·eltore del giornale sarà lui >, il nome del deputato so– cialista Leonetto Amadei .. Il fatto è stato narrato da al– cuni deputati toscani. A seguito di un'aspra polemica che it Banti ebbe, anm addietro, con l'Ama.dei,... fu presa la decisione che abbiamo riferito. Ogni tanto si legge sul gior– nale toscano che « a questo punto, ba preso la parola un deputato di cui ci sfugge il nome ». Si tratta, inva– riabilmente, dell'on. Amadei. Una volta' è accaduto che Il 7'frreno pubblicasse passi integrali di una sua arringa ad un processo che si tenne a Pisa. Naturalmente, i let– tori seppero solo: « a questo punto, ba preso la parola, il difensore :i,, del quale poi si riferivano circa una colonna di: argomentazioni. Recentemente, un deputato democri– stiano di Pisa voleva sollevare la cosa in parlamento con un'interrogazione al ministro della Giustizia. Amadei si è opposto perché - egli ha spiegato - la sua popolaritf1 ne sarebbe stata compromessa: infatti i lettori del 7'ir– reno, non ·appena si accorgono che manca il nome. di un personaggio, pensano subito che si tràtti di lui. E la pub– blicità che Amadei ne ricava sarebbe enorme perchè pare che Banti, avendo rotto i ponti con molti, non pubblichi più i loro nomi, checché facciano o dicano, In un momento -di malinconia, si ba ragione di temere, cancellerà dal gior- nale anche il suo nome. * Olivetti Lettera 22 In auto e in treno in aereo e in albergo sulle ginocchia, sul tavolo d'un bar, esatta e leggera scriverà la vostra corrispondenza gli appunti di viaggio i ricordi delle vacanze. L'ECO DELLA STAMPA UFFICIO DI RITAGLI DA GIORNALI E RIVISTE Direttore: Umberto Frugiuele Bibl· oteca G Milano, Via G. Compagnoni 28 Corrisp. Casella Postale 3549 TeÌegr. F.costampa ~· nuova repubblica I ITALIA POLITICA LACONGIURA DITORI S TRETTO JL PATTO d'alleanza antimalagodiina, alle 01·e 11,20 d~I 31 lug)io, a _Torino, tra gli « amici ·del Jlfonclo » e 11 subalpmo V11labruna, mentre que– sl.'nlt.imo usciva tra gli applausi degli astanti, Niccolò Ca– randini sorse, in. tutta la sua statura, in piedi su una se– dia, e pregò i • suoi > di rimanere: avevano qualche cosa da dirsi ancora tra loro, come « corrente >. Restò anche, indiscreto, qualche testimone della stampa. Poté così ud.i.re Mario Paggi, che, nella speranza di mandai·e tutti p resto– a casa, svolgeva un sermoncino di perorazione finale, tuo– nando che, finalmente, l'anima di Giolitti si era decisa– mente staécata da quella di Salandra, e si decideva ad af– frontarla. Mario Paggi è, come avvocato, un oratore di gusto un po' arcaico, non senza una sua cosciente malin– conia; come politico, ha il senso delle proporzioni. Perciò, in conversazioni amichevoli, pregava di giudicare l'evento della giornata secondo il parametro delle dimensioni e del peso politico del partito. Se quindi _a taluno poteva sem– brare che, infine, fos e accaduto ben poco, nelle due tor– nate torinesi di Palazzo Ca.rignano, su un metro di lotta interna di partito anche la nuova combinazione del centro villabruniano con la sinistra del Mondo poteva avere la sua importanza. E, a suo avviso, non soltanto all'interno del partito. Quel testimone della stampa, cui abbiamo accennato, il sabato 30 era andato, come tutti i suoi colleghi, a pren– dersi una vista dei liberali minoritari, nelle due sedi dove ancora separatamente sedevano 1-iuniti. Al llfajestic, in via Urbano Rattazzi, Villabnrna aveva riunito gli amici. Di- . ciamo gli amici, più che i seguaci. Perché, ahimé, se egli vedeva intomo a sé i suoi fedeli elettori di Cuneo e di Bra, di .(\.!ba o di Novi, non uno dei parlamentari piemon– tesi, malgrado qualche buona parola, lo aveva seguito. Né il senatore Perrier, già sottoscrittore del sodalizio reduci– stico di J\Iesse, né !'on. Badini, oggi indistricabile dai le– gami del suo sottosegretariato agli esteri, gli tenevano oggi la staffa. Staremmo per affermare che Villabruna non aveva indotto a dargli manforte neppure un consiglie– re comunale di Torino, né un consigliere provinciale di Cuneo. Il figlio di Abdelkader Salza, un avvocato torinese che regge quel « cittadino > liberale, era con lui, è vero: ma a puro titolo personale, I giornalisti videro, certo, mol– te facce onesto, ma Anche lievemente attonite; le più de– ci~e, gravemente assentirono aU-a lettura di un ordine del giorno, nel quale a stento, su valido suggerimento di un pai<;>di « tecnici >, !'on. Villabruna aveva inserito la sua censù1'.à prefel'Ìta al « malagodismo >, quella di aver in– dotto il partito ad esseie succube di interessi • sezionali » di classe. Com'era toccata all'on. Villabruna questa amara, no– bile, nuda solitudine? Dove, in quali catacombe o poltrone dicasteriali si annida il vecchio centro, che già nel 1951 aveva, temerario, determinato la riunificazione del par– tito, qui stesso in Torino, nella sala del Teatro Alfieri? A Palazzo Carignano, dove sabato scorso era àppunto riu– nito (sessanta convenuti circa) il gruppo· del Mondo, lo abbiamo saputo, dalle analisi della tribuna, in termini che condividiamo. Il « centro > liberale, è oggi un complesso di posizioni personali: un gruppo di « notabili >, ministeriabili a pia– cAre, del Jlfalagodi ~ non malagodisti per sentimento o per convinzione, intendiamoci,· ma per opportunità; ideologi: camente inesistenti, perché il loro centrismo coincide con la posizior\e di arbitrato che compete naturalmente a chi governa. Anche Villabruna era cosi, solo pochi anni ad– dietro, quando essere centrista, nel partito liberale, equi– valeva ad essere degasperiano. Solo che Villabruna clega– speriano è rimasto, e oggi questo significa una certa carica di anticonservatorismo. Ecco poiché la figura di Villabruna ritiene qualche tratto curiosò. Eloquente come un notaio, assurge, di fronte a llfalagodi, a educatore di uno stile di cordialità tra uomini di mondo, che è, bisogna riconoscer– lo, il vecchio c9stume dei liberali italiani. llfa, quando si tirano le somme, Villabruna che ba pur saputo, a Torino, presentarsi come un idealista di fronte alle cautele oppor– tunistiche di tutto il centro, rappresenta solo una posizio– ne politica di dignitoso moderatismo, partita ancora gio– vanilmente al recupero della quotazione perduta, e biso– gnosa di alleanze che, non trovandosi al centro, si reperi– ranno ora ali.a periferia: vogliamo dire, alla sinistra, E qui è ii1declinabile la questione: che interesse ave– va la sinistra di allearsi a Villa.bruna? La sinistra è .indub– biamente una posizione « nazionale :t. Salvo Vittorio De Caprariis, cui assoceremmo, per la filosofia, l' An toni, e per il moralismo, il Laurenzi, l'ideale dei « mondiani > resta facilmente individuabile: una sorta di mendesismo all'ita– liana, tenuto conto, cioè, che tra loro non c'è uomo che si avvicini al decimo della statura di Mendès, e avvertito che, anche avendolo, mai saprebbero avventarsi, come lo statista francese, sull'apparato del partito. Ma questo non toglie, che in un clima politico più dimesso, com'è il no– stro rispetto a quello francese, la posizione del Mondo non sia tanto quella della sinistra del partito liberale, quanto piuttosto il segno, il richiamò ad una te1·za forza radicale, cui potrebbero facilmente associarsi, tra i repubblicani, l'on. La llfalfa, tra i socialdemocratici un Paolo Rossi, e più d'uno, diciamolo pure, che uscisse dalle file di UP o persino del PSI. Questa gente sente, seriamente, che col fascismo è finita una fase- del capitalismo italiano; che non si può essere democratici senza alleanze a sinistra; o almeno, con nemici a sinistra; e si registrerà tra loro chi, come il barone Compagna, è fautore di una influenza del pa,·tito, e ciel Mondo, per una soluzione romana di tipo siciliano; o chi è almeno anticonservatore sia· pure nella formula di un quadripartito ideale, mai esistito e comun– que oggi perento, come Leone Cattani. A domandarglielo, dunque, questa gente del Mondo non saprebbe dire lei stessa se costituisca un'ala del par– tito liberale o un centro d'opinione nazionale, o solo un gruppo di pressione. Eppure è molto importante stabilirlo. Come ala del PLI, sebbene l'affare dell'aJleanza con Villa• brnna sia magro, esso è sempre positivo. Come gruppo me– tapartitico d'opinione, l'affare, invece di essere magro, è negativo: perché, in quanto fatto e produttore d'opinione, il Mondo ha bisogno di mani libere, ha bisogno di non con– finarsi, per amore di Villabruna, a un'azione interna di antimalagodismo. Come gruppo di pressione, infine, che significa propriamente? Significherebbe, nel nostro caso, questo: che i liberali del Mondo possono raddoppiare oggi la propria forza nel partito, facendo presente al Jlfalagodi che in uu frangente elettorale essi possono tutti presen– tarsi come anticandidati contro quelli della segreteria, !uori del partito, e fare in modo che non uno dei malago– dia.1ù abbia a riuscÌ!'e. l\fa quando si opera con siffatte armi, è poi, in realtà, non più per uscire dal partito, ma per ottenervi la parità di fatto con la maggioranza e l'ap– parato malagodista: cioè per impegnarsi vieppiù nel par– tito, e diminuirsi vieppiù come produttori di opinione di terza forza. Se poi l'operazione si fa in associazione con Villabruna., allora è anche più pericoloso. Il Mondo, preso a se stesso, può anche valersi abilmente della propria po– livalenza; ma unito a Villa.bruna non può che diventare sempre più univoco, battersi solo nel partito, per un pri– mato o almeno per un serio recupero nel partito. Ecco perché ci sembrano molto serie le riserve di 11:Iarco Pan– nella e di GioYanni Ferrara; questi, 1·ispondendo alla mo– zione degli affetti suscitata da Carandini, ba dichiarato che se si trattava di andare inèontro a Villabruna con le braccia aperte il seno gonfio di commozione, sarebbe par– tito per primo; ma che bisognava non già operare una combinazione con Villabruna, bensl, puramente e sempli– cementll, inserirlo nelJ.a-sinisfra. A BBIAll:IO L'IMPRESSIONE che tanto Villabrnna quanto Il Mondo si siano lasciati dominare dal com– plesso dell'isolamento. A consigliare la combinazione del re– sto agivano anche ragioni esteriori. Anzitutto Villa.bruna non era il loro invitato; ma loro, deJla sinistra, i suoi. In se– condo luogo non potevano, dopo il « battage » della Starn.– pa, far partorire un topolino di « sì > e di « ma » dalla montagna di Palazzo Carignano. Così, la sera di sabato, a tarda ora, gli oscillanti e i reuiteHti, ui:i Cagli di Bologna ad esempio, ebbero la sensazione che, come al solito, l'af– fare fosse già stato deciso con Villabruna dai Pannunzio e dai Paggi. Corsero proteste, vib1·ò qualche parola spia– cevole; ma l'intesa era ormai un fatto compiuto. L'indo• mani mattina alle dieci, a .frotte, arrivarono, a Palazzo Carignano, per la consacrazione del patto, alla spicciolata, i villabrmùani, e i seguaci del Mondo. Per ispirarsi, sali• vano anzitutto al primo piano, a. visitare il Parlamento Subalpino. Nina Ruffini si insinuò sino al seggio di Bettino Rica.soli, e disse, con la grazia grave che le è propria, qualche parola intorno 'alla severità del barone verso i ve– scovi. Tutti osso1·varono che il conte sedeva all'estrema sini– stra del centro destro; pochissimi l'Ìcord~rono che un nastro tricolore doveva onorare un altro posto di presidente del consiglio; al seggio del Gioberti, che i più non sapevano essere stato primo ministro di Ca.i-loAlberto. Il custode te– neva frattanto a bada i visitatori, perché non si' prendes• sero troppa confidenza cou gli scanni dei grandi. Poi, quan. do si ridiscese alla sala del pianterreno, un grande applau• so salutò l'on. Villa.bruna in popeline blu e cravatta grigia, Egli si mise subito a leggere, con la monotonia di un can– celliere, una sua relazione piena di sanguigno spirito in– quisito,·io contro il Malagocli. Noi ci accorgemmo eh.e que– sto penalista di provincia, questo ultimo seguace della sta– gione antifascista di Giolitti, aveva una sua nobiltà e una sua lealtà di vecchio liberale subalpino, che sapeva rea– gil'e con sdegno all'attendismo dei centristi suoi pari, pron– ti oggi a farsi designare ministri da llfalagodi, domani a sfidarlo in consiglio nazionale, ma immancabilmente dopo– domani a rappattumarsi con lui. Fatto l'affare, un affare modesto per ambedue, come abbiamo accennato, la « sinistra> rimase, i villabruniani si eclissarono. Si .incominciò a parlare della organizzazione délla « corrente >. E qui sorse il dubbio: e se llfalagodi a– vesse voluto applicare contro di loro la disciplina statuta– ria, chi) vieta le correnti? La « sinistra > decise di non dar– sene pensiero. Malagodi avrebbe fatto la figura di un qua• lunque Guy Mollet, cioè pessima. A quell'ora, Giampiero Orsello, che la sera prima era capitato « per ca•> a To– rino, col fido Di Lorenzo, ripartiva per Roma. Aveva abil– mente indagato, per « riferire >. La logica dei rap• po1·ti di forza dice che Malagodi, prima di tutto, avendo il congresso di novembre in mano, non ba nulla da temere; in secondo luogo, che i « notabili > liberali hanno ancora troppo da guadagnare a restarsene nello stagno con l'ex direttore centrale della Banca Commerciale Italiana. .t\LADINQ

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