Nuova Repubblica - anno III - n. 10 - 15 maggio 1955

nuova repubblica· 7 LU CI DELLA RIBALTA (Uao Montagna sarà il produt tore e l'intervrele priuci11ale di un film autobioarafico dal titofo « T__,ememorie di 11110 .,memorato ») Gli abiti che fanno il monaco · ( Dis. di Dino Boschi) T E L -E V I S I O N E SPETTACOLO NFIDENZIALE di LUDOVICO ZORZI E ' OPINIONE CORRENTE che la televisione, forse per l'affinità del mezzo destinato a diffonderla, rap– presenti uno stadio avanzato, un superamento tec– nico della radio. Ciò è vew soÌtanto in parte. Se si consi– derano per un momento i due distinti fenomeni, anche come semplici mezzi di comunicazione e di divulgazione, non si potrà negare la profonda differenza della loro speci– fica natura espressiva. Con una certa approssimazione, si potrebbe dire che mentre la radio è condizionata da una qualità prevalentemente informativa del mezzo, che va dall'elementare servizio pratico alla più alta e complessa funzione culturale (affine quindi a quella del giornale, del– la rivista, del libro), la TV ne traduce le stesse caratteri– . tiche in una qualità di ordine essenzialmente spettacolare. 1 n altri termini, il servizio normalmente assolto dalla ra– dio, l'avvenimento cronistico di stretta attualità, il noti– ziario, il comunicato dell'annunciatrice, perfino il più ba– nale impiego didattico (come per es. la spiegazione pratica della ricetta per la torta domenicale, in uso presso la TV am"ericana). si trasformano automaticamente, se applicati alla televisione, in uno speciale tipo di spettacolo, anzitut– to nel significato etimologico del termine. Spettacolo è tutto ciò che viene presentato alla nostra attenzione sotto un angolo di visuale obbligato, estraneo alla nostra volon– tà: in questo caso l'inquadratura imposta dal teleschermo, e il complesso meccanismo di allestimento, ripresa, conver– sione in audio e video, messa in onda, ecc,. attraverso il quale l'immagine giunge fino a noi. Si è già a lungo discorso se la TV possa diventare uno strumento non occasionale di produzione artistica, e come tale aspirare al diritto di cittadinanza stabile tra le arti . dello spettacolo o, come oggi usa dire specificando, della visione. Si sono rispolverate vecchie distinzioni e preven– zioni sulle possibilità estetiche del nuovo mezzo di espres– sione, assai simili a quelle suscitate mezzo secolo fa dal– l'appa.rire ciel cinematografo. In sostanza, c'è chi concepi– sce la TV come una forma di giornalismo superiore, di vario ed efficace mezzo divulgativo, che esclude ogni pos– sibilità di avventurarsi nel campo dell'arte, e chi le attri– buisce addirittura. rivelazioni da undicesima. musa, rico– noscendole la massima originalità espressiva. Ma gli esiti di questo generico e solitamente improvvisato sentenziare sono ancora molto imprecisi e prematuri, dato che una futura poetica televisiva non sembra pensabile su presup– posti aprioristici, non risultanti cioè da una esperienza esercitata nel tempo e nella ricerca necessari. Conviene piuttosto, sulla base dei risultati di questa prima fase sperimentale della 'l'V nel nostro paese (che si prolunga ormai da oltre un biennio), cercare di dare forma più or– ganica alle nostre sparse impressioni e osservazioni di spettatori, sforzandoci di cogliere i punti di contatto e di distanziamento dalle forme tradizionali. Ma prima di affrontare un esame, sia pure imperfetto e incompleto, dei contributi offerti alla TV dal teatro e dal cinema, è utile insistere su un fatto di fondamentale im– portanza, di cui occorre senz'altro tener conto nei confronti dell'elaborazione di uno stile ·e di una forma di spettacolo autonoma, e che troppo spesso pare invece trascurato o non preso nella dovuta considerazione dagli stessi realizzatori dei telespettacoli. Mi riferisco al ca.rattere privato, indivi– dttale, confidenziale, che lo spettacolo televisivo viene ad assumere rispetto alla rappresentazione teatrale o a.Ila proiezione ciuematografìca. Lo spettacolo di televisione, co– me la radio, raggiunge lo spe_ttatore nell'intimità della sua casa, si inserisce direttamente nel suo ambiente domestico; non lo sollecita a sottrarvisi, non lo costringe (per abituale che sia. la sua frequenza ai locali di spettacolo) a quel pic– colo evento straordinario che rappresenta per ciascuno di noi una serata .al teatro o al cinema, con tutto ciò che essa comporta di .à:èeessorio, di minutamente integrante del di– vago complessivo: l'incontro con persone amiche, la scelta dei posti, la toilette più ·accurata delle donne, lo « spet– tacolo nello spettacolo~ della gente che gremisce la sala. E' noto d'altronde che molte opere teatrali e gran parte della produzione cinernatografìca poggiano su strutture estrinseche alla loro intima funzionalità spettacolare: si pensi, tanto per fare un esempio, alla recente adozione nel cinema del suono stereofonico, e alla estensione sempre maggiore dello schermo. N ULLA DI SIMILE si verifica invece nella sfera psi– chica dell'individuo comodamente installato, trn og– getti che gli sono famigliari, davanti al piccolo schermo televisivo. E' una constatazione che se da un lato induce a dubitare (superati gli alti costi ed estinta la prima epi– dermica curiosità) di un successo veramente popolare della TV come spettacolo, incapace di esercitare le violente emo– zioni gradite al grosso pubblico, dall'altro ci aiuta a com– prendere la peculiare natura del linguaggio televisivo e la funzione che di con, eguenza l'immagine acquista sullo schermo. Montre in teatro i pePsonaggi sono sbalzati a tut– to tondo, la loro voce è diretta, la loro presenza concreta e accertabile con assoluta esattezza entro il rettangolo ac– centratore del boccascena, in un rapporto spazialmente ben definito e costante, mentre nel Ginema questo rapporto è abolito dal variare dei campi di ripresa e lo spettatore ha la sensazione di trovarsi continuamente coinvolto nell'in– terno della vicenda, in televisione le immagini si allonta– nano dal pubblico, comparendo su uno schermo che le stempera \n un alone fluorescente, rendendole più evane– scenti, più illusorie, più «fantastiche». Tale fatto, con– giunto alle modeste proporzioni consentite dai « quattor– dici » o « diciassette pollici », fatituisce un rapporto for,;a– tamente mediato, imposto dallo stesso limite tecnico ·ciel mezzo, e sembra attribuire alla fìgura televisiva una prodi– giosa concordanza con quella del pensiero riflesso. Si pro– duce così nello spettatore uno stato di assorta lucidità, che pur consentendogli di rimanere sempre presente a se stesso, senza mai lasciarsi prendere interamente dallo spettacolo (a differenza di quanto avviene nel teatro e nel cinema), lo porta necessariamente a interiorizzare l'immagine, a stabi– lire un confidenziale colloquio con la piccola voce prove– niente dal teleschermo. A ben vedere, anche la critica sorge nella TV in un momento successivo, riflesso: l'assenso o il dissenso, che al teatro e al cinema può prorompere nell'immediata manife– stazione degli applausi o dei fischi, qui può al massimo attuarsi in un tacito consentimento o nell'allungarsi della mano che chiude il ricevitore. Sotto.ogni punto di vista il telespettacolo determina dunque l'esigenza imperiosa e fun– zionale di caratteristiche proprie, di cui tenteremo di trac– ciare un abbozzo in una prossima nota. PAGINE DI DIARIO Nella terra della riforma di GIACOillO NOVENTA HEINRICH MANN - Ho qui .: Il suddito> di Hein- 1·ich Mann, nella bella edizione di Einaudi (pp. 509 • L. 2000), e nella bella e intelligente traduzione di Clara Bovero. Ambientato nella Germania 1·eazionaria e mili– tarista di Guglielmo II, questo romanzo, che fu uno dei maggiori successi dell'altro dopoguerra, non ha per noi (e si potrebbe dire purtroppo) soltanto un interesse sto– rico. Diederich Hessling, « il suddito >, è « un uomo co– mune, di media intelligenza, succube dell'ambiente e del– l'occasione, pusillanime finchè le cose sono andate ma.le per lui, pieno di sè non appena sono mutate >, dice la schedina bibliografica, citando una frase del romanzo. « Lo scoppio della prima guerra mondiale~, afferma anche più recisamente Clara Bovero, < interrompeva nell'agosto del Hll4 la pubblicazione del "Suddito", il romanzo della bo1·ghesia tedesca sotto il 1·egno cli Guglielmo Il, che H. Mann aveva ideato fìn dal 1906 ». E continua: « La so– cietà guglielmina, che adora la potenza e divinizza l'im– peratore, che si crea un feticcio dell'ufficiale e del buro– crate, e all'ideale della casenna u~i(orma tutti gli aspetti della vita collettiva; la società guglielmina, prona alla violenza legalizzata e paurosa di ogni sovvertimento so– ciale, con le sue ipocrisie paternalistiche e la. sua. bruta– lità poliziesca, contiene in nuce il fascismo, è già essa stessa in molti suoi aspetti, fascismo. Pel' questo sono così attuali opere come "Il professor Unrat", come "Il sud– dito", cui a to,·to alcuni critici hanno rimp1·overato man– canza di obiettfoità e di distacco ... ». Ma anche ammesso che questi ctitici abbiano torto, avrù davvero ,·agiono la nostra gentile amica? Oltre ad essere attuali, quelle opere saranno nello stesso tempo opere d'arte? Io penso ad un'altra specie cli critici, al Lukàcs per el5empio, che non credo antipatico alla BoYero, ed al giu– dizio che egli avrà dato di Heinrich e cli Hcinrich in contronto a Thomas... ma penso soprattutto al giudizio che avrebbe dovuto darne; ricordando la sua esaltazione del mio Balzac, del conservatore e monarchico Ilolzac, come ciel ve,·o grande scrittore e del grande artista ri– voluzionario in confronto al rivoluzionario e de1nocra– tico Zola. NELLA TERRA DELLA RIFORMA - Quante coso piccole é grandi, ma tutte grandi per me, mi richiama alla mente questo libro del Mann ! Il mio tsimpo di Heidel– berg, di Berlino, di l\Iarburgo: i miei a,nici e i miei nemici tedeschi, così simili ai miei cari amici e nemici d'Italia. Dopo ave,· vissuto a lungo, ed essermi sentito a lungo esule in Francia, dopo aYer imparato dalla dolce Francia, e non solo dai suoi sc,·ittori e dai suoi filosofi, un ideale di vita e di società che mi sembraYa e mi sembra estraneo ai miei concittadini, ed era forse gii1 estraneo alla mag– gior parte dei francesi stessi, scoprivo in Germania la mia seconda patria. Non ave,-o quasi bisogno di interro– gare la mia ragione per capire quello che stava succedendo in quei tre anni che precedettero la conquista nazista del potere. La mia ragione interveniva da sè senza sforzo. To interrogavo soltanto il n110 cuore, o quello degli altri. Maria Anna Il. mi scriveva: « Con la penna abbiamo vo– tato Hindenburg, ma col cuore Hitler >- Per me aveva molta importanza quello che nù sc..iveva una piccola la.n– ciulla tedesca. Uonùni, certo più intelligenti, mi dicevano invece· « Il fascismo ha potuto trionfare in Italia: nella terra d)l cattolicesimo: del dogma e detrintolleranza cat– tolica: non -può trionfare "da noi": nella terra della Ri– forma e della libertà di coscienza». Per me non aveva molta importanza quel che mi dicevano questi amici te– deschi: o 111' importa,-a moltissimo, ma in un senso elci tutto di,-erso da quello cbe essi davano alle low ·parole: mi inteneriva in particolar modo il fatto che ragionassero del fascismo come alcuni elci più intelligenti fra. i miei amici italiani ... UNA VISITA A VOSSLER - Poco tempo dopo l'elezione di llindenburg, e la diccina di milioni di voti ottenuti da Hitler, ero andato a. far visita a. Vossler, nella sua casa di Monaco. Sebbene non mi conoscesse e non avessi per lui neppure un biglietto di presentazione, il grande amico -di Croce fu molto affabile. Parlammo ab– bastanza a lungo del più e del meno, e naturalmente del nazismo e di Hitler. Non era, o non si mostrava, affatto preoccupato: < Vede >, mi disse a un tratto, « c'è un sin– tomo molto confortante: qui a Monaco, dove abbiamo vi– sto nascere il suo movimento, abbiamo imparato a cono– scere l'uomo per quello che vale, Hitler ha ottenuto molti meno voti che altrove >. Io avevo in tasca il biglietto di Ma.ria Anna. B., e lo sgualcivo. nervosamente.

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