la Fiera Letteraria - XI - n. 43 - 28 ottobre 1956

Domenica 28 ottobre 1956 Giuseppe Giacosa a Torgnon, nel 18114 LA FlERA LETTERART'A' CELEBRAZIONE DI UN CINQUANTENARIO * GIUSEPPE GIACOSA Volto. buono, Giacosa visse anima buona, e amò . vivere * anima di . amico, soprattutto con anima di poeta fedeltà all'arte Pag. 3 * Commemorazione di G. Gia– cose (di Orio Vergani) Riproduciamo i! te– sto de!!a commemora– zione fatta da Orio Vegani · a Coli eretto Giacosa, i! 7 ottobre 1956. Cònsapevolezza dei sogni e delle amarezze quanto egli a~profondisse i suoi contatti con la lettera– tura del mondo, dunque non possiamo dire quali siano i suoi maestri; ma uno ce n'è e questi è un piemontese che non è mae– sbro solo a lui ma a mo!tès– sirni. E quel piemontese, scrittore di infiniti libri. di migliaia e migliaia di pagi– ne. che. come l'abate Pre– vost, sopravvive per una creazione piccola ma genti– lissima, sopravvive come Merimée per aver creato Cavmen, sopravvive perchè un giorno, in una camera d'albergo, pensando d1 scri– vere una modesta comme– dia nel4a quale voleva rac– contare la storia di un p;c– colo impiegato, dei dolori di un piccolo impiegsto, guarda il soffitto, vede dei travicelli e dice: « A!l mio personaggio darò il nome di Travet». Dal legno di quel piccolo travicello nascono tante cose, forse moite d; più di quante ne potesse immaginare Geppetlo quan– do tag1liava il travicello di Pinocchio. Pensate. nasce tutto il teatro veneto. E' un piemontese che ispira Gal– lina. è un piemontese che dice: • Ragazzi. basta con gli eroi. basta con 1 velluti, basta con i capeHi con le ,piume. scendiamo in mezzo alla gente vestila di grigio, alla gente umile. alla 1,ènle che soffre in si'lenzio. 11:uar– diamola in faccia e t:, · ac– corgeremo che que:la ~en– te si;mio noi. Allora n"lla contemplazione del do;ore di questa lil'11anità 6 r,gia noi troveremo la poesia del nostro tempo •· * Signore e Signori, soprat– tutto conterranei, consan– guinei e amici di Giacosa, venendo qui già alcuni an– ni or sono, ho immaginato di giungere in quest'angolo del Canavese ignorando il luogo dove mi sarei soffer– mato. Ho immaginato di trovarmi solo in questa va,1- Je, tra questi a,1 beri, tra queste vecchie case, come un passante e di levare a un certo momento lo sgu,ar– do a una facciata di una casa sulla quale avrei visto l'immagine, non cerflamen,te ignota a noi lombardi, di Giacosa. Dico non certa– mente ignota perchè fin dal1a nostra infanzia, là do– ve le nostre madri ci con– ducevano a giocare in ore serene, nei vecchi giardini di Milano noi conoscemmo il vdlto buono di due scrit– tori che nel nostro affetto e nell1a nostra ammirazione noi coJllochiamo spesso vi– cini: quel!lo di filmilio De Marchi e quello di Giacosa. Vo'1to buono, anima buo– na, anima di amico. anima di poeta. Da questa terra romita ai suoi tempi, isolata ancora in una verità rusti– ca. chiusa tra i boschi e il :fiume, Giacosa visse e amò vivere sempre éon una fe– deltà ohe non ha forse eguale ne 'l.la storia della letteratura nostra. Non mai un distacco, non mai un rancore, non mai un esilio. Se confrontate l'affetto e la tenacia dell'affetto di Gia– cosa per 9uesta sua terra con quello di a1ltri osserve– rete che un legame profon– do doveva unire Giacosa a'1Ja sua terra. Abbiamo vi– sto lo stesso Pascoli stac– carsi daJlla sua Romagna. A!b'bìamo visto ~o stesso Carducci trasconere in Ma– remma soltanto ore di no– stalgia, quasi allontanato da essa dal ricordo degli anni tristi delll'infanzia. Abbia– mo visto un singo~-are roso: Grazia Deledda stessa esi– liarsi da1Jllasua isola e do– verni accontentare di ve– derla come suM' orizzonte, coi suoi monti, con le sue scogliere, con le sue tanche, coi suoi pastoti. purtroppo ;per lungo tempo incompre– sa dal suo paese. Lo stesso D'Annunzio co– sì fortemente. nella sua ar– te migliore, dallle Nove!!e de!la Pescara a111a Figlia di Iorio, debitore verso la sua terra, da essa si stacca ,por– tato nel mondo da turbinose esperienze, da 1icerche ar– dite. da atti eroici, ma ma1 tornato alla sua riva adria– tica. Invece Giacosa sembra connaturato a questi luoghi, Figlio di gente del Piemon– te, :figlio di gente delle mon– tagne, ama 'lo spirito del suo (Paese; suona sempre jn lui il sangue della sua regione. E' qui che da Milano o da Parigi o dall'AmeTica egli torna sempre. Questo ango– lo della piccola patria del Canavese parla in modo in– cancel1abile al suo cuore. Egli qui trova il meg.lio di sè, trova dl focolare, crea la sua famig,lia, vede cresce– re i suoi ftg].i, abbracci·a teneramente. ogni volta che l'inconbri, la madre. Egli è quindi veramente l'uomo buono della sua terra. E dalla sua terra egli estrae, credl>, la virtù più alta del– la poesia sua, che è virtù dell'affetto. della bontà. di que1'la speranza che segre– tamente sostiene anche i suoi personaggi •più melan– conici e più tri&ti, quando egli scoprirà [e verità più amare della vita, dopo es– sere stato. con eleganza di poeta, vagabondo attraverso un mitico paese del medio– evo. Uomo profondamente umano, uomo ,profondamen– te buono. basta a noi che non lo conoscemmo le.e:gere )"opera sua. ritrovare l'ope– ra sua. i suoi epistolari, i ruoi certei:igi, ripensare alle fìi:iure che ei:ili chiamò qui in questa terra sempre per orea,re più solido e p1u va– lido quel vincolo delle ami– cizie a'l quale egli donò la vita intoca e per i:l quale, forse. tanto sofferse il suo cuore. Fermandomi qui dovrei, accanto allla bianea casa di Giacosa, ~-icordare tante fì" gure amiche di lui: da Boi– to alfa Duse bella, giovane, inquieta; ammalata, che ve– Illiva qui a cercare non solo ili ba1lsamo della montagna, ma il confooto di una fra– ternità di amicizia. Donna vissuta in mezzo a tenta– zioni infinite, in mezzo a tutti i tormenti e i dolori della femminilità, essa tro– vava in Giacosa il fratello buono, il consigUere buono, l'amico buono. Vi parlo anche come gior– nalista e prima di ,parlarvJ di Giacosa letterato. di Giacosa poeta, drammatu1·– go voglio dirvi subito con quanta emo1,ione noi gior– nalisti c·i ricot'd!iamo del gio1·na11ista Giacose. Io vivo da molti anni nel!la stessa casa creata da Luigi Alber– tini, dove Jui operò; dove l'eco de!! suo ammaestn:a– mento suona ancora cosi nitido. Ma guardate l'uomo com'è: uessun momento di su,perbia, di a1tbagia, di or– _goglio eccessi,vo in questo scrittore già celebre che scrive (Per il pubblico. che rivolge la propria prosa al ,popolo. Con commozione ho visto che Giacosa non scartava nessun servizio. nessuna fa– tica. Era già uno scrittore celebre e tranquil0amente, se glielo suggerivano, par– ti-va a fa1·e dei pezzi di cro– naca. Una vdlta, scii-ve al– fa fami,gl]ia. non potè esser ,presente a una sua prima perchè andò a scrivere una cronaca sullo scontro delle ferrovie. Dunque, anche in questo. come la gente di questa terra. attaccato a'l suo dovere, al!la sua passio– ne. alla sua missione. Non dimenbichiamo, no i che sori-viamo nei giornali in ogni pagina ma anche nel– le terze pagine. l'ùl'J,umina– zione che 1Prop_rio Giacosa ebbe. quando. nel 1893, cioè più di sessan t'anll!i fa, egli di-vinò quel~a che doveva essere la terza pa.gina ita- 1iana, cioè un'autentica glo– ria del giornalismo nostro. La terza pa-gina che -porta alla comunione del pubblico i problemi de!1l'a,Jta cultura. dell'arte. del costume: che accosta alfa cronaca della politica e delJa vita iq pen– siero dell'-arte. Fu egli' che .s.ognò per primo in Ita•lia di dare a[ pubblico la terza pagina e fu poi egli, dopo un disinganno breve, che per merito di Luigi Alber– tini potè fondare quella ri– vista aMa quale dedicò g:li ultimi anni della sua vita e della sufi. fatica, quella Let– tura che, sulla traccia di quanto egli aveva insegnato a1l'amico Renato Simoni, continuò con tanta fermez– za la propaganda dell'intel– J!igenza italiana. , Non possiamo dimentica– re che noi tutti che. scri– viamo oggi e che siamo tra i cinquanra e i sessant'anni, siamo un poco nati nel cli– ma di questa vecchia ri– vista: La Lettura. Non po– tevamo arrivare nella no– stra adolescenza a quella Nuova Antologia che aveva racco1 to tante belfle pagine de1 Giacosa; ma La Let– tura. proprio per ispirazione sua, giungeva nella famiglie e i grandi scrittori che noi .,on ootevamo conoscere at– traverso il libro o attraver– so il teatro ar1ivawmo. ma– gari di nasco to sotto il banco di scuola. a noi ra– _gazzi ed era Giacose, sem– pre lui, che Ci permetteva questo contatto. Si è fatto oggi il punto sulla storia del teatro con– temporaneo e del'l'arte con– temporanea in rapporto al– l'arte e al tempo di Giacosa. Bisogna farfo questo punto, * di ORIO VERGA.NI bisogna sùudiarlo non con il tono di una leziane cri– tica, nè con i,l tono di una min~iosa cronaca. I cin– quantenani sono sempre una scadenza pericolosa. sono un traguardo dirficile. Uo– mini partiti in piena gloria si fermano al p:rimo pila– stro. La generazione che se– gue a quel!la che ha decre– tato i trion:fi è sempre pron– ta al processo, alla condan– na. Non c'è scrittore che nei decenrti che seguono la sua morte non debba essere portalo. se non in Cassa– zione, almeno in Pretura. •(Giacosa era un buon avvo– cato e avrebbe saputo di– fendersi). 1'l limite di cin– quant'anni è già quello che permette di sta•biJire se lo scrittore entra o non entra nella C'!assicità. se la sua prosa e la sua poesia ap– partengono all'occasione. al– la contingenza, al gus{o, al– la moda, o se contengono in sè quailcosa che garanti– sce il cammino verso una e te r n i t à. Abbiamo visto quante discussioni haono seguito la morte anche di quantenai'io un'opera vasta e. bisogna dirlo, nei.la mag– gior parte vi tale. Io non voglio essere un imitatore di Vincenzo Morel'lo e qui, tra queste sue case, scende– re in piazza e, cc,me Morel– fo disse: « Difendo Corrado Brando», dire: « Dilendo la Partita a sca.cch.i ». Non è necessar.io che io scenda a difendere la Partita a scac– ch.i e con essa buona parte del teatro romantico di Giacosa. Nema proporzione sua la Partita a scacch.i è veramente espressione feli– cissima del suo tempo e del suo sentimento poetico. Era il mondo del romanticismo postremo, era il mondo di un'Ita1ia che. non posseden– do profondamente abba– stanza la fi'losofla della pro– pria inquieta storia. si ri– fugiava nei miti, soprattut– to nei mi ti eroici e nei miti soavi del Medioevo. Era la opera in cui si condensa– va tutta la poesia di una ,generazione la quale aveva -vissuti ore di sangue. ore ·di tristezza, ore purtroppo anchf di delus~one e di Giacosa e Giovanni Verga sommi scrittori. Rammen– tate le polemiche pernino contro Manzoni; rammen– tate quella specie di pausa, di obllio, che ha seguito la morte di Carducci: ram– mentate le polemiche piut– tosto dure, a non più di die– ci-dodici anni dalia morte di Giovanni Pascoli; ram– mentate quasi il senso di disprezzo con CUi per un certo tempo si è trascurata, in Francia. l'indiscutibile gloria. di Emilio Zola. Dunque, cinquant'anni so– no un punto d'arrivo molto difficile e questo Giacosa arrivato al t,raguardo del mezzo secdlo che oggi è tanto più lungo dei mezzi secoli di un tempo. perchè i'l mondo corre veloce, stn:i– tola. polverizza glorie, cele– brftà, questo nostro Giaco– sa si presenta al suo· cin- scon.lltte. N ricordo deg,li avi, il ricordo degli ante– nati. H ricordo delle genti semplici e dei monti, da questi monti scendevano verso le terre delle pianure del Piemonte per prncla– mare da queste Alpi la ne– cessità di una patria sola. Il ricordo di queste figure che sembravano quasi fil– trare dalle mura di vecchi castelli. non era solamente di Giacosa, ma era di tutto lo spirito italiano e avere intevpretato questo spirito fu il segno di uha grande illuminazio.ne poetica del nostro scrittore perchè, a differenza del teatro ro– mantico, per esempio, di un Carlo Marenco che lo h& preceduto. a differenza del teatro di una Roma verbo– sa, magniloquente come quello del Cossa, il nostro Giacosa. nell'età degli in– canti, neWetà in cui vera– mente si è poeti, ai. 23 anni che sono quel!li di RimbaLtd, di Dante e di Leopardi, quelli defi& Vita Nuova o quelli dei Canti. esprime questo suo piccolo ma in– cantevole canto. Pochi anni !Pt·ima i-I leone di Maremma aveva ruggito con La Va– poriera, con l'Inno a Sata– na. Giacosa forse senza sa– ,perlo rispondeva con que– sta canzone. con questo ac– cordo di liuto, con questo lume di ca:pellli biondi. Egli, nelol'impossibili tà di crede· re ancora a una realtà che non si era falla omogenea, che non aveva &ncora espresso un costume socia– le, credeva almeno in una dolce cosa che era la favola del Medioevo. La Partita a scacch.i è prop1 io in un mo– do inegu$gliabile l"ullima delle beNe favole scritte accanto a un caminetto mentre la fiamma Si river– bera sui ca,peJlli deH'inna– morata e mentre J.'innamo– irato si specchia negli occhi tanto belli (è detto con una semplicità estrema), di Io– landa; per cui se ci può stupire una specie di assen– za di Giacosa a1la visione di un mondo che in altre terre faceva nascere pochi anni dQp0 Nanà di Zola e che pochi anni prima aveva fatto nascere la Bo– vary di FUaubert, non b;so– ,gna di questo fa re colpa al - lo seri ttore. 1n Francia dove nasceva il naturalismo esisteva uno stato, una società, un co– stume orma; antico. Noi eravamo un'assemblea di regioni ancora ma-lamente amal,gamata. Eravamo. sia .pure a1ìtraverso un 'dn :fi.ni ta ,grandezza deJl!o spirito di alcuni singoli, eravamo an– cora provincia. A questo ci aveva costretto una storia di um'iliazioni e di dolori. Giacosa ha fatto quello che chiunque altro avrebbe !f<1tto; ha oanite:to con entu– siasmo quelllo che il suo cuore di giovane ,poeta g.\i S'U'.ggeriva. Ma non bisogna nemmeno dire. come fece un grandissimo critico, che egli fosse cdl suo teatro rom.an: tioo solamente nel mellodramma; eg,li lo era in tutti i momenti. 111melo– dramma quasi l'inteTo se– colo; melodramma è la pit– tura del Q'lladro storico an– che di pittori grandissimi, come il Ruffini, c·ome il Cremona, che presentano i personaggi loro come una specie di ribalta scaligera; melodramma petsino i mo– ,numenti. Però fra melo– dramma e poesia. sia pure la lieve e soave poesia del nostro Giacosa, la differen– za è grande. La sua non è maniera, la sua non è reto– rica. il suo non è mestizre; eg,Ji (e questo è giacosiano veramente) egli crede. cre– de in queste cose, vive in questo ambiente, va esplo– rando i casteHi qui intor– no. predica i loro restauri.., vive in castelii che oggi so– no castel-li ma al4ora erano catapecchie. lui sfida entu– siasta ogni rischio, ogni fa– tica. ogni pericolo. trascina amici, si fa propagandista delOe bellezze di questa ter– ra perchè le beNezze della sua terra e del medioevo deHa sua te1Ta sono le bel– lezze che lasciano ranta traccia nel suo spirito. I giorno in cui la società comincia a formarsi, a chia– rir-si. a deflni·rsi. attorno a lui. eg'li dimenticherà le ca– stellane e i trovatori e i trovieri fra teli i d'arme e guarderà più prnfondamen– te aifil'uorri~. I suoi biografi ricordano questo fatto ma non lo met– tono, mi sembra. abbastan– za in rNievo: Giacose. for– se, non ebbe maest1;; in un certo senso egli benché i suoi studi fossero stati ot– timi. è un autodidatta. Di– venta uomo di lettere dopo aver studiato legge. Non so Bersezio non ha fatto una filosofia de!Oa propria a:-te, ma tutti l'hanno com,pre:so ed e da ~u; cne, in un se– ·co1o che ha una letteratura un po' dispersa nelle sue fotenzioni, si determ:na quella corrente di alta sim– patia umana che finalmente prende da Giovanni Verga il nome dei vinti. Nasce il rea[ismo italiano certa.-nen– te anche attraverso !"inse– gnamento dei francesi, ma attraverso l'insegnamento del contatto di tutti i g10rni alla vita dei nostri ital:ani. Finalmente sono gli italiani che vengono alla ribalta, non più in costume, ex sol • dati. ex garibaldini, ex combattenti obbligati a la– vorare ,per conquistarsi un posto al sole. E mentre iél ~ezione di Bersezio per vie sottilissime, a gocc,a él goc– cia, giunge a fecondare ; grandi cam-pi del natura1;– .smo, le grandi foreste ctel natura'lismo di Verga, tocca anche in via diretta 11 -e.:i– tro. come Vi ho detto cor, Gallina e poi finalmente coi due ma~giori scrittori à, teatro delfil'epoca: con P.aga e con yiacosa. Lo stacco di Giacosa dai suo mondo romantico non è 'Un rinnega<re il fervore poe– tico deJoJa giovinezza, è il raccog1limento dell'uomo maturo che conosce Ol'ìl).ai a fondo non so'ltanto i sogni deUa giovinezza ma i dolo– ri, i pesi, le amarezze d"lla vita. Quest'uomo vede na– scere intorno a sé, ai posto dei grandi borghi che era– no le nostre città di settan– ta o ottant'anni fa. vede sorgere la singolare grau– dezza di MiiJano non ì)iù grande città di provinc:a, ma metropoli. Vede ingran– dirsi, sia pure nella deiu– sione di non essere 01u \a capitale. Torino. Vede in– somma sorgere il mon<lo del'la borghesia italiana. Ed egli si specchia in questo mondo. lo interroga. 'lo in– dal(a. EE!li non segue il metodo di Zola, non è u.i uomo che faccia delJe 1n– chieste. E' un giornalista ma non è un reporter pe~ la sua art.e. I moti vl gli giungono per le mist?riose vie del l;.!!ntimento. come a=unto giungono ai poeti. EE!li non cerca gli spunti nella cronaca: li cerca rien– tro di sè. nellle proprie ve– ne. nei Pl'O'!>ri nervi, :n ouello che ha sofferto per gli amici. in ouello che ha offerto per !"umanità inte:·:ci. Ed ecco nascere. aooare'.l– temente tardivi. ma sempre in ohbeclienza al suo soirito ori"i,,ario P<'Col'!iun!!ere la ora d: anelli che a sessanta anni di disf an7.a. non solo a cinouanta. nni oossiamo de– fi.nire ; caioo1avori di Giaco– sa. in un certo senso le one– re terminali. ]p opere limite <iPl teatro itali;ino dell'B~O: Tristi omori P C:nme lp fo · aHP. L'~nno "~""'~tr, nupc:.t ~ uH;m? r-n.or. , ò 1•:t,.wn.,tR,. ~,. ORIO VERGAJ\'1 (Continua. a. pag. 4) Giuseppe Giacosa con Edmondo De Amicis ITINERARIO DELLO SCBl'l'TOBE * III caloredella suaanima nell'operae nella vita * di PI.ERO NARDI Questa l'ha raccontata Renato Simoni, nel suo volume « Gli assenti>. In trib:.t– nale, a Ivrea, si discuteva una causa a proposito di un cavallo. Il proprietario di questo si chiamava Fernando Poggio; e il suo avvocato era Giuseppe Giacosa. Il quale stava così poco attento al dibat– tito, che il cliente lo fissava stupefatto. A un certo punto i loro occhi si incon– trarono, e ]'avvocato, come se obbedisse a un richiamo della realtà senza riuscire a sottrarsi a chi sa quali fantasie, si tro– vò a balbettare tra sè e sè un martelliano, diventato poi, con una vocale mutata, ce– leberrimo: « Che hai, pog,gio Fernando? Mi g:iardi e non favelli?». E' di qu~Ii episodi che esprimono in sintesi una si– tuàzione. Strappata la laurea in legge nel '68, entrato praticante nello studio che suo padre aveva aperto a Torino lasciando la magistratura per l'avvocatura, il tra– sognato, futuro prossimo autore di « Una partita a scacchi -, ( « Che hai, paggio Fernando? Mi guardi e non favelli? >) an– dava di tempo in tempo alla Cancelleria della Corte d'Appello a studiare i pro– cessi e a prendervi delle note destinate a servire per le arringhe paterne; ma gli accadeva spesso di scrivere le note in martelliani, che voltava in prosa, prima di consegnarle. Una volta, per fatale di– menticanza, consegnò addirittura i mar– telliani. Si trattava della deposizione di un teste, in una causa d'assassini, e i versi parevano prosa, perchè scritti di seguito, senza a ca,pi. Giacosa padre, nel corso dell'arringa, volendo rendere edotti i giurati della deposizione che conosceva solo da quello che il fi,g!io gliene aveva detto ora! man te, prendeva a leggere la nota. Gli pareva, sì, d'avvertire una cer– "ta cadenza, ma non ne veniva subito in chiaro: giunto però a certo "nefando spettacolo", messo li per la rima in "an– do ", capì, e dovette impegnarsi, nel se– guito della lettura, a sconnettere i versi, perchè i giurati. avvertendo la forma poe– tica non si credessero presi in giro e ar– rivassero indisposti contro di lui al ver- detto. Questa l'ha raccontata Giuseppe Giacosa medesimo il quale ha anche rac– contato che, a casa, suo ,padre ne rideva con lui, ma finiva col dirgli che il meglio fosse fare una cosa sola: o l'avvocato o il poeta. Di liriche, il poeta era venuto riempien• do fogli e q,uadoern.i per tutto il periodo degli studi ,ginnas,iali, liceali, universitari, e dopo la laurea aveva anche tentato la forma teatrale, in prosa con un bozzetto drammatico (AL pianoforte) e con un pro– verbio in tre atti (Citi !ascia !a via vecchia pe-r I.a nuova sa quel che lascia, non sa que! eh.e t-TOV<l), e in versi con l'atto in marte1liani Una partita a scacchi. Furono queste ,prime prove a persuadere il padre, il quale a,veva scritto a sua volta molte poesie in giovinezza ma a,veva finito col fare solo l'avvocato, che il destino del fi• gliolo potesse essere dalla parte della ;poe– sia? Fatt'è che agli inizi del '72, giusto l'anno dopo la composizione di Una par– tita a scacch.i, Giuseppe aveva da suo pa– dre il permesso di starsene alcuni mesi in solitudine creatrice a Colleretto Parella, nel Canavesano d'Ivrea, nella casa di cam– pagna paterna, dov'era nato, ,n 21 ottobre 1847, e dove erano stati continui i ritorni di lui, per le vacanze, durante gli anni di studi a Ivrea, a Modena, a Brescia, al tem– po dei mutamenti di sede di suo pad1·e quale magistrato, e a Torino. Periodo di esperimento, durato sei mesi, a'1 quale dob– biamo due proverbi drammatici, A c8n che Lecca cenere, non gLi fidar farina (un atto in martelliani) e Non dir quattro se non !'hai nei sacco (un atto in prosa), e !a più ,gran parte del primo lavoro di ampio respiro. la commedida in prosa La gente di spi-rito in cinque atti, diventata più tar• di La scuota del matrinwnio, in tre atti. Che l'esperimento ap,pariisse tale da con– oluderne che il giovanotto avesse a far so– lo il poeta, non sembra: perchè, dopo i sei mesi di Co1'leretto Parella, egli torna-va, per quanto più svoglia,tamen~ che mai nello studio paterno. Ma prima che l'an: no finisse, e cioè il 16 ottobre e il 18 di– cembre, rispettì-vamentet con A can clte lecca cenere, non gH fi.da: r farina e con m1a

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