la Fiera Letteraria - XIII - n. 17 - 27 aprile 1958

Pag. \11 La FIERA LETTERARIA Ricordo di , 1 ittore Veneziani * ~oo dei cognomie geografiadella memoria l\lì sono chiesto spesso :,e uno che porta un co– gnome d'animale (:\terio. Lupi, Vacca. Leoni. ecc.) non può proprio sperare d'avere un'origine nobile e deve restare per tutta la vite un animale che e preso in giro a scuola. E me lo sono chiesto in qualità d'animale anch'io. e di animale cosi dome– stico e familiare che nella sua vi\a ha dovuto far buon viso anche ai vezzeggiativi quali e micio•· c micione >, e gattaccio •· e gattone•·· Direte che è la mia fortuna: che è meglio chiamarsi 1, gatto u che non e bove •· ad esempio. o e gallina•- Chissii: comunque non tocca a me a dirlo. Altrimenti quali onori dovremmo riservare a tutti i e Leoni> e i e Leone• che hanno il nome del re deUa foresta? Ecco. siamo in pieno nella questione della e no– bilta >. In origine. certo. do,·e\'ano considerarci così poco da chiamarci con un soprannome trovato li li su due piedi. appigliandosi, non ~o. al colore degli occhi, al mestiere, a segni particolari morali o fisici. E non è improbabile che una nostra bella antenata abbia commesso qualche peccatuccio. Dio l'abbia in gloria. i\la In storia è sempre pronta ad aiutare la speranza degli uomirli: l'esempio e a portata di mano. Si tratta del conte Giacomo Leo– pardi. poeta altresì, oltre che animale d1 nobile razza. \"orremo mettere in dubbio I' antich1til di questa prosapia che il pavero e strapazzato Monaldo. dopo i dissesti, s'affrettò a 1111trirc col patrimonio della moglie marchesa? Non ne avremmo il diritto. Il precedente quindi c'è e altri ce ne saranno. i quali tuttavia non basteranno mai a dissipare l'im– pressione che in questi nomi da zoologia non assi– curino altra nobilt.i che non sia quella dello stesso animale che li porta. Confesso che ne sono conttnto. anche se il povero Giacinto Gallina. tra elefanli. fatti. leoni e lupi. e costretlo sempre a fuggire. cedendola persino agli agnelli e rifacendosi a mala pena sui _merli e s~i colom~i. Per fortuna lui era pratici,) di • barufe 111 fameg1a > e sape\"a come ca– varsela. Un'altra considerazione dO\"rebbe consolarci. An– che i ,·ari e passeri> o •passerini> saltelleranno di gioia sui rami del grande albero ge!1e~logico popolare. Pensate, c·e chi si chiama e mi_glio >, E quelli che si chiamano e Foresta>, e 1\lont1 >. e ~a– scoli >, e Prati> (tre poeti in un colpo solo). e Fio– re>. ecc. non son nostri vicini. dandoci albergo. sottomessi per natura ai nostri passi e ai nostri voli? Smetto per non far la figura dei due fiac- (li * .11,Jl?O.\'SO G.4 TTO cherai cht in una novella di Palazzeschi cercano di sopraffarsi a vicenda per il privilegio di star peggio. In un racconto, in un romanzo. quanto c'e di ,•ero e quanto di inventato? Anziché imbarcarci per un discorso teorico che ci porterebbe chissà quanto lontano. senza alcun profitto. preferiamo leggere insieme una pagina dei diari di Kafka. E' una pagina datala 12 marzo 1912. e Nel trannti che passava di corsa> annota lo scrittore e sta"a seduto in un angolo. la guancia CC"lntro ;J vetro. il braccio sinistro disteso sullo schienale. un giovane in soprabito aperto. rigonno intorno a lui. e ossen•a,·a attentamente il lungo sedile \"UOto. Si sentiva protetto nelle sue condi- 1.ion1 di sposo e con questo sentimento guardava ogni tanto d1 sfuggita il soffitto della carrozza Quando il conduttore venne a dargli il biglietto. trovò facilmente fra un tintinnìo la moneta occor– rente. la depose con slancio nella mano del con– duttore e prese il biglietto con due dita allungate a forbice. Non c·era veramente un nesso lra lui e il tranvai e non ci sarebbe stato da stupirsi se. senza servirsi della piattaforma o della scaletta. fosse comparso sulla \"ia e con gli stessi sguardi avesse sl!'guito la sua strada a piedi>. Quanto c·c di e vero> e quanto di e invenlnto > in questo scorcio cli pagina? Si potrebbe scoprire Il punto cli partenza da cui s·c mosso lo sguardo dell'autore che sembra abbia tutto vislo e riferito? Kafka stesso ci risponde a voltata di pagina. no– tando: e Di solito rimane soltnnto il soprabito ri– gonfio. tutlo ·il resto è inventato•· Più difficile riu. scirebbe segnare quanto c'è di <solido> in questo e sogno> del seltembre dello stes ;o anno. che pre– lude ad e .\merìca >. e :\Ii tro,·a\'O su un molo costruito nel mare con massi squadrati. Qualcuno o più persone erano con me. ma la mia coscienza cli me stesso era così forte che di loro non sapevo quasi altro se non che gli parlavo. Ricordo soltanto le ginocchia alzate di uno che era seduto accanto a me. Da principio non cnpivo veramente dove fossi. solo quando mi alzai per caso vidi alla mia sinistra e dietro di me. a destra. il mare '"asto. chiaramente circoscritto. con numerose navi da guerra. allineate e saldamente ancorate. A destra si veJe\"a New ·rork: eravamo nel porto di New York. li cielo era grigio. ma uniformemente chiaro>. E' possibile. sulle ginocchia alzate di un uomo che ci e seduto accanto, ,·edere New York? Bisogna che la coscienza che abbiamo di noi stessi sia cosi forte e vigile da pescarci sempre nell'ultimo oriz– zonte della nostra fuga. Cosi abbiamo conosciuto Paesi nei quah mai abbiamo m •sso piede. inven– tando sempre il passato. rinvenendolo cioC nella misteriosa geograna delle sue latitudini. Può essere un e soprabito rigonfio> a darci il e nesso> con una storia che strada facendo cambierà e non sara più la stessa. L'importante e che dalla sua e per– sona> lo scrittore fugga sempre per ritornare. che ambisca di scrivere libri per i quali è meno dotato. come diceva F laubert nel ·52 per la sua Bovary. riconoscendoli alfi.ne c ome gli unici che avessero \'eramente biso gno d i 1.ui ~• La ch·etteria e della donna. ma esiste la ci\'et• teria degli uomini. Quanto agli uomini. io credo si possa parlare di una ci\'etteria ulllciale risen·ata agli eserciti. alle magistrature. alle polizie, ai poteri insomma che si dicono pubblici e aflìdata a divise. toghe. galloni. spalline e alle utili maschere della ,wtorità. e di una ci\"etteria intima che C più o meno ccngiunta al teatro personale di ogni uomo. alle sue capacità di rappresentarsi quale egli si vede di sfuggita per gli altri e negli occhi degli altri. PerchC in ultima analisi. sia per gli uomini. sia per le donne. la civetteria e un potere degli occhi. più che dell'abito o delle movenze: e chi incanta e !'empre a suo modo incantato. Così credo che nella d\"etteria c·entri l'invidia. a tal punto che solo chi ne è posseduto vuol provocarla. Aiuta persino l'idea della morte come abitudine alla con– tempiazione e all'oblio di se: ben lo sanno le ..statue che sono addirittura - anche le più ostili - fatte di civetteria. lnratti la civetteria non e. come i più intendono. moina. mordente sensuale. estrosità com– piaciuta. ma 1mmobilita. gesto raro. lusinga. E' un seme a lunga fioritura che fu gia dei nostri padri e che mal s'addice a questi tempi fatti di successi immediati. di provoC'ati e di provocatori. A stare alla zoologia. le vittime degli incanti òetla civetta sono le lodale o allodole o lodolette care ai poeti. Tra gli uomini. i maschi. che sono spesso imbottiti di [also orgoglio. dicono di sentirsi presi di mira o addirittura e cacciati> dalle donne. Non meritano fede, non sono allodole_ e nemmeno passeri solitari, ma tordi o galletti di pellaio. ALFONSO GATTO Domen,;,a 27 aprile 1958 Dl,UUO .\LL'A.RIA. A.PEll'J'A. * LEDOMANDE DIDUE AMICI UNA POESIA di Pietro Uimatti * CENEREROSA Tutto il mio amore e cenere. M!a madre arde, la madre di mla madre e ancora madri di madri ai talami di pietra arsero. Io sento sciogliere le d:ta sento tra pelle e sangue la ridente gioia del fuoco, e gli occhi sono vetri (dentro mi guardi e mi vedrai bruciare) Cenere anch'io. Ti stringo, ultimo amore perchè tu gridi perchè mi ricordi che sei di fiamma, E gli occhi sono vetri (dentro ti guardo, anche tu ardi, amore) Cenere sei. Tra le mie braccia un fuoco che nel tuo grido s.i consuma stringo. E la tua madre e madri delle madri arsero. Tutto ru vissuto. E stringo ma il fuoco sale e tu divampi. amore. Tutto il mio amore è cenere. M!a madre mi sta in un pugno, madri de1le madri più leggère d'un flore; quanta posa cenere il vento su una foglia è amore di millenni d'amore. E se ti .stringo perchè tu geli. ultimo amore, chiudo nelle mie braccia cenere. E se gridi polvere grida. E se mia madre è il vento il vento è fiume di !nHnite madri. Una rosa che arrossa arse d'amore. Volano blmbi per I prati a maggio, i bimbi che ci rurono fratelli cenere che una rosa se ne vela appena ,e il vento va di rosa in rosa. Non camminare non dar flato a maggio: cenere azzurra che respiri è amore amor che strinse con le braccia dure carne di [uoco, cenere di rosa. Tutto il mio amore è cenere. M:a madre chiudo in un pugno, madri del:e madri e i loro sposi e i ngli dentro i figli e quelle spose che una notte strette rurono amore colgo su una rosa quanto reca di cenere nel vento g;orno di maggio. su un'ignara rosa.

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