la Fiera Letteraria - XI - n. 50 - 16 dicembre 1956

Domenica 16 dicembre 1956 tA FTERA LETTERARIA Pag. 5 . L'ARCHITETTURA E GLI ARCHITETTI * LA GRAJ:.IMATICil * DE.I F _l TT I Neutra ed Aalto a Roma La biografia in piazza * Una cronaca come questa un po' casuale un po' spaesata, avviata quasi per scommessa, deve registrare nel giro di pochi giorni due avvenimenti eccezionali, il passaggio in Italia cli due grandissimi architetti - Che co a fanno i nostri organi di informazione? Di Neutra ed Aalto si dimenticano * di LEOil' IRDO Slil'ISGALLI A Ciampino non scendono più soltanto i divi e gli ambasciatori. Da qualche settimana i jlasches dei fotografi hanno trovato un diversivo: l'altro ieri NeU'tira, ieri Aalto. Ma i nostri settimanali a roto– calco (perfino quelli sofisticati) e i giorna1i cinema– tografici (Incom, Mondo Libero, Universale, ecc.) non si peritane di presentarci l'effige di questi grandi uomini. L'archltettura, si deve presumere, è ancora un'arte per le élites. E il cocktail of!erto dall 'infati– cabile Palma Bucarelli all'a,rchitetto finlandese, dopo il • forno » al Teatro Eliseo, ha· compensato lo scet– ticismo dell'ammirabile Alvar che ha potuto stringere la mano a quasi t,utto il senato inteilettuale di Roma e bere, bere come un personaggio di Conrad o di Melville. La generazione di Aalio è quella di 1 eutra, di Terragni, di Niemeyer, di Saarineu: segue immedia– tamen<te la rivolta di Le Corbusier e di Gropius. Aalto non ha ancora sessaTllt'anni. Nelle schede della critica (Giedion, Zevi, Dorfles) la posizione dell'ar– chi'tetto di Alajarvi è tra le più prestigiose. Ispirato e felice, egli può infischiarsi dei dogmi, può fare di un suo tic una regola, l:gio e eccentrico, affettuoso e severo, primordiale e attuale. Le sublimi case di legno di Cima &,wada che ·ho visto questa estate tra Carn,ia e cadore io le offriJ con tutto il cuore ad Alvar Aalto. Per spiegare a,J ~enato intellettuale ro– mano, sabato pomeriggio, chi era l'c;>SI>ite,Palmina Bucarelli andava sussurrando nelle orecchie un notis– simo refrain internazionale: • La Finlandia è Aalto, come Picasso è la Spagna e Joyce è l'Irlanda•· • Aalto non conosce riposo », andava ripetendo la gentile padrona di casa, • non rimane sempre nelle foreste di abeti e di betuUe. Dapprima prese contatto con l'Europa, dal 1939 tiene un piede in America. Amico personale di Léger, di Arp, di Brancusi. Ammira– tore, ammiratissimo, di Frank Lloyd Wright •. E Zevi citava la celebre battuta di A.alto, a Brancusi che da poco, nel 1939, aveva eseguito un lavoro per un maharajah indiano: • Ora ve'do chiaro, tu stai al crocevia tra As·a ed Eluropa! •· • E tu a eguale di– stanza dall'oriente e dall'occidente!•· Del resto è proprio Zev.ì che ha nella sua Storia rintracciato acu~ente i caraiteni ci,istintivi dell'architettura di Aalto, nei confronti con il razionalismo e l'organi– cismo. C• Non parve vero - postilla Dorfles nel suo Compendio - non parve vero agli organicisti di poter vantare una personalirtà nuova e fresca da associare a quella gJoriosa ma ormad stantia di Wright »). Aalto si trova dunque, a quasi sessant'anni, nell'in– vidiabile situazione del figlio conteso dell'enfant gaté. Le sue opere, il Sanatorio di Paimio del 1931, la Bib1ioteca di Vdipuri del 1934, il Padiglione finlan– dese all'Esposizione di New York del 1939, la seghe– ria di Varkaus del 1945, l'Istituto degli Ingegneri a Helsinki del 1951, l'Uil!iversità di Jyvliskylli, recen– tissima, sono incontestabili capolavoni. Dentro cui aleggiano non soltanto i geni arborei delJa terra natale ma gli spiriti dei grandi numi del Barocco, la temerarietà di Mirò e la follia d,i Borromini. Io non so se qualcuno dei senatori dell'intelligenza ro– mana, al caro, al povero Aalto, triste e assente l'altra sera nella sua umana miserabile invincibile ciucca, avrà potuto proporre una ricogn,izione bor– r-ominiana per la ma<btina dopo. Je m'en fiche, avrebbe potuto ri pendere. E io mi coruvinco sempre di più che le cose vengono incontro a noi proprio quando ne abbiamo bisogno. Una cronaca come que– sta, un po' casuale un po' spaesata, avviata quasi per scommessa, deve registrare nel giro di pochi giorni due avvenimenti eccezionali, il passaggio in Italia di due grandissimi architetti. Che cosa fanno i nostri organi d'informazione? Non se ne accorgono neppure. Che cosa fanno i nostri cronisti, i nostri reporters, i nostri critici? Aprite la radio, i giornali, entrate nei cinema. Antonio Cederna fa il muso ad Astengo, Rogers litiga con Chessa e Cava!lotbi, Zevi tira le oreochie a Paul Rttdolph. E i direttori dei giornali e dei settimanali ignorano Neutra ed Aalto ma dedicano, quotiÒ'ianamente, due o tre o quattro ~olonne (e per:ftno due pagine intere) al processo del– l'Immobiliare contro l'Espresso. In una società di peccatori hanno fortuna i moralisti, gli umoristi. La mer dé!ice !es emmerde11x. LEONARDO SINISGALLI DESCARTES VI TO dal buco della serratura oresso dalle visite" e vide il luogo del suo ritiro •' trasformato in un ritrovo per con– f P.renze ". Tornò allora da Le Vasseur: \a casa divenne •· una specie. d'Accademia", e letterati ed editori lo sollecitavano "a pren– dere la penna ·,. Ci si decide ad essere li– bera li a un solo scopo. quel– lo di stare larghi. Ma poi ci si accorge che era tutta illusione. Ci si ia una ;vil– letta nei quartieri suburba– ni, magari ai Parioli di San Valentino. E dopo un poco d'anni i balconi a mensola delJe palazzine altrui ci en– trano addirittura in casa, oscurano tutto. Si compra l'automobile per allonta– narsi daJJ'intrico della vita urbana, ma l'automobile poi resta là; se la si toglie dal posteggio conquistato con mille astuzie si rischia di non ritrovare più un mil– limetro di spazio. E chi ose– rebbe incamminarla? Si ri– n un ci a all'impiego per sottrarsi alla servitu del– l'orario fisso. del capufficio e così via; e poi. con la libera professione. ci si rende conto che non si ha più solo padrone. ma se ne hanno cento, che l'orario di lavoro non è più di otto ma di sedici ore. e si è costretti a mantenere viva non una e public relation >, ma adularne mille. La con– dizione - la nostra- di "lavoratori a domicilio». ci co tringe sempre ad essere lontani da casa. ad accet– tare commissioni, a tener desta nei nostri conlronti ·un'attenzione che minaccia di spegnersi appena siano fuori di tiro soltanto di un palmo. ... Questi sono inconvenienti d'ordine pratico. Ma quelli d'ordine metafisico sono an– cora più tragici. Suscitano in noi profonde crisi mo– rali. che logorano l'intona– co del nostro spirito Ebe– rale, che ci spingono perfi– no a pensare - talvolta - a una sorta di arruolamento nella legione straniera del– l'anonimato. nel Kolkoz della burocrazia. Altro che indipendenza. silenzio e li– bertà! Vorremmo . fuggire alla fastidiosa notorietà delJe cronache giornalistiche, e stiamo attentis imi a non far nulla che possa caratte– rizzarci. Viviamo, come si suol dire. in punta di piedi. Ma niente: magari ci capi– ta come a quell'uomo di– screto e sobrio che è lo scrittore De Angeiis, schivo Al phonse Allais * SulJa utiità di via.ggia.re. - (... ) E' ben~ sapere qualcosa sui costumi dei ,·ari _popoli per giudka•e ;,iù saggiamente i nostri. e per non pensare che tutto ciò che è contr_o le nostre usanze sia ridicolo e contro ragione, come son soliti fare coloro che non hanno veduto nulla (.. .) • . . e (. •• ) Non appena l'età_ mi _permise d_i u cire dalla soggezi< n<> dei miei precettori. abbandonai compie\ ente lo studio della letteratura; e. pre::n .a risoluzione di no~ cercare altra scienza se non quella che a,·cci ootuto trovare tn me stesso. ovvero nel gran libro del mondo. impiegai il resto della mia giovinezza nel viaggiare, nel vede~ co~ti ed eserciti, nel frequentare genti. di diverso temperamento e diversa condizione. '!el– l'acquistare varie esperienze. nel sag~1are me stesso negli incontri che il caso m1 of– friva. ed ovunque nel riflettere sulle cose che si presentavano in modo da poterne trarre qualche profitto. Dacché mi sembrava avrei potuto trovare più verità nei. ragie~ namenti cbe ognuno !a riguardo agh affari che gli interessano. il cui esito deve P':1- 'lirlo subito dopo se ha errato. che non m Quelli !atti da un letterato nel chiuso del oroprio studio. concernenti speculazioni che non producono alcun effetto. e che non gh recano altro risultato se non fosse quello di trarne tanto maggior vanità quanto più .,, e saranno lontane dal senso comune, per– chè egli avrè dovuto usare più ingegno ed artificio nel procurare di renderle verosi– mili.( ... )•· • Stanco di tutto questo. si rifugiò un tiorno in un altro quartiere, senza avvertir nessuno. Le Vasseur era in ansia quando alflne. per caso. dopo cinque o sei setti– ntane. incontrò il domestico d1 Descartes: " E lo obbligò dopo molte resistenze a ri– velargli dove dimorava il suo padrone. li domestico (. .. ) gli riferì in ogni particolare come viveva in quel ntiro il suo padrone. ed aggiunse tra l'altro che soleva lasciarlo a letto tutte le mattine. quando usciva per eseguire le di lui commissioni. e che spe– rava di ritro\"arvelo ancora, rientran'do ··. Erano allora circa le undici. Le Vasseur si um al domestico ed entrò m casa senza far rumore: •· Sfiorato l'u cio della camera da letto del sig. Descartes. si mise a guardare dal buco della serratura e vide ch'egli era a letto. con le finestre· aperte. il "rideau" alzato, ed un tavolinetto roto!ldo con alcune carte sopra. ,·icino al capezzale. Le Vasseur ebbe la pazienza di osservare Descartes per un certo tempo e vide eh 'egli di tanto in tanto si pone,·a a sedere sul letto per scri– ,·ere. e poi si rimetteva sotto le col!ri per meditare. L'alternativa di queste posizioni durò circa una mezz'ora. secondo quanto potè vedere il Sig. Le Vasseur. Poi, essen– dosi il Sig. Descartes levato per vestirsi. il Sig. Le Vasseur picchiò alJ'uscio della ca– mera come se fosse aggiunto allora "( ... ) •· * Giudizio di Dcscartes sull'Italia e su Ro– ma. - • (... ) Io non so proprio come potete amar tanto l'aria d'Italia, con la quale si respira cosi sovente la peste. e dove il caldo è sempre insopportabile. i) fresco delJa sera malsano. e dove l'oscurità della notte na– conde furti ed assassinii. E. se voi temete gli inverni del settentrione. ditemi quali ombre. qual ventaglio. quali fontane po– trebbero preservarvi in Roma dagli inco– modi del caldo, come una stufa e un gran fuoco ci proteggeranno qui dal freddo (... ) •. «(... ) Il ,·o tro viaggio in Italia mi di. .>ensiero, pe!{:hè è un paese assai malsano per i Francesi. Soprattutto in Italia bisogna mangiar poco perché colà le carni nutrono troppo; ma è pur vero che ciò ha molta importanza per le persone che esercitano la vostra professione. Prego Dio the possiate ritornare in buona salute. Quanto a me. senza il timore delle malattie che causa il caldo. avrei passato in Italia tutto il tempo che ho passato in questi luogbi (... ); m.; forse non mi sarei mantenuto cosi sano (... )• Delizia dei lettori • fin de siècle • per i quali scriveva u.n paio di rac– contini alla settimana su.i giornali dell'epoca, A!phonse Allais ha cono– sciuto un lungo ingiusto oblio, prima di essere rivalutato dai surrealisti. Oggi in Francia lo scrittore normanno - nato a Honfieur n.el 1854 e 1noTto nel 1905 - è considerato uno dei rn.aggiori umoristi de! secondo Ottocento. La sua ironia è asciutia e schiettamente moderna, il suo stile è tag!iente, pirotecnico, essen– ziale. Il suo mondo è una satira del mo– dernismo e dei miti borghesi, vale a dire del Progresso e dei Grandi Ideali con tanto di mai11scole. Allais appartiene alla famiglia dei Twain e degli O'Henry, con in più un pizzico di assurdo. Quel– l'assurdo è i! miglior antidoto alL'ec• cessivo • prendersi sul serio», che è un po' H marchio di fabbrica del no– stro tempo. DESCARTE , dal • Discorso sul Metodo• * Descartes visto dal buco della serratura. - • (. .. ) Alloggiato in un primo tempo a Pa– rigi, presso un amico di suo padre. Le Vas– seur d'E ioles. si stabili in seguito nel ~ fau– buorg, Saint-Germain " per vivere più ritirato •· Ma ben presto egli si vide " op- DESCARTES. dalla Lettera a :\Ier enne dei 13 novembre 1639. * Questi _frammenti sono stati tratii dal • Descartes paT lui-mcme • d1 Samue! S. De Sccy e Paris, Aux • Editions du Seuil •, 1956) e tradotti a cu.Ta di Renato Mu.cci. * Mi dicevo: Quella testa non mi è nuova; ma dove diavolo l'avrò mai vista? Quella testa apparteneva a un giovane decorosa– mente vestito, dall'aria onesta, che cenava, solitario, nel salone di un ristorante notturno. Ma dove diavolo avevo visto quella testa? Una bionda, tutt'altro che disprezzabile. ma Chl doveva la sua doratura alle risorse della chimica mo– derna, si avvicinò al tavolo del giovane, se lo acca– parrò, e senza preamboli gli propose di regolare la sua piccola cena (la sua di lei. beninteso). Un po' turbato ma visibilmente compiaciuto, il gio– \·ane portò la mano al taschino e balbettò: - Certo, certo, signora. naturalmente ma ... posso chiedervi se siete sincera? Il tono con cUi la domanda fu formulata gettò una * di G. B. 17 I (J ARI d'ogni genere di pubblicità. Non sapendo che cosa dire di lui. Berenice pubblica a scadenze fisse, nel suo gaz– zettino: • Visto R. M. al so– lito Canova•· R. M. va al Canova la sera a prendere un caffè. E si trova sul giornale, proprio per que– sta operazione naturale, fi– siologica ed elementare. Come salvarsi? Dobbiamo renderci con– to di un fatto: che tanto più affermiamo la nostra piena coscienza liberale, tanto più ci troviamo pri– vati di questa libertà che è silenzio. disponibilità to– tale di s~. aspirazione a vi– vere in pace e fuori dal branco. Non sono mica istin– ti da giungla o da caverna: è la forma più alta di ci– viltà. che non è certamente quella delle macchine e del collettivismo. Eppure. si osservi come proprio i li– berali più autentici, nel tentativo di qualificarsi li– berali e difensori della li– bertà. siano sempre più co– stretti a imbrancarsi. a vi~ vere nei loro falansterii; e a firmare manifesti, appelli e proteste a ripetizione. E' uno strano destino, quello di una categoria di gente tanto nobile - la quale. singolarmente, mira dispe– ratamente a starsene tran– quilla. a difendersi ed è in– vece costretta a trqvarsi costantemente in piazza, a qualificarsi come cat~goria (che è sempre il contrario delJ'individuo), come classe. e così via, con una presenza che impegna di continuo. senza una pausa. ... E' come tentare di risol– vere la quadratura del cer– chio. La vocazione privata ci spingerebbe magari al chiostro. o alla colonna sti– lita: la coscienz'a civica - che deve pur esse're la no– stra insegna. di liberali au– tentici - ci obbliga alle barricate. Non è un -con– trosenso? Jnlatt.i è impos– sibile tradire i canoni fon– damentali della democrazia, che è l'estremo presidio della libertà. Tuttavia la democrazia è, nel suo pun– to perfetto. la sintesi dei contrari. E la democrazia oggi ci spinge a rallegrarci di una conquista che pro– prio noi non potremmo smentire se non a patto di passare per forcaioli o peg– gio. La conquista è questa: il • diritto di cronaca • è stato ribadito definitivamen– te proprio in questi giorni. Che tremendo dilemma. Che intima e obbligatoria contraddizione, che lacera– zione d'animo. Non siamo giornalisti, non siamo scrit– tori? Non siamo, infine, li– berali? Ebbene. continuiamo pure ad aguzzare con le stesse nostre mani lo stru– mento che domani sia ben temperato per colpire pro– prio noi iJ giorno in cui ca– piti - abbiamo una perso– nale vicenda in corso. no? - di non essere più soggetti. ma oggetti di que– sto diritto integrale a nar– rare nei più minuti detta– gli la cronaca altrui. ... Sicuro. Noi qui cantiamo questa conquista definitiva che accomuna nel giubilo: i giornalisti e gli scrittori a tutti gli avidi lettori di giornali, a tutti i divoratori di notizie, per la quale il cronista come il saggista (perfino il romanziere, nella sua nuova versione neorea– listica e documentaristica) quotidianamente pestano i piedi al prossimo. violano i segreti individuali anche più gelosi e minuti. portano in piazza le biografie anche meno eroiche o romantiche o truculente. I piedi che nel caso par– ticolare sono stati pestati - in nome della libertà più scapestrata. e deHa pubbli– cità trionfante - apparten– gono al siciliano signor Lo– dovico Baradino. Nell'apri– le scorso. questo giovane cittadino di Marsala era stato fermato daJJa polizia. Un giornale bolognese, nel dare la notizia dell'avveni– mento, aveva definito il Ba– radino come e sedicente> ragioniere e. pregiudicato. Naturalmente. il giova• notto se l'era presa molto a ma1·e: la sua reputazione ne veniva conveniente· mente intaccata. Lo spac– ciarlo per diploIT)ato abusi– vo e, peggio ancora, il presentarlo come un vec-– chlo debitore della giustL· zia, poteva rovinargli il credito. Pertanto il sicilia– no querelò il giornale emi– liano. accusandolo di difl4 mazione a mezzo della stampa. Il danno morale, per u,. giovane di iniziativa, si ri– solveva sopratutto in un cospicuo dan.."lo finanziario. La pubblicità data dal gior– nale alle sue Imprese, alle sue disavventure (poi– chè in effetti la disavventu– ra c'era stata, sotto forma di un fermo di polizia, e di un rimpatrio con toglio di via obbligatorio). veniva indubbiamente a compro– mettergli la carriera, l'e– stroso proseguimento di tanti lucrosi commerci. 11 Baradino, ricorrendo al magistrato per la tutela del suo onore cosi brutal– mente dilaniato dal croni– sta (il solito cronista di e nera» che alla sera va in questura. e dai funzionari della Mobile attinge notizie sui vari episodi della gior– nata). riuscì a provare che egli era veramente ragio– niere, e per giunta incensu– rato. Come poteva dunque il giornale pennettersi di fare una cosi scadente pub– blicità sul conto di lui. il– libato cittadino? Andassero a raccontare - questi ma– ledetti giornalisti - i fatti intimi delJa Loren e della Bellentani. non i suoi. di autentico uomo d'affari. In verità l'episodio non era tanto rilevante per via del piccolo screzio coi po– liziotti, bensì per il singo– lare sistema di commer– ciare adottato dal baldo si– ciliano operante a Bologna. Probabilmente il cronista non aveva voluto diffamar– lo, ma più semplicemente s'era lasciato suggestionare dal romantico metodo adot– tato dall'estroso ragionie– re. il quale usava convocare a mezzo di annunzi econo– mici. in albergo, quaranta giovani donne alla volta. promettendo loro impieghi che poi risultavano inesi– stenti. Truffa? Non si so– pravaluti: forse si trattava soltanto di una carica di gallismo, trasferito dalla Trinacria all'ombra della Garisenda. Certamente era sproporzionato il confonde· re questo esplosivo senso estetico di un siciliano pas– sato ai freddi territori del nord con una volgare spe– culazione compiuta sulle il– lusioni di molte inesperte giovinette della generosa terra emiliana. Tuttavia il tribunale, ritenendo irrile– vanti gli argomenti per cosi dire sentimentali, non ha tenuto conto delle rivendi– cazioni avanzate dal giova– ne contro il giornale che lo aveva e portato in piazza », ha rigettato l'accusa di dif– !amazione e la richiesta di risarcimento di danni, e ha confermato in pieno la fun– zione della cronaca, che è un preciso diritto, indipen– dentemente dalla maggiore e minore fondatezza dai da– ti particolari da essa me– <lesima forniti. Questo diritto. di svelare al pubblico i fatti altrui, è infatti un caposaldo della democrazia. la quale ci ob· bliga ad accettare tutti i ri– schi della convivenza. com– preso quello di vedere ri– dotta la nostra vita privata, quando le sfere delle nostre azioni venga a sovrapporsi, anche di un solo pollice, al– la sfera in cui si muovono i nostri simili. Che cosa ne pensa il pub– blico? Il pubblico è oggi più che mai avido di notizie. l giornali, i settimanali. il cinema, la radio, la televi– sione vivono in gran parte di questa sete di notizie. di dettagli suile altrui victn– de, di rivelazioni costanti di ciò che dovrebbe essere riservato e personale. Na– turalmente, esigendo questa perenne soddisfazione della nostra curiosità. noi venia– mo implicitamente ad accet– tare una pericolosa contro– partita: cioè l'eventualità di essere. un giorno o l'altro. noi stessi. gli oggetti di quelle pepate notizie, di quella pubblicità non sem– pre ambita .• • • Poniamo il caso che una sera ci si trovi a passeggia– re pacatamente con la ra– gazza I ungo I viali di ViUa GIAMBATrlS'l:A VICARI (Conttnu& & P&c'. 7) lJ.\T RACCONTO DI ALPII01VSE ALLAIS * PATTINAGGIO viva luce nel mio cervello. Avevo trovato: il giovane in questione era un vecchio compagno di collegio, un certo Ponette, che noi chiamavamo Cocò Ponette, ma come cresciuto! e abbronzato! Rimasto orfano in tenera età, allevato dalle zie, due vecchie zitelle linde e meticolose, il mio amico Cocò aveva serbato di quella educazione un imbarazzo e un candore disarmanti. Si comportava nella grosso– lanità della vita come un bisturi in un accesso. Mi avvicinai vivamente; mi riconobbe; ci stringemmo le mani con calore, e finimmo seduti allo stesso tavolo. - Dunque - gli faccio Jo - hai ereditato, per pa– garti delle cenette simili? - L'hai detto, un'eredità, proprio così. Ricordi mio zio Leverrouillé, di Rouen? Ebbene ... E Cocò Ponette si buttò a capofitto in un racconto che si protrarre dolcemente fino alle cinque del mat– tino. con intermezzi di carni fredde e di bordeaux. La storia dell'eredità dello z.io Leverrouillé è vera– mente curiosa. Nel 1840. a Rouen, il signor Levorrottillé fonda una chincaglieria destinata a prosperare (ma ditemi quale è la chincaglieria che non è destinata a prosperare?). Verso la fine dell'Impero, il cervello del signor Le– verrouillé è invaso da idee di progresso, di scienza, di sfruttamento razionale, idee che lo portano a una ri– forma radicale della sua casa che assume il nome di: Chincaglieria Normale di Normandia. La fortuna assiste i suoi sforzi, e ben presto i bi– glietti da mille affluiscono a mille a mille nelle casse– forti blindate, incombustibili e insganciabili del chin– cagliere progressista. Ammassata una fortuna. e deciso a godersi un ri– poso ben mePitato, il signor Leverrouillé si ritira nella sua proprietà di San Romano. Ahimè quando si è chincaglieri di genio, chinca– glieri si rimane per molto tempo, anzi per tutta la vita. il dèmone della chincaglieria non molla facilmente la sua preda. Leverrottillé, ispirato dalla natura del luogo, inventa tenaglie economiche. pinze razionali. aratri progressivi. e sopratutto un pàttino ... E che pattino! Lo fece brevettare, sotto il nome di • Pattino Nor– male Leverrouillé •· Un pattino come non s'era mai vi– sto, un pattino straordinario, un pattino che anche \·oi non disdegnereste di firmare. Purtroppo. quell'anno, non gelò. E neppure l'anno seguente. (Il destino si accanisce maligno su g!i inventori). Che importa? Sfidando la clemenza del tempo, Leverrottillé si met– te a fabbricare. fabbricare, fabbricare. Non bastando più alla bisogna, fa venire operai specializzati da Parigi. La piccola proprietà di San Romano non è più che un'operosa e vasta fabbrica. Ecco che arriva il terzo inverno, il più dolce: di una mansuetudine da far vergogna ai colombi. Ogni mattina, Leverrouillé scende in giardino e batte con le nocche sul termometro: • Scendi dunque, ma scendi, porco! •· Impassibile. la colonna di mer– curio segnava i suoi dieci-dodici gradi sopra zero; roba da far perdere la testa. La passione sconvolge i cervelli più solidi. Un màttino di gennaio che il termometro era fisso sul 13. Leverrouillé con un poderoso calcio lo manda in mille e più pezzi. Le gocce di mercurio, seminate per terra. tremano a lungo come un muto rimprovero. Pochi giorni dopo, o ironia della sorte, un maligno raffreddore si porta via il signor Leverrouillé. Il mio amico Cocò Ponette si trova unico erede. Accorre, chiamato dal notaio che non gli nasconde la precarietà della situazione. In quegli ultimi anni. Le– verrouillé aveva speso tutto il suo denaro, svenduto tutte le sue azioni. Nelle casseforti incombustibili e insganciabili non furono trovate che delle somme irri– sorie. Invece la cucina, le camere, il soggit'mo. la sala da biliardo, in una parola tutta la casa rigurgi– tava di pattini. Si fece l'inventario: se ne contarono centotrenta– mila paia. Ma vi rendete conto del mucchio che fanno cento– trentamila paia di pattini? No? Ebbene, provate a contarli ... Cocò, desolato, si chiedeva: - Ma che me ne fac– cio di tutti· questi congegni? Anche ammettendo di andare incontro a una lunga serie d1 rigidi inverni. non potrei mai adoperarli tutti ... neanche se mi facessi aiut.ire dai miei amici. Seguendo il consiglio di persone competenti e illu– minate, Cocò Ponette imballa in casse la sua eredità e prende la via della NOl'\,'egia. Un norvegese si offre di provare il « Pattino Nor– male Leverrouillé ». Tentativo che gli costa la trat– tura, in tre posti diversi, della tibia sinistra. In seguito al vivo malumore che segui questo incidente, Cocò fece dei sondaggi in Svezia. Purtroppo la Svezia. proprio quell'anno, era in– vasa da un poderoso stock di pattini, e si sa che gli svedeSi - checchè se ne dka - prefer.iranno sem– pre il pattino nazionale a qualsiasi importazione stra– niera, per ingegnosa ch'essa sia. Cocò si spinse fino a Vardo. sul mar di Barents, ma la Finlandia non ne volle sapere, avendo ancora le sue scorte di pattini intatte. Il mio amico, scoraggiato, se ne torna a Parigi dove conosce un giovane privo di risorse ma duttile, che chiameremo Adolfo. '« Accidenti - dice Adolfo -, non mi stupisce che non abbiate fatto affari nel Nord; quella gente ha tutto quello che gli occorre ». Poi aggiunge con fare misterioso: « lo, io conosco un paese, e vi posso ga– r~ntire c~e? a tutt'oggi non hanno mai visto un pat– tino: capite., un pattino». « E dove?», chiede incuriosito Cocò. « Al Congo ,,, replica quello. Sette giorni dopo, i due soci si imbarcavano per il Congo. Appena sbarcato. Adolfo fu colpito da una brutta malattia che doveva, in pochi giorni, portarlo alla tomba. E Cocò si trovò solo, ammettendo che ci si possa trovare soli con 130.000 paia di pattini. Dei pattini al Congo, griderete voi? ProprJo così. Il « Pattino Normale Leverrouillé JJ che sul ghiac– cio non funzionava per niente, va sulla sabbia come su delle rotelle, e attualmente non c'è carovana che si rispetti .in partenza da Tombuctu che non sia prov– vista di questo ordigno ingegnoso. Ed ecco come il mio amico Cocò Ponette guadagnò un milione, ver– satogli sotto forma di polvere d'ow. di zanne di ele– fante e semi di arachidi. E a mo' di conclusione. quasi per convincermi. aggiungeva col suo solito timido sorriso: « Vedi, per fare del buon commercio non ci sono che i popoli vergini. « Cosl, ultimamente, ho acquistato un lotto im– portante di ventagli giapponesi. e ora parto per venderli ... ,,. « Al Congo? "· « o, in Lapponia"· ALPHO 'SE ALLAIS (tTCld. di N elo Rili)

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