la Fiera Letteraria - XII - n. 50 - 15 dicembre 1957

Pag. 4 LA FIERA LETTERARIA Domenica J., dicemhre 1957 " T . ... empi esecrandi, che non temono f)iù chi dowrebbero te111c1·e... " con.statore che detto foglio reca cffetti.– vamente quel nome, ed è stato debita– ment.e da lei firmato dopo averne presa vU'ione, come ci st comporta con atti del gen4:re, che possiedono efficacia legale. Ma invero, tutto cW è inuhle; lei, signor padrone, non ignora ch'è mia facoltà far apparire e scomparire un nome so– pra un pezzo di carta. Quindi., nello stesso modo che a mio piacimento nel caso ui foue. potrei toglierlo, così, se mancasse posso anche aggiungerlo. In veritd. si tratta solo d'una formula con la quale, al nostro paese s'intestano gli atti pubblici, quindi, niente più d'una formatitd. La vera quistione., queUa dav– vero importante. anzi fondamentale, con– siste nel fatto d'averlo firmato. E poichè è una firma apposta col sangue, essa risulta indelebile. Un inchi.ostro siffatto è a proua d'ogni contraffazione e so– perchieria; quanto dire, che non ci posso nulla neppur io. DON GIOVANNI - Ho capito; caddi in un tranello, e t'impegno che ho fir– mat o eq uivale a una cambiale in bianco. Ma n.el caso che ci riguarda, non si può imp arre una signoria a colui. cui il cuore ripugna. Perciò. se mi rifiuto di credere a quel vostro signor Belzebù, tanto meno sono propenso a riconoscerlo per mo– narca. A che serve farne apparire e sparire U nome con i soliti giuochi. di prestigio. dal foglio del comune patto? Se vuole avermi, quel galantuomo sa come agire. Invece un primo errore lo commise deputando presso di me un messo che si dimostra pieno d'impert-i– nenza e di 1,anitd. quando dovrebbe com– portarsi invece col dovuto rispetto a dar prova solo di zelo in ogni circo– stanza: un coadiutore che sappi.a essere il mio broccio destro nei compiti affi– datimi, senzo manifestar biasimo negli in.sùccessi, e facendomi anzi animo pro– prio quando le cose vanno male. Tanto più che. a ben considerare come si sono svolti fin'ora i fatti, comincio a credere che riportar successi non si.a facile, men– tre la responsabilità di questo stato di cose dev'essere attribuita semmai a co– loro con i quali ci trovammo a compe~ tere. Almeno fino a questo momento, si son mostrati propensi più a schivare che a ingaggiare la lotta. e pronti a sopra• vanzar•ci di loro iniziativa lungo quel cammino dove ci preparavamo invece a trascinarli per i capelli. LEPORELLO - Il signore padrone ha proprio Tagione. Non mi ero mai trovato ad operaTe sapra una materia umana cori. froUa. Riconosco anche di essermi espresso in maniera un. po" trop– po viva: non ero spinto da animosità nei &-uoi confronti, ma dal dubbio di mostrarmi inadeguato all'incombenza che mi. venne affidata e della quale devo rispondere. Di qui innanzi, non mancherò all'obbligo mio verso di lei, sicuro di ottemperare insieme al mandato rice· vuto. Non ho perduto la speranza d'as– solverlo, se lei vorrd continuare a va– lersi dei miei servig,i. DON GIOVANNI - Ciò che detesto plù dl tutto, è vedermi intorno visi nuovi. Restiamo dunque uniti in una sorte precaria. LEPORELLO - Restiamo uniti ... Tan· to più che, se non m'inganno, sarà qui di nuovo il Commen.dator Gonzalo. DON GIOVANNI - Mi-O suocero ri· torna.? Ne sei sicuro? Non avrei mai im· maginato che avrebbe posto in atto con tanta sollecitudine una minaccia la qua· le. nel tono con cui fu profferita, parve venir affidata al caso e dilazionata di conseguenza. LEPORELLO - E' proprio qui. che arriva. Eccolo davanti alla casa; si pre· para a varcarne I.a soglia. Ebbe~, que· sta volta è affare fatto. Prepariamo su· bito le armi. Queste panoplie non sa– ranno relegate a una missione pura- mente decorativa; infatti, l'arredatore non le avrà attaccate alle pareti soltanto per bellezza. Ti.riamo giù spade, sciabole, e questi pistoloni da sella. Già provvedei ad affilar le lame, e ad asciugare le pot·veri. Disponiamo tutto su questo ta· volo a portata di mano. Lei si tenga pronto: giunto il momento. ci. dia sotto. E' inutile avvertirla che non corre alcun rischio; lJesito del duello lo conosciamo tutti prima ancora che abbia ad ingag– giarst. DON GIOVANNI - Ho imparato a memoria Ja parte. Così. attendo a piè fermo la vittima. sebbene rimorda alla mia coscienza di non poterle offrire queH'alternotiva ch'è generalmente lega– ta a imprese del genere, e alla quale si deve se possono venir giustificate qua– lunque ne sia l'esito. LEPORELLO - Eccolo che entra, il pavone pieno di boria. Tra poco gli. ti– reremo fuori a manciate la stoppa che ha in corpo, o gli faremo sgorgare a fiotti, da un foro ben centrato, quel li– quido vanitoso che gli scorre nelle vene, si.no a che ne resti una gocci.a (entra il Comm endator Gonzalo). DON GIOVA 1 Nl - Venite auanti, suocero: vi aspettavo: e sebbene non mi abbiate lasciato molto tempo per farlo, ho pi.d preparato le armi. Sono ottime armi di Toledo e pistole di Fian• dra. A voi la scelta. GONZALO - Eh? che dite? Armi... pistole ... Già; osservo questi pistoloni a doppia canna, di lunghezza spropositata. Ordigni, in fé mia, assai pericolosi. Non saranno, oltretutto. carichi ...? LEPORELLO - Non ancora, ma è presto fatto. Ecco qui le pallottole. Non rimane che introdurle nella ca-nna. GONZALO - Piano, giovanotto, pia· no. Rimettile piuttosto dove le hai prese. E se vuoi. tm consiglio, non andare in giro con roba del g,enere sparsa per le tasche, quasi fosse le palline multico– lori che riempiono spesso quelle dei fan· ciulli. Vi confesserò c_he sul primo mo· mento avevo creduto cariche le pistole, con mia comprensibile contrari.età. Non esiste niente di pi-ù balzano, e difficile da tenere a bada, di meccanismi del ge– nere; vi potrei raccontar storie a no,i. più finire, da imputarsi a questi stupidi spu– tafuoco. IL fatto sta, che se il congegno è imperletto, son capaci, dopo essersi rifiutati di farlo al momento dovuto, di sparare quando meno ci si aspetta, su– scitando i guai che si possono imma– ginare: se invece è senza pecche, da doversi considerare in tutto uno stru– mento di precisione, non si può pren– dere in mano che il grilletto è gid scat– tato, con la pretesa che possiedono le cose inanimate, di prevedere e persino anticipare ciò che ti passa per la testa. riempiendo improvvisamente l'ambì.ente di frastuono e di fumo, a non calcolare la puzza , e il corpo di un malcapitato qualsia.ti , d'uno di quei pezzetti di piom· bo che Leporello esibisce tuttora sul palmo della mano come se fossero le zollette di zucchero che si profferiscono al cane di casa. DON GIOVANNI - Se avete contro le armi da fuoco una prevenzione o par• tito preso che sia, possiamo scegliere le armi bianche, da punta o da taglio, spada, sciabola. o stocco che sia, a vo– stro piacimento. E se neppure questo genere d'armi incontra il vostro favore, si prenda allora una di quelle picche che ci pendono sulla testa, o un yara– gan; infine, ciò che volete. LEPORELLO - Bravo padrone, bra– vo. Eccolo messo con le spalle al muro, e infine obbligato a venire alle mani. /1 pericolo è che voglia difendersi con la propria lingua, nello stesso mcdo in cui U cinghiale si difende con le zanne. GONZALO - Non si tratta, caro ge– nero, di prevenzioni o partiti presi, ma.. della equilibrata considerazione dei fa– stidi a cui si va incontro se si. prendono alla leggera questi arnesi. Per quanto si riferisce alle armi bianche, riconosco che, non presiedendo aUa loro manoura nessun meccanismo, par difficile che ab· biano ad agire da sole, e cioè senza il contribuito de 11 a volontcl umana. Una sciabola che tira fendenti di sua ini· .:iahva non si i.> mai veduta, siamo d'ac– cordo. Eppure, come negare che, se im– pugnata. non sospinga l'incauto ad azio– ni cui, disarmato, repugncrebbe; e delle quali verosimilmente dovrà pentirsiJ qua– lunque sia L'esito della propria bravata? La ,,eritd è che, anche in questi oggetti gelidi. sottili come un concetto filoso· fico cd aguzzi alla pari di un sofisma, ria, il più perfido di tutti. è che esse non si limitano ad apparire anacroni· shche come di fatti sono, ma che, dando proi:a di. quel loro potere nefasto, spin– gono chi vi.ve nella loro prossimitd a nutrire idee aLtrettanto antiquate sulle cose del mondo, e ad mudersi di. po· tcrle applicare atla prima congiuntura. Nessuno in verità può credere in buona fede di. adoprarle anche oggi, nonostante quet buon dito di ruggine da cut ap· paiono ricoperte, e che ne ha certo gua– stato il taglio e lo scatto, se non ap– punto per aver avuto distorto il proprio apprezzamento da simile vicinanza, e confusa l'immaginazione con la TealtO:. DON GIOVANNI - Che ruggine mai? No;1 c'è Tugg ,i.ne su queste lame intatte. Oskar Kokoscbka: • Flrure • (Mostra dell'Arte tedesca dal 1905 a or,i) i. quaH vibrano solo del calore del pu· gno che li afferra, si annida una speCie di spiriteUo maligno, capace d'insufflarvi un potere del quale l'uomo è persuaso d'esser l'unico detentore. Quindi occorre guardarsene almeno quanto dalle anni da fuoco, delle quali non sono meno in· sidiose. Tale è il mio parere. Inoltre, e sempre a proposito di tutto ciòJ poi· ché il nostro di.scorso non so come ci si è posato sopra, concedimi d'esprimer– ne francamente un altro, e cioè le pa– noplie di. cui hai decorato abbondante– mente le pareti di questo luogo, meglio converTebbero ormai a quelle d'un mu· seo. I guai che possono provocare li abbiamo gid enumerati. E potremmo ag· giungercene almeno altrettanti. Tutta· uscite dalle fabbriche più reputate. ll grilletto e il percussore deHe pistole sono come nuovi, oliati. di recente. Non posso udir deprezzare senza risentirme· ne, armi cosl perfette, e che si traman· dano in famiglia di generazione in ge– nerazione. GONZALO - Sarcl ruggine che i tuoi occhi non percepiscono. Non è forse le– cito parlar per metafora, se le inten– zioni sono buone? LEPORELLO - Padron mi.o, siamo perduti. Ci è capitato tra i piedi un leguleio, un sofista, insomma un casistico. DON GIOVANNI - Altora, se non approvate nessuna di queste armi, io scopo che vi ha ricondotto · qui è di· verso da quello che ritenevo. Eppure mi son mostrato e~licito a ~ufficienza nel dichiararmi pronto a rendert,i ra– gione. Le parole che avevate pronunciato andandovene, Tisultarono ai. miei orecchi minacciose quanto basta, nel linguag. gio convenzionale di un cartello di. sfida redatto convenientemente. GONZA LO - Ti sei spiegato bene, caro genero, e le tue intenztoni sono anche troppo manifeste. Ma neuuno ha mai messo in dubbio che tu sia un uomo dabbene, e davvero non. c'è bi– sogno di vederlo confermato nelle pre· senti circottanze. lo, come sai, almeno fino ad oggi. non ho avuto che da lo– darmi d'averti dato in moglie Elvira, ma le mie intenzioni non le hai capite altrettanto oiuttamente. E si che, par– lando, strizzavo l'occhio; che io mi sap– pia, non posseggo tic del g,enere. Avvertii che sarei tornato fra breve, e come vedi. ho mantenuto la promessa, ma il tono del mio discorso, e il tenore delle frasi pronunciate, avevano lo scopo di con· fortore e rabbonire Elvira. Parlai, in· somma, soprattutto neL tuo interesse. Non sono, s'intende, disposto a prende– re le tue parti contro di lei.; è mia figlia, e non posso considerarla alta stre– gua di qualsiasi altra donna. Ma se ri· penso alle persecuzioni di cui mi fece oggetto la mia povera mogli.e, a causa d'una insana gelosia. mi vince la voglia di mostrarmi solidale col mi.o sesso an· che quando esso ha torto. Mi maTtirizzò, la santa anima; e neppure voleva pas– sarmi per buone le solite distrazioni con la prima fraschetta... Basta. n fatto è, caro genero, che ti capisco. DON GIOVANNI - Capite allora che faceta crescere sulla testa di vostra /i.glia una foresta di corna? Che di.sperda il mio vigore in alcove illegittime e di· serti nel frattempo H letto coniugale? Non avrei mai immaginato d'avervi com• plice delle mie dissipazioni. LEPORELLO - Ciò che queste pa· role lasciano intravvedere d'una vita di stravizi, Signore, è me-no che nulla in confronto della reattd. Ne passo etser testimone io, che non abbandono d'un passo il mio padrone durante avventu– re che il pudore mi vieta di narrare, e iL ricordo delle quali basta a farmi salire il rossore alla fronte. GONZALO - Questo buon Leporello mi ruba le parole di bocca. Niente è piU deprecabile, siamo d'accordo, d'una lunga carriera di libertinag,gio, e nes– suno può invocare scusanti che siano valide, compresa la debolezza umana. in cospetto delle rentazioni. Serve dirlo? ne ho orrore. A parte il fatto di per sé, condannabile pe-r i suoi estremi, un com• merci.o con femmine frivole, com'è ge– neralmente noto, reca di conseguenza spese superiori alle risorse, indebita· menti fino al collo, insomma la rovina: nonchè disordini d'opni sorta perfino nel• la .salute 1 nella vita domestica e nel lavoro. E che dire dell'esempio offerto at figli? Rifletti, caro genero, che nella più tenera etd come neU"adolescenza, niente li influenza come iL comporta· mento dei genitori, su cui è /issato it loro sguardo. Ho conosciuto purtroppo sbarbatelli corrotti per colpa di ehi gli dette i natali. DON GIOVANNI - Vi devo far os– servare, signor suocero, che Elvira ed io non abbiamo procreato figli, almeno fin'ora. In quanto poi al disordine, ai debiti e così. via, non ho mai offerto motivo a lagnanze, e sempre fui sol– vibile. Non è come una persona di mia conoscenza, la quale, per quanto ri– guarda ad esempio gli obblighi dotali. ha sempre cercato di eluderli, di pro– crastinarli, ora con un pretesto, ora con l'altro. GONZALO - Bene, bene ... Non ave– vo nessuna intenzione di riprendere il tuo operato, caro genero, e stavo de. scrivendo soltanto un personaggi.o, un carattere, sulla falsariga di nobili. ante- cedenti. Io stesso, lo riconosco, non sono immune da colpe. Mi batto il petto umtlmente... Ed ora che d siamo visti, ora ch'e intercorsa fra noi una spiega– zione leale; ora che ti ho chiesto induJ... gen2a per mia figlia, e insieme ri,petto per tua mogli.e; ora posso anche andar· mene. Prima però vorrei chiederti qual– cosa in privato: un'informazione e un consigli-O. /1 farlo, lo confesso m'imba• razza, benché fra uomini. certi servigi è wo renderseli. Se nza e ssere tuo coeta– neo, non tono poi co.ti decrepito. Forte e meglio che to lga l 'incomodo senza aprir bocca ... DO . GIOVANNI - Un servig,io ve l'ho sempre reso volentieri. Avete forse bi.sogno d'un prestito? Dite pure; Lepo– rello può mcir dalla stanza o tappar.1'i gli orecchi, come preferite ... GON'ZALO - Non occorre; e bene anzi che retti qui, ed ascolti. Lui pure. Mi sembra d'aver capito, per it modo come assolve le proprie incombenze, che è un giovanotto ducreto, su cui ti può fare affidamento. Inoltre, egli adempie egregiamente alle funzioni che, ,ebbene proprie del tuo mettiere, richiedono qua· litd che non tutti coloro i quali lo eser· citano, -possiedono nella copia dovuta. Funzioni delicate ... /n,omma, per dir le cose come stanno, ,e M capito be-ne. alla fornitura delle don.ne sovrintende lui. LEPORELLO - Di bene in meglio. Dopo aver fatto fUUco, devo sentirmi trattare perfino da ruffiano ... GO. ·zALO - Dar,i dattorno per il proprio padrone non è un demerito. Dunque, se per caso vi capi.talie tra le mani. in .,oprannumero, una ragazza per la quale, in.somma, merita.s:,e conto ... Se veniste a conotcenza di qualche indi– rizzo d'un certo genere... Ebbene, non sto a dir altro; ma riCO'Tdatevi di me. Caro Leporello, una buona mancia di tanto in tanto, con cui arrotondare il salario ... DON GIOVANr-i'I - Sul vostro conto, caro suocero, sorpreii taluolta voci che m'entrarono da un orecchio e m'usci– rono daU'altro; ma non si trattava di chiacchiere infondate. Non fosse il ri· spetto che m'impongono tia la parentela sia i vostri capelli bianchi.... Non sta a me richiamarui al decoro; alla decenza. GONZALO - Zitto, genero, zitto; non pronunciar parole di cui pentirti piti cardi. Benché tutti conoscano ormai i tuoi salti d'umore, durante i quali non ti fai riguardo d'in.,olentire il primo che ti. capita; ma è tempesta d'aprile. Quel che volevo dirti. l'ho detto, e non ci troverai niente di male a mente fredda. Ora me ~e vado. Ritornerò un giorno in cui sarai di buonumore, e dovrai ra~ contarmi in segreto, nei minimi partt· colari, la tua avventura con Donna Clo– rinda. Tu, Leporello, ricqrdati. della mia promessa (esce il Commendator Gon· zalo). DON GIOVANNI - Sciocco liberti– no. Pavido chiacchierone, che carpisce immeritatamente il nome di galantuomo. Con gente di questa fatta non c'è pur– troppo niente da fare. Ne sei rtato testimone 1 Lenorello, e dovrai darmene atto; infine, abbiamo fallito senza nostra colpa, consolazione magra, che basterà tuttavia a scusar te presso U tuo vero padrone. e me di. fronte a me medesimo, in quello specchio che porto dentro. Ora non rimane che sbarazzar la tavola da questa inutile cianfrusaglia, e riappen– derla a quelle pareti da cui venne tolta un po' troppo precipitotamente. Su, ani· mo, Leporello, possiamo ancora prender– ci una rivincita. Cosa dici? che bor– botti tTa i denti? LEPORELLO - Tempi disgraziati, senza morale, né fede. Tempi eseè'randi, che non temono più chi dovrebbero te· mere, e più non credono in chi dovreb· bero credere. FINE DELLA SCENA ALESSANDRO BONSANTI UN GIORNO AL VITTORIALE DIECI ANNI FA Gabriele d'Annunzio GARDONE. Settembre 1946 Stando lassù. davanti al Garda, io ho pensato alla iomba di un altro poeta aperta al vento del· la costa francese: una tomba muta alla qualle la notte poteva parlare. La vita dei poeti e degli uo· mini liberi non resta nelle cose. non ha letti. non ha divani, non ha cuscini e lampade. non ha bi· blioteche: ha strade. giardini, stazioni soprattutto. vapori. E' un mondo Portato di là. sino all'ultima soglia. La tomba di D'Annunzio decrepito. lassù al Vittoriale, è soltanto un bagno ingiallito, senza me– morie. Pare strano che t1n uomo così cinico e insieme dotato di tanta fede per la sua arte non abbia avver– tito il suo dovere di distruggere da ultimo l'ibrido casteUo monumentale dov'era vissuto. rifiutandosi la sepoltura in quelie arche di gesso. Fino ali'ultimo istante aveva moOO di scoprire l'ironia con cui ass1- dua~nte aveva custodito il proprio museo. Non lo ha fatto. • Di questa casa assurda, al posto del vecchio maro invecchiato che ancora si aggira all'entrata. doveva essere portiere gaUonato Valentino con ìe sue lun– ghe basette di meridionale. Egli solo poteva intro· durre cal suo occhio languido le donne neUe piccole sagrestie del vecchietto tentennane. Questo ci dice la casa: la guerra del 1915-18, coi suoi sparsi c1meh. coi blocchi di roccia. col velivolo di Vienna che sem· bra ronzare nel silenzio e nel disordine del teatro incompiuto. resta sospesa come una data di cronaca. come una propizia occasione di memoria ogni giorno. Mai tanta dovizia dt morte. di laguna. di notturno: mai tanto battito di frenesie. L"abitatore ha scritto con le cose appunti ovunque. per investirsi ogni gior– no rapidamente del:le sue stesi:e impressioni. quasi seni.a accorgersene e senza scuotere l'indifferenza di cui ha bisogno. Di autentico resta questa sua indifferenza: sol• tanto a questo senso di rapido passaggio suo per la casa. per i corriòoi. per i giardini. gh era possi· bile connettere le impressioni. forti quanto più labili. di cui aveva bisogno. Occorreva che egli ogni giorno si riprOPonesse il dramma. per lo meno il dialogo. di questa sua finzione. Era forte in lui la natura: è forte. vittoriosa m· torno alla casa, la natura. di là dal tracciato del giardino. E se intonato a questa natura egli rimase sempre. perché non avverti mai il disordine dl!lla propria cultura. l'impossibilità per lui del giudizio. l'arbitrio di un gusto inesperto e sperimentale? Tendr~ di velluto. penombre. cuscini. scarabattoli. mensolet– te, inginocchiatoi - tutte cose finte quanto più vere in sé - equivalgono aflle parole profuSe e appestate del proprio profumo che fanno mostra nelle pagine di D"Annunzio più vestite e panneggiate. Ma cosa troveremo Jn questa casa assurda. che sia povero. di * ALFONSO GA.TTO arido, musicale. e che somigli all'intonato avvio de La sera fiesolano. o anche alla celeste trasparenza narrativa di quelle pagine de Le faville ove Prato, il Cicognini, il ragazzo con la febbre si consumano a lungo nella più dolce apparenza terrena? Qui tutto pesa. tutto fronteggia il buio e l'accidia: un letargo sensuale ove il silenzio. per nulla urna· no. ha anch'esso il passo del mezzano che sta dietro la porta e si presta al gioco. La storia. contro la natura. n0n esprime altro di sé che un ombroso tea· tro di suggestioni. di immagini emule di pensieri non chiariti. il cangiante colore dei suoi fasti. E D'An· nunzio, incredulo schiavo e tiranno di storia, che aveva solo occhio per la natura, perché non ha !atto cadere questo castello che poteva avere la meravi– glia di tutti. meno che la sua? Tutte queste cose lo mi sono domandato errando per i giardini e per le stanze del Vittoriale. cercando invano traccia dell'uomo che vi aveva abitato e una immagine purchessia delle sue ore. Dormiva di gior· no nella • Stanza della Leda» avendo sul capa un brutto quadro di Marius Pictor, di fronte il calco d"un " Prigione n di Michelangelo e intorno maioli– che. elefanti. vassoi. cuscini. Aveva messo al • Pri– gione 11 una specie di gonnella fatta con un arazzo e fermata sull'ombelico con la grossa borchia di una cintura. Diceva che la parte inferiore della statuu non reggeva il confronto con quella superiore: m:. in realtà egli voleva contaminare di vita falsa e stru– sciante quelle stesse' opere ch'egli vedeva soltanto come idee, come simboli del suo titanismo verbale. Riempire. voleva, tutti i vuoti. affastellare di arredi e di suppellettili le stanze. quasi caricarle di miste– riose memorie e della sua stessa cupidigia d'aver bottino. Aspettava sempre d"avere per sé 1a mera– viglia e lo stupore degli altri. dei suoi ospiti atti– rati in quel fisso teatro di posa che era. ad una ad una, ogni stanza. Soltanto un uomo incredulo e indif– ferente poteva credere a questi effetti volgari senZ.'.l e ere egli stesso irrimediab!lmente \·olgare: soltanto un uomo noioso e semplice poteva mostrarsi di con– tinuo cosi intricato e spettacolare senza essere sol– tanto un attore. . Proprio girando nelle stanzette del Vittoriale. nel \·ederle cosl meschine e così disposte a un significato estorto a forza da ogni oggetto, abbiamo visto D'An– nunzio servire. come un ironico cameriere di se stesso. l'aristocrazia scaduta e la borghesia nascente dalle sale romane fiorentine e vene-ziane alla fine del se– colo. e dar loro i fumi dei vecchi incendi tribuniz.i. gli arti!izi delle feste dogali, i salotti. Quale ironia può essere pronta come favella sulle labbra del poe– ta se non la grazia della sua interpretazione, del suo commento alle cose che mostrerà. ampliando e ge– stendo nel discorso. come descrizioni. quegli ambienti che in se stessi nulla dicono. altro che una preli– minare e molto ingenua suggestione? Certamente D'Annunzio sapeva che era mi Messo a connettere nel Vittoriale d'un qualche significato le gelide stanzette del suo albergo: lui appariva, su tutte le cose funebri e deposte, con la sua aria gialla di morto. Ohi credeva In lui, chi ne subiva il fascino, poi avrebbe ricordato quella sua casa mi– steriosa e difficile. ove si passava dall'ombra alla penombra. dal silenzio alla musica quasi compiendo passi fatalli, con la massima serietà degli uomini che sanno di prender parte ad una finzione senza voler nemmeno dubitarne. La storia italiana aveva fatto nascere dalla sua confusa tradiz.ione rinascimentale l'assurdo albergo decadentistico cui approdavano uf– ficiali. Politici. dame e giornalisti per veder realiz– zata finalmente sulla terra la poesia. Un poeta aveva finalmente scoperto per loro che h p0esia era una lunga libidine di desideri accumulati nelle stanze e ognuno dipinto in figura, esteso in musica. vanificato nelle parole. Un momento di immaginazione amoro– sa, di vita eccezionale. di dominio, come almeno uno volta lo sognano tutti gli ·uomini sprovveduti della terra, particoilarmente coloro che non ammettono paz• zie e si tengono ben legat..i ai sensi reali, era pronto a ba!enare da quelle stanze. Un Poeta se ne investiva ogni volta, apparendo: era insieme Faust e Mefi· stofele. lo portava sulla bocca come un sorriso enig– matico. lo indicava nelle maschere appese nel suo reliquiario, sui pianoforti chiusi e profondi nella Sala di Gasparo, su una mano di marmo, sui fiorellini di pezza. sulla testa della Duse. sui libri intonsi, aNt– neati nei piccoli corridoi. sugli inginocchiatoi del· l'Oratorio. dovunque. Egli stesso portava un dito alla bocca: il silenzio e l'ombra erano i complici della sua finzione. M.a solo. solo. come poieva vivere. se non aggi• randosi e raggirandosi. se non cadendo nel lavoro. cioè ne1Pun1ca ragion2 del suo tempo che gli facesse tacere intorno la matledetta casa che egli aveva pn ... parato soltanto per gli altri e non per sé? Nell'11:Officina I) la luce, la vista del Benaco, le grandi notti fresche e stellate. gli ridavano forse, fi– nalmente. respiro. età. stancheua, memoria. il biso• gno dell tè per continuare a scrivere sino all'alba. Entrando e piegandosi per quella stessa piccola porta che doveva essere per tutti i visitatori una forca di umiltà, D'Annunzio tornava uomo; e uno dei più condannati a perpetrare la sua condizione di uomo naturale al quale manca una società e che !;j improv· visa tutte le patrie letterarie. archeologiche e misti· che in cui credere e far credere gli altri. Nulla gli avevano dato il successo e lla fortuna: gli atti stra• ordinari compiuti non avevano potuto suggerirgli al– tro che una finzione. Nulla nella sua vita era stato suffl~i~nte a togliergli la romanzesca semplicità di meridionale allucinato, falso. toccato a vo!lte c0n te– nerezza presàga della sua infmita miseria. . Poi tutto_ sa di predisposto abbigliamento di lusso. d1 scar~ dt coppale, di guanti gialli. di salott::>. di oaTçc>-nmere: _ques~•~omo ha ~isogno di moltì gabi· n_e~tl,d'~ttoni. luc1d1 come ori. di orpelli, di lustrini: :: ~!~~~~ff:ai1~n<l~el teatro rusticano ove gli Italiani Que~to. albergo brulicante di cocci e di croste. èi e~efanti d1_porceUana, di frutta di vetro. 1.i ,~8.1::hi dt _gesso. ~h maschere, di lerri battuti, ba l'aria Jivida dei sa!on1 delle Terme moderne ove gli uomini vi· vono a contatto delle proprie viscere. Il resto conta poco: gli esterni. le faccia:e sor..;, d'1..U_1a : gionevole e msieme sragionevole compostez– za itah 0 ta. C~n. ~uesto aggettivo io chiamerei quelia qua_lunque edilma n~stra che ha archi. gradini. fron– t~m, stele, sarcofa_gh1. ecc. e che traceìa nel paesag– gio sempre ben disposto vuou e pieni con un &ioco estemporaneo di chiaroscuri.. L'architetto l:taroni certamente fu di freno al suo committente che &li lasciava tra le mani molte parok e pochi soldi. Ma come non rimpiangere la vecchia villa de>l Cargnacco quaile era sino al 1921? Era una onesta e c'omoda casa d1 lago. con le luminose finestre aperte al sole e alle stagioni: se l'avesse lasciata così. abban– donando il suo nome di comandante e i cimeli della guerra e della storia, D'Annunzio avrebbe sentito di più a sera i dolci cdJori e i dolci rumori della vita. quell'ineffabile silenzio che egli aveva udito a Fie– sole. a Settignano, lungo l'Affrico e che ci aveva fatto ascoltare nei suoi versi e nella sua stessa voce d'uomo. . Ora quell'al_bergo mezzo veneziano e orientaleg– giante. carico d1 cose morte, di vizi defunti e di simu• lati sacrifici, è insieme tomba e archivio. La vita di D'Annunzio vi_ è dentro tutta di.spersa. inimmag ina• bile. Occorre risuscitare una finz.1one per credere e.be quelle stanze siano state abitate d a un uomo vivo soltanto d'ironia. Anche la sedia su c.ui il poeta s·è piegato morto non ha in sé alcuna or ma. S olo i vestiti appesi nell'armadio - non tutti di stoffa buona e quasi • rimediati n -. quei guanti allineati nel cas– setta insieme con le cravatte. sono la testimonianza di come egl,l,isi sia ritrovaio davanti allo specchio 'a vestirsi della sua sfarzosa miseria di meridionale e a vedersi brillare in fondo agli occhi la malizia. E la sua è la malizia dell'uomo che ha fatto di tutto per smentirsi e che è rimasto. nonostante se stesso. fedele come un impiegato d'ordine agli appuutamenti del.Ila poesia, ALFOSSO GATTO

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