la Fiera Letteraria - XII - n. 23 - 9 giugno 1957

Domenica 9 giugno 1957 LA FIEHA I.ETTEHARIA SFOGLltliVIJO L' l?PISTOl.,AIIIO DOPO TllEN'l'' ANJ\TI * Svevo allo specchio Nel 1950. allorquando pubblicammo. nella Fiera letteraria del 22 gennaio, una nota sul Ca$o Svevo. le querimonie e le diatribe che ne derivarcino furono tante che, per onor di firma. ci trovammo co– stretti a tornare sull'argomento con una postilla nella Fiera del 5 febbraio. Ma 1e storie continuarono, con argomentazioni sempre più fan.atiche. e ritenemmo oppor– tuno, a scanso di equivoci per chi di tanto chiasso non raccogliesse che l'eco. riprodurre e mettere agli atti quelle due peraltro documentate noticine, nella rac– colta Tra racconti e Tomam:i del Nove– cento. E lì le lasciammo, a disposizione di chi. non si sa mai. volesse interloquire su quel curioso caso con più cognizione di causa. Ma son dovuti trascorrere circa sette anni prima che qualcuno, si deci– desse a farlo. Soltanto uno. per l'esat– tezza. e risponde al nome di Geno Pam· paloni. Questi. nell'Espresso del 14 aprile 1957, volendo festeggiare la decima ristampa del romanzo La coscienza di Zeno (Dal– l'Oglio. Milano) e non nascondendosi. la difficoltà di precisare che cosa i più gio– vani pensino di Italo Svevo, s 1 è ricor?ato che fummo proprio noi, anni fa, a dimo– strare che « in sostanz.:1. la critica ufficiale italiana· lo aveva quasi ignorato>). Ha poi aggiunto che <( da allora le cose non sono molto cambiate)): e, a parziale chiar•men~o del fatto, ha inoltre recato molte consi– derazioni. Di rincalzo vorremmo che ci fosse 1ecito allegarne qualcuna anche noi. Sia detto senza esagerazione e senza irocia. M,a Svevo è ormai diventato una specie di tabù. Non si può più nemmeno sfiorarlo con parole che non siano ultrael?giativ~ senza provocare ritorsioni feroci. Guai a non riconoscere e non riverire in lui Pottimo degli scrittori. quasi l'iniziatore del romanzo italiano contemporaneo, se non proprio Pesempio di cui lo stes.:.o Proust più si sarebbe avvalso per intro– durre e sviluppare nella Recherche la tec– nica del <1monologo interiore)> ... Tutto ciò in virtù dei suoi romanzi. E sono quelli stessi romanzi dov 1è palese, fra l'al– tro, quanto lo Svevo fosse lontano dall'es– sere O dal diventare - come pur avrebbe voluto - l'ottimo degli scrittori. Oh, ci par già di sentire i difenso:·i e i Jaudatori Ln,sorgere offesi perchè s1 osa ancora, da parte nostra, ripetere che Svevo alla fine scriveva piuttosto maluc· cio. e Io sapeva e ne soffriva. Ma qua?-to sarebbe meglio se, invece di sdegnarsi o di scandalizzarsi. questi gelosi custodi dessero un 1occhiata alla preziosa Vita di mio marito (Zibaldone. Trieste, 1950). scritta da Lina Galli ma rie.vocata da Livia Veneziani, che di Italo Svevo fu moglie per più di trenta anni, ~al. 1896 al 1928, dopo un fidanzamento d1 cmque o sei anni, e che, per averlo inoltre fr~– quentato fin da bambino. si può cons1- d~rare come la su~ f.e'!_elissra ombra. INoi non stiamo qua a far correre 1a penna sulla carta per calunniare Svevo; e ncm sarà colpa nostra se la serie delle convalide sul suo modo jj scrivere. c_o– mincia con la testimonianza. giovamhs– sima. del fratello Elio, che per via di. un diario può considerarsi come il suo primo biografo. t< Io vedevo con dispiacere che si appassionava tanto alla letteratura tedesca da lasciare in disparte la lette– ratura italiana e gli dissi di leggere un po 1 Dante e Petrarca ... )). D,i rinforzo la Veneziani ricorda che « egli era ~mpr~ più attratto dalla letteratura e sotrn:va d1 non dominare perfettamente la lingua italiana, sia per l'istruzione avuta in una scuola straniera (a Segnitz., presso Wue_rz· burg), sia per l'abitudine cont_inua al d~à– letto usato anche dalle classi colte trie– stine nel parlare familiare. E coltiva.va segretamente un sogno: quello di convin– cere il padre a mandarlo per qualch~ anno a studiare a Firenze e apprendervi la lingua dalle fonti vive. Ma sapeva pure che questo non era che. un bel sogno. e che il suo destino era di diventare com– merciante come il fratello Adolfo. C(isl era stato stabilito dal padre)). Al principio della sua vocazione e de~la sua carriera letteraria (cominciò prestis– timo a scrivere commedie; ma « n~n amava la poesia >i) c'è il difetto di scnt· tura contro cui gli toccò dover lottare tutta la vita, senza 1·iuscire a eliminarlo 0 dominarlo. Difatti non era dovuto sol– lanto all'insufficienza di chi comincia e deve prima studiare ed esercitarsi. per poter, un giorno. essere in grado di espri– mersi compiutamente. Era un difetto_ che doveva piuttosto derivargli dalla circo– stanza di ricorrere a una lingua che non era del tutto la sua (come volle rispec– chiare nello pseudonimo: Italo Svevo) e che. oltre a non circolargli nel sangue con la necessaria e naturale pienezza, non io aveva attratto a sé che in un secondo tempo e più per riflessione che per isti1_1to. L'uso gliene rimase perciò sempre diffi– coltoso e il risultato artistico. anche a suo giutjizio. lasciò sempre a desiderare. «'Egli sentiva la mancanza di una cul– tura letteraria. voleva dordinare le cono– scenze caotiche, riempire le sue lacune. avvicinarsi soprattutto alla trbdizione Jet· teraria italiana)>. E dopo che nel 1893, a seguito del rifiuto di Casa Treves. stampò a 11roprie spes~, presso un piccolo editore triestino, il ~r1· mo romanzo: Una vira. ad amareggiar– gliene il piacere furono « ~ rimpro':'eri dei . pochi critici per la povertà della lingua 1i. ,1 Lo ferivano crudelmente. Avrebbe vo– luto abbandonare il suo impiego {~ella succursale triestina della banca (<Union_ i) di Vienna. dove rimase per diciot'a.nni] mal retribuito. andare a Firenze per n~él;re la sua educazione linguistica e letteraria.'): D'altronde fu lui stesso a riconoscere. PJU tardi (in una lettera a Larbaud, del 1925), <1,qu'il est si mal écrit (bie~ pire qu~ les deux autres) que je devra1s le re!a1re 11 • (C!r. Corrispondenza con V. Larbaud, B. Crémieux e M. A. Com11ène: All'insegna del Pesce d'oro, Milano, 1953. Ma è ·da la– mentare che una raccolta di tanta impo_r– tanza documentaria sia stata condotta In maniera da suscitare non poca perples– sità circa la fedeltà delle date e del testo. a causa delle molte discordanze riscon~ trabili con alcune citaz.ioni e con alcuni riferimenti della Vita di mio marito (Cfr,., al riguardo. gli aJ1Punti di G. Spagnolett1: Popolo. 13 gennaio 1954). Nel '98. a scoraggiarlo dallo stampare se non da1lo scrivere. sopraggiunse Pincom– prensione della critica e l'indifferenza del pubblico di ironte al suo secondo roman- * La verità dei fatti sta come lui stesso riconobbe e confessò. Ri- pcterlo e clocnmentarlo non significa voler togliere ogni pregio alla sua narrativa. Bensì proporzionarlo. E questo a noi par doveroso * di ENRICO fi'Al~QlJI più vari paesi. Firenze - ad onta ~el lungo desiderio - non vidi che a c11~– quant'anni e Roma a sessanta mentre il mio destino mi portò in tutto il resto del– l'Europa. fino iu Irlanda. Ed è così che la lingua italiana per me restò definitiva- mente quella che si muove nella mia te· sta. Devo confessare ad onore della mia patria che gli altri triestini .scr_ivono meglio di me. E 1 certo che chi rimase sempre qui dalla prima giovinezza e non dovette battersi con tanti altri linguaggi rimase meglio italiano. Trascinano con sé il toro dialetto, ma è un dialetto italiano. Io mi credevo giudicato e condannato. E' poi certo che se l'Italia non fosse venuta a me io non avrei neppur pensato di poter scrivere ... )). .. . zo: Senilità. Fece proposito di rinunziare alla letteratura e nel dicembre 1902. in un suo diario segreto, potè annotare di aver definitivamente eliminato dalla sua vita « quella ridicola e dannosa cosa che si chiama letteratura)>. E se continuava a scribacchiare, se si trovava obbligato a quel « sacrificio )l, era P._erl'abitudine sua (,.? di tutti gli impotenti di non saper pensare che con la penna in mano (come se il pensiero non fosse più utile e neces– sario al momento dell'azione) ... )1. Insom– ma « ancora una volta, grezzo e rigido strumento, la penna mi aiuterà ad arri– vare al fondo complesso del mio essere. Poi la getterò per sempre e voglio saper abituarmi a pensare nell'altitudine stessa dell'azione: in corsa. fuggendo da un ne– mico o perseguitandolo, il pugno alzato poi nelle migliori case del1a facolto!-a borghesia triestina. e stretta amicizia con quegli ch'era già l'autore dei Dublh1ers, Svevo gli fece omaggio dei due suoi igno– rati romanzi. E le lodi che n'ebbe furono tali da riaprire il suo cuore alla speranza. u Nel primo tem90 s'era proibito di dedi– carsi a una opera di creazione, poi comin– ciò a raccogliere i suoi pensieri in nume· rosi foglietti per un libro di ricordi che non !u mai compiuto. Erano note staccate ove un ricordo ne richiamava un altro. Da esse si partiva un filo conduttore che le legava. ma che era frequentemente spezzato >i. Va da sé che. come gli diceva un amico, la lingua da lui ~sata era la sua (< e che per essere autentica non poteva essere altra)); ma è alt resi ~ero che trovava Riccardo Francatancia: « Da Trinità del Monti» giusto d 1essere stato presentato nel ~an?– rama di Crémieux ((come un pezw d aglio nella cucina di genté che non ne vogliono sapere )l. Tanto che Ciani Stuparich nel suo studio su Scipio Slf1taper del 1022 (La Voce. Firenze) aveva scritto: <( Sette persone, due generazioni. ~a Be~co ~ Saba Slataper Giotti Michelstadter Rmald, e Stuparich, l'effettività spirituale della letteratura irredenta giuliana ha inizio e si conclude )l. E bisogna arrivare alla ri– stampa del 1950 (Mondadori. Milano) per trovare in calce al bilancio Pannotazione: « Pochi mesi dopo stampato questo libro, conoscevo Italo Svevo e la sua opera fino allora quasi del tutto ignorata. Svevo pub– blicò il terzo romanzo presso l'editore Cappelli di Bologna. Nuova aspettativa. Nuova delusione. Aveva già cinquantot– t1anni. E doveva scoccare il 1925 perché - grazie all'intervento di Larbaud e di Cré– mieux. richiesto e sollecitato da Joyce - il cerchio del 1( sileniio sepolcrale)) fosse finalmente infranto: all'estero e quasi contemporaneamente- in patria. LA '7U,LA DI G. C. ARTONI * E dovette a1Tivare il luglio del 1922 perché, durante una vacanza a Poggio– reale, « sulle balze del Car.so. sopra la vastità azzurra del golfo. in un_ vero im- Persuasiva novità .diuna voc * <li GIORGIO CAPR011·1 Ma che ancora. a. più di trent'anni di distanza dal primo romanzo. egli avver· tisse e lamentasse in sé l'iniziale insuffi– cienza linguistica. lo riscontriamo in una lettera alla signora Crémieux. Scrivendole, fra l'altro. che se il Navire d'argent ~~~:~~ielur:ic~~~ 1 dite~fe~~~~fe~~ 2 \u?at~~ romanzi e Ja traduzione di alcuni capitoli di Sen .ifi.tà e della Coscienza di Zeno a cura dello stesso Crèmieux e di Larbaud _ si rosse dimostrato degno del titolo. egli avrebbe forse potuto liberarsi d':i ~~~~idl~~~~~i:eeJa 1 fa ~:~~~~t! 0 i~~~:i~ 1 ; triestina): « e allora troverei anche il tempo per curare un po' anche la lingua n. Tuttavia. fin dal '20, aveva approntato una seconda lezione di Senilità, (< munita delle correzioni che credeva dover appor– tarvi)). Ma. dopo il rifiuto di Treves. riu· scì a piazzarla presso Morreale soltanto nel '27· e Ja vedova ricorda che era stata ., « compÌetamente ripassata dal latq della lingua ii. Ci domandiamo quanti bravi compo– sitori di bei libri di brutti versi (inviatici sic et simpliciter, o tout court se prefe– rite, per "recensione": come se noi ci stessimo apposta, al mondo), saprebbero riconoscere per amore: Anni benchè più lieti dd mio prese~ie volpano le .1telle... Oppure Per un'alba che appena tinge il .1ereno volto delle stelle .. E il bello è che, anche se çosi :impida– mente ventilati di cristallino e marino silenzio notturno, questi che abbiamo ci– tato non sono versi di Torquato Tasso, secondo la pronta alzata di mano del pri– mo della classe, bensì di un giovane par– migiano il quale, con tale gentilissimo omaggio (pari all'altro che egli riuscirà a fare a Leopardi), subito ci ha convinto e riconoscergli non un facile orecchio ca• pace di riprender subito sul mandolino (patetico strumento che dopotutto, se sin– ceramente suonato, non d dispiace udir la notte sull'erba o sul mare) la melodia sentita sul liuto, ma la dote - sempre più rara in un poeta d'oggi - di saper trovare la sua poesia anche con l'aiuto della, Poesia: cioè dimostrando di essere, prima che un ·esercente di versi. un con• sumatore convinto: un Lettore. O luna, o luna. tu come la vita c'illuminl e rramont.i senza clte in noi l'attesa sia sopila ... Italo Svevo per colpire o per parare)>. Il triestino di peto di creazione gettasse giù in quindici giorni la prima stesura de La coscienza dì Zeno J). Se l'era tenuto dentro per, tre anni e vi lavorò attorno di lima per un tutto un altro anno. dato il suo e( intimo tre– more di fronte alle difficoltà dell'espres– sione. Ma egli era ben conscio che la sua lingua non sapeva onorarsi di parole non sentite, che noh appartenevano alla slla lingua viva: e la sua lingua viva era il dialetto triestino)>. E c 1 è una sua lettera del '26. al Crémieux, in cui cerca di spie· gare le ragioni che gli impedirono di co– noscer meglio 1a sua madrelingua. <1Che sia il nonno tedesco che m 1impedisca di apparire meglio latino? Eppure io onorai la mia madrelingua. Ma. come !are? Dalla mia prima giovinezza fui sbalestrato nei buona razza non si smentiva. . E in questa (e tristezza del silenzio >) rimase per anni ed anni. nel timore che, cedendo al demone letterario e seguen– dolo, si trovasse impedito nell'adempiere al dovere 1i industriale, cui non s'era voluto sottrarre né per sé né per i suoi e per i soci. e< Era una questione di onestà. perché ci voleva poco ad accorgersi che se scrivevo o leggevo una sola linea il mio lavoro era rovinato per una intera settimana>). _ . Finché un giorno gli capitò la grazia di uscire da quel silenzio « per il capriccio d'un grande uomo)). Incontratosi con James Joyce, allora insegnante di lingu~ inglese nella rinomata Berlitz School e Egli era il primo ad essere preoccupato per il proprio stile e a confessarsene con Crémieux, se questi, il 22 giugno 1025, ebbe a raccomandargli: « Surtout ne soyez pas inquiet de la faccenda du st~le. Encore une fois votre style ne me gen,? pas. Ce que j'en dira). (nell'articolo. che si riprometteva di dedicargli nel Corriere. ma che dopo il rifiuto del direttore ap– parve nella Fiera Letteraria del 28 feb– braio 1926) sera pour éviter les reproches de puristes. que je ne manquerai pas de condamner >). Salvo poi. letta la novella intitolata Una burla riuscita, a scrivergli: <1 Il me semble que"vous auriez intérèt à sournettre votre manuscrit à quelque gramrnairien libéral pour éviter qu'on reparle encore de provincialismes et au– tres idiotismes (j'allais dire: idioties) 1i. A questa inaspettata doeumenlaiione noi abbiamo già premesso quella ricavabile dall'atteggiamento di una non indifferente parte della critica italiana. sia che abbia interloquito sia che abbia taciuto sul caso ENRICO FALQUI (Continua a pai;lna 4) Chiediamocelo ancora ·in un orecch:o, e tra parentesi: quanti redattori di libri di versi non Ci manderebbero nemmeno "per recensione" (dal momento che non le comporrebbero) le loro tipograficamen– te belle opere, se davvero credessero, leg– gendola, nella poesie e nella sua neces– sità, con le stessa fede con cui credono che la gente debba interessarsi In qual– che modo (dal momento che non se ne interessano loro) ai loro righi lunghi o corti? Ma è tempo di nominare 1·autore (che molW hanno indovinato già) di questo vivo, e nuovo, madrigale: e Ora non so st l'onda - mi sciolga il petto - o se questa è del vento - l'ala gioiosa. O dolce amore - che alla riva rimani, solo nel mare - dei miei silenzi acuta la fe· rita - rifiorisce nascendo ( e come il filo - della mia vita è l'ombra silenziosa - di quest'ala smarrita)•. Un autore il cui profilo si staglierà ancor p\ù nelto, anche se meno grazioso, aP.,pena. di lui. avremo riportato que!-ti altri versi: Tace il sole nel canto disperato delle cicale che aprono i pioppeti sulla riva del Po. Resta no.scosta quella lanca affettuosa ove approdammo ht un giorno d'amore e nel riflE'sso GLI SCIIITTt>III * E LA S'-ICIETlÌ Il lettore italiano è uno .sconosciuto L':ngresso dell'estate è un buon momento per os· servare alcune caratteristiche dello scrittore italiano e dell'ambiente in cui vive. Si avvicinano i premi let– terari ed ognuno, secondo i propri umori le proprie speranze e secondo il temperamento e la dose di di– screzione di cui dispone, si agita nella speranza di trovare qualche piccolo utile e, per chi ci tiene in particolar modo, qualChe momento di presunta atten– zione da part~ di un presunto pubblico delle ,lettere italiane. Viene fatto di pensare però, che nel caso più ge– nerale, lo scrittore, in queste circostanze come :n tante altre, non si rivolge affatto ai lettori, quelli veri, che esistono solitari, isolati, senza fare certo legione e nemmeno categoria identificabile. Il v~ro lettore ila· liana non ha nulla a che !are, infatti, con i perso– naggi che vivono attorno e dentro i premi letterari, che li determinano attraverso una curiosa ambizione d1 muoversi nell'orbita delle feste letterarie, scam– biandole per avvenimenti mondani _particolarmente ambiti e raffinati. Lo scrittore che ambisce o ha ne– cessità di ricevere un premio deve darsi d'attorno ad una quantità di gente tra la quale raramente troviamo un vero lettore: si tratta per lo più di una categoria di persone la cui vanità o il cui interesse si è pola– rizzato attorno a queste cose per l'agioni tutte esterne ed esteriori; che quasi mai legge molto, ed il li~ro che legge non è per soddisfazione di una necessità propria, ma l'adeguamento aUrettato alla. sua !un· zione di categoria intellettuale che cietermma l'anda– mento dei giudizi e delle feste letterarie. Tutto ciò non manca di apparire un poco triste a molti, ed anche ad alcuni di quelli scrittori i· quali, di fronte ad un dato di fatto, lo accettano e si adeguano e si agitano secondo l'uso· corrente. E' per questo che * tU GlJGl~IELMO PE7'lf.01VI ogni tanto ci vien voglia di volgere un pensiero ami– chevole e solidale al vero lettore, quello che tutti noi sappiamo che esiste, perché compra per intero le copie della modesta normale tiratura dei nostri vo· lumi. Questo lettore, che legge solo perché ama i1 libro e se lo cerca da solo, giacché oggi manca ogni indicazione qualificata e autorevole alla quale si possa affidare, è in Italia un pioniere. Esso ignora il pet– tegolezzo di salotto sulle persone e sulle cose della letteratura esso conosce soltanto la sua solltudine ed il suo amo're all'arte ed alle idee; è un eroe assoluta· mente sconosciuto ed un pioniere, perché il suo ac· quisto di un volume è disinteressato, nasce in lu, stesso ed in lui finisce. Diciamo un pioniere perché non siamo affatto pessimisti nei confronti del pub· blico italiano, anche se la situazione è sempre deso– lante; non lo siamo per quei tremila lettori di cui nessuno sì occupa, a cui nessuno pensa quasi mai : spesso sono uomini di modeste risorse che per il libro fanno qualche sacrificio. Non credo che i tremila lettori ai quali mi riferisco siano da paragonarsi al vecchio lettore italiano; l'an– tico lettore era il professore, era comunque un uomo per lo più spinto da interessi scolastici, nutriti di buona erudizione ma quasi sempre scarsi di partec1 · pazione spirituale e di sensibilità artistica; il lettore a cui ci riferiamo, isolato e poco numeroso quanto è, è pure un lettore moderno, spiritualmente più ricco; ed è perciò che anche cosl scarso e trascurato, alimen· ta il nostro ottimismo; esso si presenta infatti come il pioniere di una classe di persone che non è quasi mai esistita nel nostro costume e che ora, attraverso lui possiamo intravedere, cominciare e riconoscere, sia pure sotto un aspetto per ora puramente dimostrativo. E' tempo che lo scrittore cominci a rivolgere il pro· prio interesse al vero lettore, che cerchi di studiare il modo di conoscerlo, di essergli indirettamente amico, anche se questa amicizia andrà a scapito del rapporto, tanto utile come abbiamo visto, con l'altra categoria di gente per la quale la letteratura è un pretesto mondano e una illusione di rappresentare qualche cosa nel mondo intellettuale, ed una velleità non affatto ingiustificata dalla situazione odierna, di es– .sere un poco l'arbitro delle fortune e fortunette sta– gionali degli scrittori italiani. Rivolgiamo una volta tanto un pensiero amiche– vole, un momento di attenzione a questo lettore e difendiamolo, difendiamolo dalla propaganda dema· gogica che cerca di assorbirlo nel giro dei suoi viziosi Interessi, difendiamolo· dalla informazione non disio· teressata; individuiamolo se è possibile per rendere a lui l'omaggio che oggi, con troppi risultati ridicoli. va a signore eleganti e d~narose, a industriali che vedono nelle lettere un buon mezzo di propaganda al proprio nome e ai propri prodotti. ai demagoghi deila cultura di partito; salutiamolo cordialmente perché esso, prima di ogni altro, ha dìritto alla nostra cor· dialità. Ci viene fatto di pensare, in queste occasioni. che se noi ricordassimo qualche volta che l'avvenire della nostra letteratura, Invece che in mano a quel centi· naia di persone che si agitano intorno per una quan– tità di interessi spesso innocui e soltanto stupidi. spesso pericolosi e deleteri, è in mano a quei tremila pionieri del lettore moderno che il nostro paese nu· triamo fiducia che abbia un giorno, molte cose cam· b-ierebbero con buon riposo e autentica utilità per tutti. GUGLIEl.MO PETRONI delle sue /oQlie Il fiume qul ripo.1a verde, plucata nella bTeve ombra la sua stanca corrente. Verso la .1era giunge dolcemente Il leQgero rumore che rifrange una barca all'approdo, e acuto Un Qndo 1~utl~m::n~ic~~~:.Tgme mi de.1ta E' il profilo di Gian Carlo Artoni (La villa e altre poesie, Mantovani• Milano). il quale - come già accennammo altra volta - ci ha così dolcemente colpito, non soltanto per le persuasiva novità delia voce, ma anche per esser riuscito, nella difficile aura della nativa Parma. tutt.a soffuse di spiriti bertolucciani, a eludere senza rinnegarla la cara sirena, e a dire in proprio (con un proprio timbro: p:ù ruvido, più marmoreo, se vogliamo) la sua giovane vita: Questa lenta pianura ove le foglie d'autunno nello nebbia g1à svonirl' si perdono e all'incontro blando del fiume avvertono i confini d'ogni già breve libertà, crudele per te non mi diventa, ma neU.'ora dei conver.1ari incTociamo, al tramonto, lungo l'argine ancora i no.1tri vou. E tu continui con me questo v1aggto. anche se ormai non mutan le staQioni 11 tuo volto .1ottile, tu nel vuoto dei nostri anni futuro te.1timone d'ogni mio giorno attento ,Dove J1;0n. c'è ~·sogno. certo di, sottoli· neare i punti di comunione: il medesimo educatissimo gusto per una civile natura fatta anch'essa cultura (i grandi Impres• sionisti: il ptein air tra "vicini di campa– gna" caro a certe - a molte - famose pagine proustiane, così attente alle più sottili verità di relazioni cittadine ,urba– ne) tra cuore umano e paesaggio-campa– gna, come tra persone e persone - o tra tempo e tempo - in ùn quotidiano commercio di attrazioni e di quereUes), ma qui reso più rigido (e non vuol es;;ere un titolo di demerito). non soltanto, !or• se, da11a presenza e dall'attrazione d'una altra Parma, che potrebbe avvici::larsi a quella, più scontenta di se e perciò più aspra, di Borlenghi, ma soprattutto. ci sembra, dall'appartenere anche Artoni a quel manipolo non difficilmente enume– rabile di giovani (proprio l'altra setti– mane ~ominami;no Tentori) i quali. sulla onda d un canto d'altissima tradizione. e appunto de un Tasso sentito - via Leo– pardi - nel modo più virile. ce:-.:ano di sottrarsi alle rifrangenti emotività pa .. scoliane (e Fulmina le mie povere f>mO• zioni >, gridò del resto tanti anni prima Ungaretti). tentando non vocisnamente. ma potremmo con cautela dire oeorondi• stice.mente, di e riportare a le parola e il discorso lirico al di qua del simbolismo europeo, e del nostro crepuscolarismo. Che l'operazione, se mantenuta chiusa nell'ambito della letteratura da un tem• peramento meno sicuro di quello dello Artoni, rischi di per se d'ancorarsi a un nuovo (troppo fermo nella sua pretes3 di esterno movimentol neoclassicismo non abbastanza romantico per non ..i,Jscire frigido a un'intelligenza (non osiamo dire e un cuore) d'oggi, non dubitiamo. Ma non dubitiamo. nemmeno. che anche tale operazione, quando riesce ad evitare tut– te ~e botole che le si aprono sotto. e il pencolo che comporta d'una ricostituz10• ne esterne del discorso humano vestl'>ndo Puomo d"un abito tutto d'un pezzo assolu– tamente anacronistico (facendone •Jna maschera: una figura retorica e ;l'>•t<>ra• ria: una finzione). debba interessarci non poco. non foss'eltro come stazio:-ie. f'lrse e?ch'essa necei:.saria. verso un :-icom(iun– g1m~nto - a lunga scadenza non :m;>ro– bab1le - fr,a il discorso d'oggi e :l discor– so di sempre, abbattuta la cortina Infra. messa dai necessari - ieri - e.vn :-i~!Jar– dism!· E c!ò a. parte i risultati indipen– denti rag-giunti da Artoni (che non rar!e nella rete per l'intima energia d':'!Ua sua natura umana). fin d'ora così :,ersu::1s'vi nel loro particolare timbro. e tali C\Jmun– que da sgombrare nel lettore oJ!;nì fl: eoc– cupazione teorica. lasciandolo interamen– ~e libero. nei momenti felici, di se1uire !o incanto della pagina. ricce di movim.:>nti intimi e di eE?ili C'adenze. volte qu-:isi- di e C'an7one a ballo,., PerchP. se ner una volta non ricordiamo comP sia sospeso a un lieve soffio di t'Pnto 1t domani - e cosi alla certezza dei giorni C'hl" verranno si aPhanrfo11" oqni "ospe!io - poi C'i rì~reg!iamo r'ip il rento rì ha "Pnoliato d'opnì no.dra fortnna? perC'hP anC'orn ri tiince l'impro011l\'a b11fera e non siam ptù gli stessi, ma perduti per sempre quei disepni eh.e solo ieri sembravano il filo che ci 1711idava..,Quante, chi> ho sperare. !on.ton.e sere a rivivne insiemt il cammino percorso. ora chP manchi. sono sfumati' quante dolci notti di queste orime e,iat1. n consumarr il .<::Onno pi>r le strade. son. pa,-sat"" ::ier sempre. e a ripensarle "On soltan!o dolore? GIORGIO CAPRONI

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