Nuova Repubblica - anno III - n. 14 - 12 giugno 1955

nuova repubblica 7 LUCI DELLA RIBALTA ( Dis. di Dino Boscht) « Non posso più dipingere. ì\fi mancano le pubblicazioni francesi d'arte> DIECI ANNI DI CULT·URA PASSATO E PRESENTE LA STORIA DEGLI U0ì\1INI che, riuniti in collettivi– tà, compongono una nazione, è c.nche storia della loro vita culturale. La cultura ne accoglie ed interpreta le esigenze di civiltà. Essa, che è non soltanto creazione e moralità individuali ma anche elaborazione dì un comune ideale del vivere, rappresenta quel punto in cui l'attività, speculativa ed artistica, s'incontra con il costume morale e ci vile di una società intera. A questo presupposto s'informa il s'1ggio che Mario Sansone (in Dieci anni dopo - Saggi sulla vita democ.,·atica italiana, Bari, Laterza, I 955) ba dedicato all'analisi delle nostre vicende culturali di quest'ultimo decennio. Il riconoscimento del legame, che unisce la cultma ai modi della vita· civile, conduce a ritrovare una somiglianza non estrinseca nello svolgimento della vita, sia politico-ci– vile che culturale, in Italia, dalla Liberazione ai nostri giorni. All'iniziale ansia di rinnovamento, confortata da speranze e da ideali rivoluzionari, è succech!tO il momento <lolla stasi, dell'immobilismo che si traduce in restaurazione •e conservazione del passato. Ed in cultura, come in politica, caratteristica del decennio sarebbe, per il Sansone, l'acuirsi, non il comporsi del sentimento di codesta antitesi, che tuttavia si sarebbe manifestato con ritardo proprio nel cam- • po culturale. In esso il dilemma: restaurazione o rivolu– zione, non avrebbe infatti avuto ragione di esistere. Tale giudizio può essere accolto senza difficoltà, allor– chè si consideri che un movimento di cultura, per la sua stessa essenza, non può essere rivoluzionario se non nell'in– terp1·ctazione e nella scelta di una de.terminata tradizione. Ma non si può consentire con il Sansone allorchò questi af– ferma, con ottimismo, che il « ramiodamento » con !!epoca culturale prefascista, operato nel primo periodo dopo la Liberazione, fu facilitato dall'indipendenza che la cultura italiana aveva mantenuto, durante il ventennio: non tocca dal fascismo, ad esso aveva sempre resistito, seguitando un proprio e indipendente cammino. Se è vero che il fascismo non creò valori cultmali, è altrettanto vero che ne ostacolò il nuovo sorgere; ed è pure noto che una certa cultura - quella ispirata all'attivismo e all'irrazionalisn10 - contribuì al suo sorgere e ne appog– giò poi le fortune politiche. ll fascismo aveva inoltre disa– bituato la nostra cultura alla libertà d'espressione, che è a lei necessaria non solo per conservarsi ma soprattutto per ririnovarsi e per espandersi, l'aveva destituita dalla sua più vasta funzione, e quasi esiliata dalla vita della nazione, co– st,·ingendola ad essere soltanh una cultura per élites. La sua indipendenza era dnnque, nonchè limitata - come nella storia suole accadere - anche illusoria. Che il C!'Oce, verace animatore della resistenza intel– lettuale dei migliori italiani al fascismo, abbia conservato ed ampl_iato la più alta tradizione culturale dell'Italia pre• fascista, pur durante il ventennio, per consegnarla poi, in– tPgra ed anicchita, all'Jtalia uscita dalla Resistenza, nes– suno vorrà contestare. Ma appunto quell'Italia allora sen– !'va - come il Sansone scrive - l'antitesi tra la t,·adizione li:.ieralo e le aspirazioQ,.i,qe])l).,llU\Wa deQJJ>crazia del soQ,iali- smo. E perciò il crociancsirno, che pure era avallo di conti– nuità cultm·ale e morale tra una parte del prefascismo e dell'antifascismo, fu spesso malamente inteso e rappresen- . tato, nel dece,;u:tio, quale segno negativo del passato e del vecchio. Distih}t~endo tra accettazione integrale della dot– trina crociana ed il messaggio e l'eredità del pensiero di Croce, il Sansone ne rivendica invece la positività. Sembra tuttavia che, nonostante Ja finezza e l'accortezza delle sue distinzioni, proprio qui egli sia caduto in contraddizione con se medesimo. · Il panorama della cultura italiana, che egli delinea (e ciò vale soprattutto per la prima pa.rte del suo scritto, dove sono trattati i terni della cultura intesa in senso tradizio– nale, cioò umanistico: ma non ad esempio, quelli propri alla cultura scientifica), è dominato dall'opposizione, quasi dal duello tra crocianesimo e marxismo. Quest'ultimo, seppure in modo mediato e con intenti troppo spes:o grossolana– mente polemici, ha recato un soffio di vita nuova nella sto– riografia (il Sansone cita gli studi sulla questione me,·idio– nale, ma non accenna a quelli sul Risorgimento), nella cri– tica letteraria (e non tanto per l'esigenza a.nticlecadenti– stica, che a buon diritto è vanto della critica d'ispirazione crociana; n1a per il tentativo di una elaborazione moderna del' sociologismo romantico), nella letteratura infine e nel cinema, attraverso la poetica del neorealismo. Se dunque il marxismo, come il Sansone più volte asserisce, appare .il solo (atto nuovo ed efficace della nostra cultura, nel de- cennio: ciò non significa forse che il crocianesimo, protago– nista ancora vivo della vita culturale italiana, vi rappre– senta le istanze e gli insegnamenti del passato, con quanto di positivo, ma anche di negativo, esso di necessità porta sempre con sè? Il Sansone auspica un lieto fine all'opposizione tra cro– cianesi1no e n1arx.isn10, e tra di essi esorta a ricercare il pun~ to della sutura più cbe quello delta rottura. Qualora ciò non significasse correre il rischio di edulcorare e crociane– simo e n1arxisn10, riunendoli in una sintesi artificiosa e precaria, saremmo d·accordo con lui. Le due posizioni cul– turali possono trarre, l'una dall'altra, stimoli e snggestioni feconde; ma non conviene che esse trovino la loro con– fluenza in una sorta cli centrismo culturale. Il Sansone non ha del resto dimenticato di accennare, nell'ultima parte del suo sc,·itto, a quei problemi di politica culturale che in Italia si pongono sempre più urgenti per– chè i,.,.isolti o, ed è peggio '1ncora, risolti a danno della vita democratica della nazione. Nel campo del cinema, della radio e soprattutto in quello della scuola, il Sansone rileva da un lato la gravità dell'.insufficienza statale, dall'altro la indebita e perniciosa influenza governativa. Sono sintomi di una carenza culturale e di una prepotenza politica che testimoniano la debolezza della società italiana e l'incapa– cità dei suoi intellettuali. Questa storia della nostra cultura nel dopoguerra gioYa a meglio intenderle, ma non può ad esse suggerire rimedi: tale non è il compito degli storici. DELIA FRIGESSI I(; IN E MA I L'ULTIMO- PONT D EL DECIMO ANNIVERSARIO della Resistenza il nostro cinema si è ricordato soltanto nei cinegior– nali; e se n'è ricordato in un modo alquanto sin– golare poichè tutta la Resistenza vi è stata raffigurata come una faccenda che· riguardasse esclusivamente parti– giani e tedeschi. Dei fascisti, e delle loro nefandezze, nep• pure un cenno, come se le « brigate nere» fossero una purn invenzione della propaganda comunista. Che la produzione italiana abbia p1·estato un'attenzione così frettolosa e di– stratta alla pagina più bella della nostra rècente storia, può suscitare sdegno, ma non stupore: da tempo tra i molti « tabù » di Cinecittà vi è anche la Resistenza. Nes– suno naturaln10nte, e, per carit;t, tanto 1neno il govel'nO, ha posto un divieto esplicito: ma intanto, sotterrato il pro– getto del (ilrn sui fratelli Cervi, nessun produttore si è sentito il coraggio di arrischiare i suoi quattrini in una impresa che presentava tante incognite (e pericoli); molti registi, anche non di destra, hanno fatto dichiarazioni im– prontate ad un'estrema prudenza; e persino un documen– tario come Lettere di condann1,ti a morte della Resistenza ital.iana non ha ottenuto la programmazione nel circuito norn1ale. Queste e altre considerazioni i riaffacciano alla mente assistendo alla proiezione de L'idtimo ponte sebbene non si tratti, propriamente, di un film sulla Resistenza, an~he se da essa trae l'occasione. Si pensa con amarezza che di quelle belle immagini di vita e cli lotta partigiana dobbiamo essere grnti non a un nostro regista ma al te– desco Hclmuth Kautner, antore del film con lo jugoslavo Custav Cavl'in. E si tratta, occorre subito notare, di una coproduzione austro-jugoslava, cioè di due paesi già in guerra tra lorn e, cit-costanza che offre altra materia di riflessione, acéordatisì per gil'are una pellicola propl'io sull'argomento più rovente per entrambi; la lotta dei par– tigiani jugoslaYi contro le trnppe tedesche. Protagonista de L'ultimo 1lOnte ( « Die letzte B..-iicke », 1954) è HelgA, una giovane dottoressa tedesca al seguito delle truppe naziste che hanno messo a leno e fuoco !'Ju– goslavia (e il film non risparmia la visione di alcune di quelle atrocità). Rapita dai partigiani per curare il loro me– dico, rimane, morto quest'ultimo, in mezzo alle bande di ribelli: dapprima p1·igioniera e ostile (e invano tenta di fuggil'e), poi di sua libera volontà. A poco a poco Helga ha compreso che quelle «belve» sono uomini c_he difen– dono il lo..-o paese e, almeno in quel momento, più degli att,·i hanno bisogno della sua opcrn. Al punto che, inviata in mezzo ai tedeschi per recnpern,·e nn prezioso carico di medicinali, rinuncia alla possibilità di ce1·cru·e rifugio tra la sua gonte e porta a termine la missione. Vorrebbe quindi far ritorno fra i suoi poichè, come riconoscono gli stessi pal'tigiani, quello è ora il suo -posto; ma cade colpita a morto sul ponte che divide i due opposti campi impegnati in un fu,·ioso combattimento. E'• evidente il simbolo racchiuso nella dolente figura di Helga e si comprende perciò come L'ultimo ponte - l'ac– cennavan,o in principio - non possa essere considerato un film su Ila Resistenza. Del resto non lo pretende neppure, anzi il proposito degli autori è un altro, quello di conse– gnal'e, attraverso una vicenda di guerra, un n1essaggio di pace. Proposito assai ambizioso che comportava, proprio p~r la materia scelta - la lotta dei partigiani europei con– tro l'bitlerisrno, sulla quale non è lecito transigere -, il gl'ave pe,.icolo di scivolare in un generico umanitarismo che, ponendo sotto lo stesso angolo visuale oppressi e op– pressori, facesse smarrire il vero senso della lotta. Ci sem– bra che questo pericolo sia stato in gran parte evitato: lo sforzo di obiettività non impedisce di scorgere da quale parte siano la ragione e il diritto. Può darsi benissimo che non tutto provenga da nn'in– tima convinzione del re gista ma, più semplicemente, dalla necessità di non urta.r e i sentimenti dei collaboratori jugo– slavi e, insieme, dal proposito di attenersi a una linea cli pa.cifismo che in Austria e in Germania raccoglie attual– mente molti sostenitori. Tuttavia il risultato è altamente apprezzabile sia per la nobiltà dell'intento, sia, e soprat- . tutto, por l'eloquenza esplosiva ed essenziale con la quale è narrata la vicenda. Solo alla fine il film scade un po' nel romanzesco, per poi cedere fin troppo a simboliche suggestioni. Già il paesaggio stesso ~ cosi scabro, cosi selvaggio - con[erisce una sua bellezza al film; e i pel'sonaggi che lo popolano sono colti con acutezza psicologica. Basterà ricordare un solo episodio in cui, appunto, paesaggio e figme compaiono fusi in modo magistrale: la marcia di– sperata dei patrioti, decimati dal tifo e inseguiti dai te– deschi, verso il vill'1ggio dO\·e credono di trovare la sal– vezza. Vi giungono cantando, ma al loro sguardo si pre– senta soltanto un ammasso di rovine ancora fumanti, fra le quali si aggira, unico superstite dell'orrenda strage, un bimbo piangente (si ricordi il Rossellini di Paisà) : un attimo di silenzio e i partigiani, serrando le file, ripren- dono più alt o i l canto interrotto: . . . . Il film l.rn avuto parecchi rrconosmmentr rnterna..;:.Jo– nali e uno è toccato meritatamente, alla sua principale in– terprete: la giovan'~ attrice tedesca Maria Schell, tl'a le più dotate della nuova generazione. ALBERTO BLANDI

RkJQdWJsaXNoZXIy