la Fiera Letteraria - XII - n. 9 - 3 marzo 1957

D_om_en_i_c_a 3_m_a_rz_o_l_9_57 _ _ ___________________ --=L:...:A.:.·_..:.F...:I:....E::..:.R:...:A::·__:L:.·.:E:....T:....:T...:E:...::R:...:A.:.·.:R:...I:..'..'.'Jì.:__ ____________________________ ,Pag. 5 NARRATORI DELLA FIERA LETTERARIA R. 1\1. De Ang'elis: " Il ritmo '' O viandante, se, sorpreso dal solleone. ti aggirassi per caso nella contrada di Or. tigia, sull'isola chiamata Sicilia, non ti perdere di animo. Nei pressi della mari– na, nascosta da salici e arbusti, che, di primavera, s'inghirlandano di fiori violetti a mazzi, di sambuchi dal calice cli cera, e di oleandri bicolori, giace e gorgoglia il sacro fonte di Aretusa, la ninfa trasfor– mata in acqua dalla paura di amare. Non soltanto potrai riposare all'ombra di que. gli alberi e riconfortare le stanche e ac. caldate membra nelle dolci e amorevoli onde, quanto ascoltare da1la viva voce delle acque una storia antica, favola e mito ad un tempo, che si rinnovella a ogni epoca. per virtù di un amore sempre più umano. Paese di ninfe e di satiri, la Trinacria, anche se ha mutato nome, non ha per– tanto mutato nè il sangue ai suoi abitanti, nè gli usi e i costumi. Tiranno continua a essere il dio alato, che scaglia, quasi ~ gioco, le freoce contro la terra, in dire– zione del cuore degli uomini; e, non sem– pre ignaro, come quello di Proserpina, è il cuore della nin!a colpita nel sonno e nell'attimo più propizio del bagno porne. ~~!~~o~J !:!~e 3 m~~~fa ~i ~:':!~ac~n~j leggenda; ed è per questo che S8rà bene ascoltare e ripetere la storia del ratto di Proserpina, che tante sciagure arrecò alla più fertile e innocente regione del mondo. Ancora quel clima di miracolo resiste: spariscono le sorgenti nelle visceri della terra, al pari delle acque di Aretusa che ~~:;:, l~~~!~u\~r:i d!:a:~~at~it, 0 ~f; c~~: mano ancora col nome di Tartaro e di Caos. I! Mongibello erutta dal .suo cratere draghi dalle lingue di fuoco, piogge di cenere e lapilli trasformano in mummie gli indigeni sorpresi nella notte dal furo. re del vulcano. Tuttavia, accòstati senza tema al sacro tonte: potrai contare i ciot– toli del .tondo sempre di colore azzurro, sorprendere le sirene - compagne di Pro. serpina - nei loro giochi lascivi, udire la voce delle acque che non è glaciale fune– rea come queUa della Sibilla nei campi Flegrei. L'ora è propitia: le due dopo mezzo. giorno, l'ora del cane solare e delle serpi in amore, in cui la terra si spacca per so– verchia sete, il sole reclama le vacche del suo prediletto gregge, sacrificate per fame dai compagni di Enea, il fiume-sposo si mescola (approfittando del sonno degli uominil alle acque limpide di Aretusa, che di piacere irosa gorgogUa e spumeg. gia. E' l'attimo. Ascolta, o viandante. la voce soave e collerica del fonte che si trasforma in ninfa per poterti parlare umanamente e farti intendere ciò che dice da mille e mille anni ad ogni creatura amante che crede ai miti e alle favole. Tu ci crèdi, non è veto? Allora, pòtgi grato e memore orecchio ... « Plutone abbandonò, quel pomeriggio di giugno inoltrato, le algide grotte del Tartaro, e, indossata una pelle di pecora, il flauto e l'arco a tracolla, usci all'aria e alla luce, seguito da sei imbattibili guef– rieri per scorta, vestiti all'incirca come lui. e musici senza rivali. Simili agli in– digeni dell'isola, sebbene di membra più robuste. e di pelle più bianca, non avreb– bero avuto niente a temere da incontri con esseri umani, se non a causa del di– verso dialetto. Ma, tra i sei guerrieri uno ce n'era, uomo un tempo, che aveva se. guHo Plutone, perchè vinto nel tiro del– l'arco, e, reso immortale dal dio, gli aveva in contraccambio insegnato a suonare il flauto a meraviglia. Per un poco furono abbagliati dalla luce, ma ben presto si in. selvarono, non potendo sopportare i morsi feroci del sole: tra gli alberi, la luce era più tenera, dolce, e la frescura mitigava l'estate: all'intorno, lontano. i monti, dai vertici macchiati di bianco, ricordavano l'inverno e il regno gelato del Tartaro. a Appena saremo sulle sponde del lago Pergo, allora ripeteremo il nostro con– certo di flauti. Poca cosa è per te, lnigo, l'immortalità. Tu sai che in ogni modo sei il primo nel Tartaro, e più diletto che non fossi generato dalle acque torbide e fatali dello Stige >) disse Plutone, accarez. zando i capelli ricciuti del suddito fedele. Come descrivere il lago, circondato da ogni lato da alberi, specchio ombreggiato del cielo, su cui vento e fronde. luce e · aromi creavano un naturale concerto? « Anche qui si fa musica, dunque? » esclamò il dio geloso. Quand'ecco, scorse al centro del lago una turba di ninfe che si bagnavano scherzando con le spume tra loro. « Nascondiamoci ,, propose il dio, a e nascondiamo altresr le loro vesti. Cosi po– tremo pascerci a lungo delle loro bellezz.e,i. Ma, non aveva nemmeno cessato di par. ~::~t~%a s~;ad 1 ci~;~;nea;d~ ~~::~P!~~i;~ in tempo a nascondersi dietro i tronchi. che le ninfe emersero dalle acque e si fecero sulla morbida sabbia della riva. e< E' Proserpina. la figlia di Cerere" dis. se Inigo, « e, se non sbaglio, è ancb_e tua nip0te,, spiegò all'attonito dio, che. 1n ag· guato, non tralasciava un istante di am. mirare la statua vivente, che più di ogni altra splendeva, sdraiata sulla rena. Inviato da Venere, Cupido volò in mezzo agli alberi, e sca'gliò - non per gioco, da "Lenuovemetamorfosi ... di B. itl. I) E ANGELI S sebbene con malizia e precisione - la più acuta freccia in mezzo al cuore del dio; che, percosso. cadde tramortito ai piedi dell'albero. (< Abbandonatemi al mio destino i> im– plorò. « So bene che non morirò per questa ferita, ma mi fingerò ln punto di morte per irl'lpietosire Proserpina che sarà co. stretta a prodigarmi le sue cure. Presto, tingimi volto, petto, braccia e gambe con succo di more, e poi partite senza di me. Tra qualche giorno vi raggiungerò. Tor– nate a cercarmi, soltanto nel caso al set– timo giorno io non fossi dinnanzi le porte del Tartaro. dove mi aspetterete pazien• temente•. Ben presto i fedeli eseguiron.... 11 co. rhando del dio: i roveti all'intorno erano pieni di more selvatiche dal succo nera– stro, e, sebbene a malincuore, anche a causa delle compagne di Proserpina, ab. bandonarono il re del Tartaro. Poterono abbandonarlo, poichè Cupido si scordò di scagliare le altre frecc~_: ~ltrimeriti avr~b– bero fatalmente disubb1d1to e Proserpina non avrebbe abbandonata Cerere e ancora il dio del Tartaro, solo, dominerebbe il terz.o del mondo. a dispetto di Venere gelosa. Le ninfe accorsero ai gemiti del dio fe. rito e lo trovarono insanguinato tra le radici dell'albero, su un tappeto di erbe e di foglie dell'altro autunno non spazzate dal vento: Proserpina fu la più pietosa. e, data una voce ai servi che aspettavano le giovani sull'altra sponda, preparata una barella con rami e fronde recisi di fresco, il dio tu trasportato al castello di Cerere che vigilava sulla raccolta delle spighe dall'alto della torre osservatorio. Erano passati tanti anni dacchè non si vedevano, vivendo ognuno, sdegnato con– tro l'altro. nel proprio regno. che Cerere non riconobbe il cognato. E, del resto. an– che se la memoria l'avesse assistita. come avrebbe potuto sospettare in quel fore• stlero languente, lo spettrale fantasma di Plutone, condannato a vivere dentro la terra e lontano dalla luce e dal sole? Cosl Proserpina e le ancelle si presero cura del dio, e il succo di more scambiato per sangue spari, mentre al posto di quel colore sospetto, la luce e il sole intona. carono di b'runo il volto del dio. Basta– rono tre giorni; e non a caso Plutone preferl stare all'aria aperta, a torso semi– nudo, sebbene fasciato a mezzo petto. Se la ferita si rimarginava all'esterno, il cuo– re appariva sempre più straziato dalla punta acuta della freccia, e la vicinanza dì Proserpina accresceva lo strazio, seb. bene gli occhi e il cuore reclamassero quella medicina che non riusciva a gua– rire il dolore dell'animo, combattuto tra gli scrupoli e la brama, il sentimento e la simulazione a cui il dio era costretto da quel tumultuoso contrasto. I sette giorni trascorsero invano, nè Proserpina si mo. strava insensibile a quegli sguardi ardenti e corrucciati, a quegli spasimi taciuti, ai lameÒti notturni di cui si indovinò causa e di cui ben presto fu vittima. All'alba dell'ottavo giorno, un concerto di flauti svegliò completamente i due pro– tagonisti, e Proserpina fu ammaliata dalla musica, Plutone sorpreso e irritato dalla devozione eccessiva dei sudditi fedeli. Che cosa cercavano? E perchè erano ri. tornati così presto? Egli non era g,,iarito, e non desiderava esserlo se non -il più tardi possibile ... Tuttavia dovette ricono· scere i guerrieri compagni e accettarli quali devoti messaggeri. lnigo, avvezzo e non dimentico delle menzogne degli uomini, inventò che. esuli dal Tartaro, chiedevano ospitalità a Ce. rere. avendo ormai abbandonato per sem• pre quelPintame luogo, reso più pauroso dalla tirannia di Plutone. An•aborrito nome, Cerere concesse ospi. talità agli infelici, che finsero di legarsi di amicizia con U ferito, forse ferito a tra~ dimento da un àbitante del Tartaro. ge– loso di un suddito di Cerere. E come fin. sero meraviglin e stupore nell'apprendere che il ferito era di una· contrada più lon. tana, lassù sui monti. a mezza ~osta del Mongibello, e capitato per caso in quei boschi, accanto al lago ... E come Plutone li segul nel perfido gioco, con quale inno– cenza e amabllità si disse confortato dal. !"arrivo dei musici che avrebbero certo allietato le feste della mietitura in onore di Cerere! • E Intatti le •allietarono, con musiche che sembravano nascere dalle visceri della terra e ricordavano le origini tenebrose del mondo e degli esseri privi di luce e calore. Tuttavia, il flauto di Inigo si i:i– cordava altresl delle musiche terre5tri. marine e solari della Trinacria, e fece impazzire le donne del posto. le ninfe e le dee, tra cui Cerere, ·che non aveva mai udito un musico cosi est1erto e incanta. tore. Lo volle maestro di corte, e, in breve, Inigo, insieme con gli altri compagni. ad– destrò tanciulll e ninfe nell'arte delle note, e più tardi, per deliziare Cerere e gli altri dei, ospiti per il tempo della mie– titura, insegnò la danza ai cavalli, di cui andavano fleri la dea-regina e la corte. Poichè, per difendersi dalle altre tribù. e dagli assalti di dei e semidei, sempre in lotta tra loro, Cerere aveva una magnifica schiera di arcieri che, su cavalli veloci. caricavano le coorti nemiche, sino ad an. nientarle. (I draghi, i serpenti. e i mostri li cavalcava soltanto Cerere, non solo per spaziare sino al trono di Giove, quanto per recarsi da un punto all'altro della terra - dominio suo personale). Oh, Dio, non che gli arcieri sgominas– sero gli dei avversari, si accanivano sugli uomini in loro potere - uomini essi stessi, e quindi resi crudelissimi, per essere schiavi di Cerere che il aveva in sua ba1ia. In fondo gli dei litigavano al solito, per ugni sciocchezza e ogni più lieve ripicco, e gli uomini. obbligati a parteggiare per essi e a difenderli, ci rimettevano la ghirba (come ora accade ai popoli in onore dei re e dei tiranni). Staoch.i alfine di feste, i sudditi di Plu– tone. una mattina osarono suggerire al re del Tartaro la fuga. Ognuno di essi avreb• be rapito una ninfa, compagna della te– nera Proserpina, e Plutone se ne sarebbe fuggito su un carro già preparato con la bella non più riottosa - se i segni non ingannavano del deliquio a cui andava soggetta la figlia di Cerere, non appena appariva i1 dio degli Tnferi, sempre a torso nudo come un eroe o un vero uomo dei campi nelle feste della mietitura. Così fu che una sera, al vino nero delle colline Inigo aggiunse un po' di papavero che si scioglieva senz.a sapore nel nettare, e di quello ubbriacarono Cerere, invitan. dola ai brindisi con allusioni di morte e sterminio dedicate al dio del Tartaro - come a buoni esuli si conveniva; e quando Cerere cadde in uno strano sopore, ognuno si impadronl di una ninfa già complice, e Plutone montò con Proserpina sul carro trainato da cava11i più veloci del vento. Il rat1o (o la fuga) non fu scoperta che di tardo mattino, e Cei-ere, sebbene fra· stornata dal beveraggio, inforcò un drago dagli occhi di bragia; seguita dagli arcieri sui cavalli che gareggiarono col drago incantato. Chi li vede non ebbe il tempo di stupire, chè fu travolto e calpestato. Uomini ed erbe fiori e foglie siepi e col– line furono superate dai cavalli. e nuvole in cielo dal drago. Il drago riconobbe il carro di Plutone e si abbassò sino a sfio– rarne i cavalli; ma Cerere, cullata dalla corsa, si era di nuovo addormentata e .R M. De Angelis: "Composizione" allora Plutone fu scordato sino alle porte del Tartaro, che, investite dalla luce del giorno, non si aprirono al comando del dio. Nessuno lo aspettava; e allora furono i guerrieri a salvare la situazione, met. tendo fuoco alle erbe e agli alberi all'in– torno, per creare uno sbarramento di fiamme e una CQrtina fumogena. Intanto gli arcieri giunsero, e Il drago posò la regina in mezz.o a loro. NOn sa– pendo quale partito scegliere, il capitano degli arcieri aspettò che la regina si sve. gliasse del tutto - anche perchè le fiam– me altissime gli impedivano la vista e i disegni dei fuggiaschi. Gli arcieri si rifugiarono all'ombra de– gli alberi amici. E il giorno trascorse sotto la duplice fiamma del sole e del fuoco. Infine il sole tramontò e il fuoeo si spense in fumate, al primo annunzio della sera. Dinanzi c'era il monte impenetrabile, e alle radici del monte il carro di Plutone con Proserpina prigioniera. Gli arcieri si lanciarono al galoppo, in una carica su. perba, e allora si capl perchè i tradito~i avessero insegnato la danza ai cavalli. Si udirono i flauti, e, appena i cavalli li udirono. invece di avanzare, presero a intrecciare figure di danz.a, sulle ceneri non ancora spente dell'immane braciere. I musici si trasiformarono a loro volta in arcieri e presero a saettare i nemici confusi e sbigottiti, che :furono sbalzati• da groppa o atterrati dalle frecce. Ne nacque una contusione del diavolo, e intanto, col favor delle tenebre, le porte del Tartaro si spalancarono a inghiottire il carro di Plutone, le altre ninfe e i cavalli dei fedeli suoi guerrieri, esperti nella guerra, nella musica e nell'amore. Soltanto allora H Mongibello si mise a tuonare, eruttando lava cenere e lapilli: tanto ci volle per far rinvenire Cerere, che si trovò col drago accanto e su un letto di foglie profumate. Gli arcieri ritornarono nel bosco e non seppero spiegare nè l'accaduto. nè la sparizione dei fuggiaschi. L'alba so– pravvenne invano; nè Cerere indovinò in quel posto l'esistenza delle porte tartaree. Nè agli uomini nè agli dei, fuorchè a Giove, quelle porte erano note; nè gli stessi pastori, spettatori esterrefatti e in– consapevoli di quel chiudersi e aprirsi notturno, avevano mai sospettato il mi– stero divino del sasso. Di quelle porte si favoleggiava in ogni punto della terra, e chi avrebbe mai potuto indovinare che la bocca del Tartaro fosse proprio ll, in quell'isola ardente e ferace, abitata da molti dei e da molti diversi prodigi? Cerere si straziò le vesti e i capelli, prima di dichiararsi vinta, e ordinò agli arcieri di ritirarsi verso il castello, mentre lei, risalita sul drago mansueto _come un agnello, riprese le vie del cielo per andare a querelarsi al piedi del sommo Giove dell'affronto subito da colui che lei rite. neva uomo e straniero. Giove, per riguardo al cognato che, in fondo, governava un terzo del mondo creato, e per seguire i consigli di Venere, che in quella parte tenebrosa dell'universo non aveva accesso - nonostante i suoi indiscutibili e sovrani poteri - finse di essere all'oscuro dell'avvenimento e si fece raccontare minuziosamente il trucco inventato dal dio del Tartaro, la valentia dei flautisti, il ratto e la sparitione - quasi che egli - l'Onnipossente Giove - Leonardo Sinis~alli presenta: poesie Questa raccolta - Come in dittici - Casa Editrice Maia, Siena - L. 1.200 _ di circa cinquemita versi è stata preceduta da altri due libri ugualmente fitU: si tratta df un lavoro assiduo e, certamente, di una ispi-Tazione ininterrotta Un fenomeno raro nella storia deLI e nostre lettere, una dedizione. disperata e mostruosa. Si può capire tanto ardore avanzando delle ipotesi, fabbricando noi un retroscena o un sottosuolo per oiustificare una carica di energia cosi insolita. Ma al poeta è bastata la sua natura, il suo setltirsi vivo soltanto per esprimersi. Ha allinc>ato qli r>Venti in un flusso inesauribile di parole Un'opera cost seTTata non può essere 1I frutto d1 muminazjoni improvvise, TIOn si giustifica come una scommessa o un miracolo I I poeta ha rifiutato i soc. • corsi delle retoriche pi.U fertili: l'incanto del numera. della simmetria. degli accenti. gli attriti degli oggetti. delle occasioni, della memoria Si è fidato soltanto delle sue capaci.td espres;sive. di una vitalitd insita riel linouaggio (la « v ita acre dei segni nJ, per cui l'ara. besco. che è senza dubbio Vacquisto più glorioso delle pagine più aperte. non è mai 11omenclatuTa o con– t.orno ma diventa es.!o sresso. più che .!,frumento. so stanza spi.Tituale. Siamo, è chiaTo, d1 fronte a uTia poesia colta che scarta il lusso intellettuale, l'enciclopedia. la sublime futilitd, s,. preclude la scoperta fortuita. generica. Quando dico arabasco voglio .'lotti11tendere un'algebra un'ottica, una fisiologia. più che u11a calligrafia. Pen. sate all'iter Cézanne . Matis~e . Klee. al Klee di quella memorabile epiorafe: o Sono inafferrabile. Sono vicino al cuore della creazione più. di qunnto è pos sibile. E tuttavia non quanto vorrei n. P&rchè il poeta rischia in ogni pagiTia di sembrare tnsensato, astruso. assurdo. rischia di non dire niente L'operazione temeraria che egH conduce ha proprio l'indeterminatezza di certe analisi portate sulle quantità sfuggenti. di cc>rtr> indagini al limite della catastro.fe M'era venutn la tentazione di presentare, a per suasione del lettore dubitoso. qualche stralcio. qual che lacerto. e anticipare> /'opr>rn dPI tempo e n(Jr,., di Norenzo Calogero tarla al punto da isolare nella vigna i grappoli in. corrtLtti.b!U. Mi sono subito accorto che non rtuscwa facile resecare le cellule di Un 'tess-uto sempre i.n crescita. Avrei messo insieme un museo, un atlante, avrei raccolto dei fossili o dei cristalli e sacrificata la vtrtù più segreta dell'opera. la sua linfa., la sua veTia, Senza questo tPTisione Il? parole non sono eh~ cadaveTi. Dietro le immagini c'è sicuramente un ststema, una dottrina di cui sentiamo la suggestione. C'è un'idea dell'essere come tremoTe, terrore, catena di eventi fulminei, rotti, casuali; il poeta arriva a cogliere un soffio, una scintilla e a restituircene qualche simili– tudine. Questa partecipazione, questa mediazione viene raggiunta quasi o dispetto della s-ua coscienza.: le sue parole dfst.orte, i suoi nessi incredibili, i suoi lapsus sembrano trascrizione di uno stato di estasi. Egli descrive un sogno c osi miTiuta-mente, lo distrtca come fos,.e un materia.le misurabile, la sostanza di 1m'a1tra vita. pi ù resisten te alla morte. LEONARDO SINISGALLI * Rfm.an,• fra m.e e te Rimane fra me e te questa sera un dialogo come questo angelo a volte bruno in dormiveglia sul fianco. Non ti domando né questo o quello. né come da materne lacrime si risveglia di notte il tuo pianto. Se i tormenti sono t.risti. l'edera non è mattina o si colora Si vela o duole una viola e dondola nube odorosa su l'orizzonte lucido di brina. Ecco quanto di tanta vana speranza resta o fugge rapido o semplicemente, <:ilentement~ .=tccade I carnosi veli. i veli di bruma, le origini stellate assalgono l'aria. le tumide vene delle vie le ore. Non l'eco rimbalza due volte sulle rocce, su questo prato, ove sono rosse, e, di rosso in rosso, è vano il pallido velluto ora rosa ora smosso. Non si parla ne triste né lieto: e presto o tardi, perché a fior di labbro gentilmente nel filo tenue dell'erba tristemente lacerando si risveglia la tua sera accanto, dolcemente io ti domando. * Se p,•esto ·rito,·ni Se presto ritorni ti accorgi quanto a te simili fossero i moti del tuo cuore punti sul vivo. Non più questa quiete oscura ti lascia e passa una gioia e sono (ebbra dello svolgersi lenta è la fine) palpiti immensi: ritornano cinti da acque. immersi alle radici. Riecheggiano e s'accendono, o spengono. Bella con disordine era una guancia. Ell'era o non era nel giorno con furia che passa . nell'alto, o era l'alito degli istinti cattivi. In un fascio di raggi purpurei trecce passarono ove dormono i vivi. Appena sì ridesti l'uno o l'altrf'I e. prossimC\ al tuo nome. che fu cosi povero. è un volo di rondini. un filo verde di un giardino in un grembo. e:i:t rnsi eir>vflnP e'innto alla flne. NORF''170 ,._\, O( !F.RO ignorasse altresl che in quel sasso si spa. lancavano - e richiudevano - nottetem– po, le glaciali porte degli Inleri. Con una bonomia, che avrebbe messo in sospetto qualsiasi altra donna - che non tosse a!flittissima madre alla ricerca del– l'adorata figlia scomparsa - Giove pro– mise che si sarebbe occupato della fae– cenda, e dovette altresl fingere meraviglia per non essere ancora stato Informato dai suoi fedeli e infallibili esploratori nel se– rotino rapporto sui fatti della terra. « In Trinacria, la gente, dunque, con– tinua a rapire donzelle: la vedremo! " minacciò, per consolare l'afflitta; tuttavia ridendo tra J peli della fluentissima bar– ba, al pensiero di Proserpina tra le brac– cia di Plutone - e delle nozze che sareb– bero seguite - e delle frequenti visite che nei domini del cognato (e genero!) aVrebbe potuto compiere in compagnia di Venere. Che scampagnate e quali delizie. al sicuro dagli occhi delle spie! Chiamò servi e maghJ, cavalieri e mo~ stri e li sguinzagUò in ogni do·1e, alla ri– cerca della rapita; e Cerere se ne riparti, alquanto racconsolata, per il suo castello siciliano, essendo ancora le feste in suo onore nel pieno. Ma donna, e quindi senz.a aiuto della ragione, la madre delle btade ordinò ai suoi dragoni di metter fuoco aile medesime, di far invadere i frutteti dalle cavallette. di far seccare e incenerire quella terra opulenta, che si era prestata all'offesa del ratto. Innocente la terra. ma erano altrettanto innocenti gli abitanti? Non doveva a essi l'immeritato affronto? Non avevano essi osato sfidare la dea? E ora non proteggevano i fuggitivi? Per tro– varsi il mare non lungi, immaginò che i ruggiaschi vi si fossero rifugiati e veleg. giassero verso le isole dirimpetto. Nettuno fu obbligato a sconvolgere i mari col suo terrificante tridente, e i pesci si acquatta. rono nelle grotte. e i pescatori languiro– no per fame, cosi come i contadini. i bo– scaioli assaliti dal tulmine e da fiere mai viste prima di allora. In breve l'isola intera risuonò di gemili. imprecazioni e lamenti, e gli ultimi tori e le più tenere giovenche furono offerte in sacrifizio agli dei. Giove. per evitare il peggio, (una pestilenza e la morte per fame di tanti innocenti cosl crudelmente perseguitati dall'ira della dea> comandò allora al fonte Aretusa di attirare col murmure delle sue fresche acque c;lisme– moranti la dea furente; ma Aretusa (cioè a dire io stessa). ormai trasformata in acqua, in odio a Giove, tutto svelai alla torturata madre, potendo testimoniare coi i miei innumeri occhi - serpeggiando le mie acque, dopo la sorgente, nella matrice oscura del '.I'artaro - chi fosse l'autore del ratto e dove si trovasse Proserpina. regina, in attesa di diventare sposa. Oh, come volò, con qual furia si pre. cipitò Cerere alle ginocchia di Giove. e, ora minacciando ora implorando, reclamò giustizia e vendetta per l'oltraggio! Non potendo più dissimuiare, e vistosi tradito, Giove avrebbe voluto punirmi, ma non ero già stata barbaramente punita. allorchè le mie membra si erano disciolte in azzurre acque - dove tu. anche oggi, o viandante, pocanzi, ignaro, ti specchiavi? Gli convenne trasformare la portata del. l'accadimento e insistere sulla fatalità di amore, suscitando le maggiori ire di Ce– rere, a ca1.1sa di Venere - suprema rivale. Ma gli convenne altresl inviare messi e donafry;i al cognato, onde indurlo alle giuste nozze, nel caso l'empio non ci aves– se pensato. com'era. del resto, costume di buona parte degli dei. ammaestraH. dalla sorte stessa di Giove. a restar scapoli il più a lungo possibile. E furono- proprio gli arcieri beffati dai musici del Tartaro a portare le ambasce– rie, e dovettero stupire ancor di più al. lorchè nel sasso del m..onte si aprì un orifi– zio e quell'orifizio si trasformò in una larga e maestosa porta. Si intese ancora il suono del flauto, ma lontanissimo. quasi verso ironico di un uccello nascosto nelle tenebre. E dalle tenebre emerse il trono di Plutone stesso. nella pompa della sua maestà, con al fianco Proserpino., più bella che mai. e solo un poco più pallida per la mancanza di luce e calore. Intorno le ninfe rapite e i loro felici rapitori. 11 capitano degli arcieri recava altresì un messaggio segreto (convenientemE"r sigillato. su foglia di papiro): doversi al latore, cioè .consegnare Proserpina intatta. se la vergine si fosse astenuta, in segn 0 di lutto e di collera, da ogni cibo, durante quella che soltanto Cerere si ostinava a ritenere prigionia. Ma Inigo testimoniò che la bella si era nutrita del succo dei me– lagrani. scoperti nel giardino privato del dio; e, reso immortale dal dio. lnigo potè scampare alla metamorfosi Non cosl il capitano, messo di sciagure, che da Cerere fu trasformato in gufo - e da allora predice disgrazie e morte con il suo verso funesto. Furono celebrate le nozze, (e naturalmente anch~ quelle delle ninfe compagne di Proserpina), alla pre– send di tutti gli dei; e Cerere stessa Vi partecipò. avendo ottenuto dal genero la promessa che Proserpina avrebbe pas– sato sei mesi all'anno nel castello materno. E allora gran letizia si sparse per I cieli, la terra e il Tartaro. e Cerere dovette ricompensare gli innocenti e fedeli abi– tanti di Trinacria con dovizie di ogni ge– nere - e frutti e biade, e uva e gioven– che, La Trinacria esultò. rinata a nuova vita: e. soltanto per ricordo dell'offesa pa. tita dalla dea, di tanto in tanto il Vulcano fiammeggia: sono spari di art.iftzto. anche se naturali. la lava si arresta. prima di toccare le case e gli orti giardini A quelle colate e bagliori. gli uomini rispondono con petardi e fontane luminose - a imi. tare il passaggio delle comete nel limpido cielo dell'isola perPnnemente invaso dalla luce. • R. M. DE ANGELI$

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