la Fiera Letteraria - XI - n. 16 - 15 aprile 1956

Domenica 15 aprile 19~ LA FIERA J~ETT-E-R-ARfA Pag. 3 * GAJLJLlERI_A\ D lE JI I1rAJLIANI * ' GIUSEPPE RAVEGNANI Una penna che ci t'a sapeee come e quando ci ha visli Senso riimisu1 1 aili eq11iliu1 1 o di' GIACOMO COMISSO di A~TO!UO BALDffil La prima lode che va fatta a Giuseppe Ravegnani per la sua lunga e appassio– nata pratica di critico letterario è di es– sere riuscito sempre chiaro e di una qua– si direi affettuosa famigliarità, come chi nel trattare degli scrittori suoi contem– poranei si sente persona di casa e non ha invece l'uzzolo di sentirsi alto in catte– dra: e già questa non sarebbe per me scarsa lode nella presente stagione Ji bur– banzose e fumose problematiche per le quali tanti critici pensano di farsi un me– rito proprio dello esprimersi distaccati e asciutti. Niente fa il nostro Beppe per mascherare agli altri e a se stesso il grandissimo piacere che gli procura il fatto di avere una penna in mano che lo aiuti a farci sapere come e quando ci ha visti! Non è solo per dichiarare apertamente la mia riconoscenza di avere giudicato i miei libri, e la mia stima versa. Giuseppe Ravegnani, che partecipo a _questo atto di omaggio. Desidero partecipare sopra– tutto per dire che oggi egli è il solo criti– co valido della ndstra letteratura vivente. AHermalosi trenta anni addietro per avere tenuto a battesimo quella lettera– tura sorta dopo la grande guerra. conva– lidalo nei suoi giudizi di allora alla con– troprova data dal tempo, oggi è sempre al suo posto di giudice vigilante, pacato e preciso verso le nuove opere dei nuovi approdati alla selvatica isola della fan– tasia. Ma si deve tristemente constatare che per ignavia e distrazione umana, non cor– risponde al suo posto ideale di giudice, un posto reale di dove egli possa fare sentire con quotidiano risalto il suo giu– dizio chiarificatore. Giu eppe Ravegnani per il suo senso di misura e di equilibrio dovrebbe avere non le solite due colonne d'una terza pagina . (che non ha) ma tutte le pagine di un giornale dove fare sentire il valore esatto non solo di quanto si scrive, ma di quan– to viene vissuto. ANTONIO BALDINI GIOVANNI CO"1ISSO DI LA' DALLE PAGINE Ilcontemporaneo R v ~nani di ALF01'"SO GATTO Su un vecchio numero de < La Diana •• la rivista di gusto crepuscolare post-vo– ciano che dirigeva a Napoli Gherardo Marone, ho letto una poesia ferrarese di Giuseppe Ravegnani, degli anni In cui l'autore era giovane, come lo mostra il ritratto stampato sulle stesse pagine. Non ho detto per caso < poesia ferrarese>: l'aria di quella lirica era di casa, d'una casa .familiare, rustica, a solatio, ove abi– tavano anche Govoni e De Pisis, ove Tad– dei, il piccolo editore di provincia, s'an• dava facendo un nome che sarebbe rima– sto nelle cronache letterarie e nella me– moria dei buoni amici della poesia. La pittura metafisica nasceva a Ferrara tra le.pareti di un'astanteria ad opera di quei due coscritti in osservazione che si chia– mavano Carrà e De Chirico. Funi, pro– prio in quegli anni, mordeva il freno del– la buona pittura, a un passo dall'accade– mia e dall'allegoria. Era palese in tutti, é nei modi più diversi, dal post-impres– sionismo di De Pisis al felice ma.cchiaio– lismo di Govoni, agli Incanti fermi dei metafisici, agli smalti di Funi, un biso– gno di qualificare la materia dell'arte, di renderla viva e significante con gll ac– centi della p~opria evidenza: un'istanza, In ultima analisi, di ottimismo, di gem– mazione per fiori che avrebbero dato ah– che frutti e non soltanto· l'odore di un tempo passato e perduto. Nelle città che sembrano fondate nel tempo come Ferrara, anche le più labili apparenze della vita e dell'arte, i capric– ci stessi della fantasia, s'impreziosiscono di intrinseca durevolezza. Per qifaiito di– spersive !lOSsano essere le tecniche di un De Pisis o di un Govoni, mal giocano sul• la casualità decorativa o, peggio, sugli effetti. Ravegnani ha rifiutato le poesie degli anni di cui andiamo discorrendo, ma non potrà mai ignorjirle per quanto l'hanno deciso al destino di critico e di storico dei suoi <contemporanei>. Sol– tanto la complicità e la congenialità col nuovo linguaggio, di cui egli stesso sag– giava le resistenze, gli inceppi, le i,:ige– nuità e insieme le fatlcate forme raggiun– te, potevano dargli quel crisma d'auten– tico intervento sulla storia che si va fa. cendo giorno per giorno, di cui egli, quan– to alla letteratura, condivide con pochi altri l'onore e il merito. Si può dire che Ravegnani rinunciava alla sua poesia per quanto avvicinava in sé, necessari gli uni agli altri, il suo rigore critico e la sua confidenza con l'opera e gli autori, la sua informazione e la sua economia di stori– co, il suo appropriato suggerimento di giudice che edifica il codice di cui si ser– ve e non soltanto lo applica. La nostra età letteraria ha avuto bisogno, più che di teorici legislatori e di esecutori tra lo– ro distanti, di giudici in atto che fossero pronti a saggiare la propria capacità di gusto e di scelta su un'estetica in movi- mento alla quale i canoni e le prettisli– che rischiavano di dare armi talmente li– -berali da essere estranee ad un'apf>roprla– ta maieutica della poesia. Ravegnani è stato uno di questi giudici in atto. Nell'ultima opera in due volumi, « Uo– mini vi ti>, che ha meritato il « Premio Viareggio>·, di1,ei che Ravegnani ha pro– vato a allentare il morso d'ogni cautela per ritrovare allo scoperto i rischi della sua partecipazione all'opera e alla figura degli scrittori per i quali si appella - an– che per i giovanissimi - a ricordi perso– nali, ai segreti intimi di una corrispon· denza o di, una vicinanza avuta con loro. E il modo con cui nello svolgimento e nel farsi stesso della simpatia e nell'andiri– vieni della caratterizzazione umana e sto• rlca del personaggio egli via via suggeri– sce i motivi del giudizio che farà suo, è quasi sempre un modo di fermare nella indulgenza una sua convinzione della con– temporaneità rasserenata alfine da ogni usura. La sua affabilità si fa amara per la mancanza d'ogni presunzione più o meno solenne, nell'immagine di una società let– teraria piccola e autentica, che vive quasi clandestina ai confini della storia ufficia– le, una fraterna edificazione di amici che si ritrovano a riconoscersi quel poco di buono che hanno fatto. Dare della contemporaneità questa umi– le precisione di < cosa vista> significa renderle un ambiente, un costume per tanta parte perduti ove i testimoni non ne lasciassero, piìi che il documento fred– do di ,er sé, l'aria, le parole, e persino i fumi innocenti. Si guardino, nel primo volume, ai ricordi di Papini, di De Pisis, d Panzin, di A.G. Bragaglia, di Annunzio Cervi, di Fracchia (un'appassionata cro– naca del giornalismo letterario): si guar– di, nei cinque saggi, a quelli su Govoni, Moretti e Manara Valgimigli. Si troverà che questi stessi scrittori-personaggi, di là dalle pagine loro dedicate. vivono in altre pagine ed in altri ricordi. continua– mente." E, ove più partecipino della storia comune, o\le siano più criticamente pro· vati dall'esperienza letteraria e meno am– biscano a miti personali (i saggi, i • ri– cordi>, le < nòte >, dedicati a scrittori po– veri di tradizione letteraria e colorati di leggende autonome sono poco persuasivi e perdono quasi sempre misura) Rave– gnani riesce a darne un'immagine singo– lare e Indimenticabile. C'è ancora ne! no– stro vec0hio e caro l.!ritico e amico - a ras– sicurarlo d'ogni mancanza di donchisciot– tismo. - l'intima convinzione di non sal– vare la patria letteratura, ma d1 aiutar– la a ritrovare tra la varietà delle ricer– che e delle testimonianze quel ritratto ohe la dica viva del la ~'oro e della fede di tut– ti noi. ALFONSO GATTO . Le~gedo vuol dire riconfol'lal'ci nella fetleltà di E~nu_;o. ElUA!\UELLI Vm 1 io, cordiale, roncrelo amaloseri Ho re checritica di GUIDO PIOVE~E Giuse1>JJeRavegnani, al suo tavolo da lavoro Il recente libro di Giuseppe Ravegnani, intitolato Uomini visti, si compone (come tutti sanno) di due tomi. Il secondo, che potrebbe anche andare sotto Il titolo Uo• ·mini letti, tocca da vicino molti autori, compreso Il sottoscritto. Per questo par– larne sarebbe anche di cattivo gusto. Ma resta il primo ed a quello va la mia disinteressata simpatia. Leggerlo vuol dire riconfortarci nella fede! tà letteraria. Sia che narri di Baldini o di Papinl, sia che dica d'un incontro milanese con Fracchla o d'uno scontro con Bragaglia, sempre è pre• sente un'atmosfera che ci fa capire come il nostro lavoro non sia vano o precarlo. Tanti nomi ed avvenimenti cosi vicini a noi he! tempo rivivono nel ricordi e nel giudizio di Ravegnani con quel distacco che dà loro tono di storia duratura. Libri di tal genere dovrebbero concor– rere a formare una < società letteraria.> non più chiusa tra lo snobismo salottiero o la partigianeria campallnlstica; e vo– gliooo e si meritano Il nostro ringrazia• mento. Ma da noi sono rari; ed anche per questo quello di Ravegnani rimane un esem,pio eccezionale, direi quasi corag• gioso. Gli scritti critici di Giuseppe Ravegna– ni sono vivaci, ricchi di personaggi. Egli ha il dono di trasformare ogni scrittore di cui parla in un personaggio parlante del mondo letterario. E' vario, cordiale, concreto, ama Jo seri ttore che critica, an– che se Il giudizio è contrario; crede nella letteratura. Perchè partecipa all'opera de– gli scrittori, ne indovina anche ,e inten– zioni; non è settario; non si lega a una poetica ristretta. E nemmeno v'è In lui quella pretesa disperata, che consiste nel voler vedere la nostra opera con lo sguar– do del postero. Preferisce spiegarla, dar– ne il panorama intero, che grazie alla sua penna di critico-narratore risulta ameno e fertile. E' talvolta troppo indul– gente, troppo pronto a far credito, ma si tratta di un vizio nobile. La sua critica è utile al lettore, e sarà utile a quelli che verranno dopo. Vi troveranno, esposta con sincerità, senza il minimo pregiudizio. l'o– pera di alcune generazioni. Toccherà ad altri Il compito di sfoltire e potare. ENRICO EMANUELLI GUIDO PIOVEl'<'E . '. Cari lllCOntri IL RICORDO D'UNA ,·ocE ELEGIACA per letter~ e di persona Ritratti cr tici non accomoda * ADRIANO GRANDE di FllA.'\'CESCO FLORA di Nel c~rso di alcuni de·cenni 'ma. al pari di pochi.altri (et- vecchie liriche. Anch'egli - ho avuto, con Giuseppe Ra- teratl d'eccezione, una perso- come tutti gli scrittori della ,·egnani, solamente dei rap- na vivente quasi per isbaglio sua e della r.iia generazione porti epistolari; gli stessi rap- nel nostro tempo, del tutto - aveva subito. con l'ultima porti che egli, attento scruta- fuori dalle mutevoli e rlbol- guerra. delusioni cocenti, do– tare dei nuovi <movimenti> lenti vicende dell'epoca; una lori, miserie: e stava fatican· letterari - e specialmente, per specie di monaco. esclusiva- do a < ritirarsi sù > in am– vocazione. delle ricerche poe- mente preso da interessi in- bienti grossolanamente osti– liche novecentesche -. aveva tellettuali. Immagine, que- li. dove troppi s'eran scorda– con i nove decimi degli scrit- sta, che in parte corrisponde- li. a bella posta. quanto egli tori nostrani. sul conto dei va nlfa realtà; giacché anche aveva fatto anche ocr diversi quali forse nessun critico ha Ravegnani. effettivamente. è di coloro che. nella moda del scritto. e con altretta!e acu- da annoverare tra lo scarso momento. quegli ambienti tc1...za, quanto ha scritto lui. numero di uomini di gusto e dominavano. Di tutto ciò. Ra ct>me ne fanno fede I diversi di cultura i quali tentano tii vegnani parlava con distacco volumi dei e-Contemporanei», mantenere desto ne-Ila gran- e senza rancore nè stupore. vera miniera di equilibrali de massa dei lettori di quo- rivelando, più che tolleranza. giudizi e di precise. aggiorna- tidlan( e di «illustrati> l'a- addirittura misericordia. In tissime notizie. more - tanto fievole. in Ila- altri incontri. qua e là per l'I- Rammcnto che quando use! lia - per le gratuite ed or- talia. mi capitò poi anche di nelle edizioni del <Baretti> native faccende dello spirito. vederlo e ascoltarlo nella (1~27). la mia prima racco!- Quell'Impressione doveva funzione dell'oratore - confe– ta di liriche in verso e in pro- coreggersi - perfezionarsi. renziere o presentatore di. sa <Avventure>, egli fu uno cloè "- quando. nel 1951 mi scrittori - e ritrovai nel suo dei miei più pronti e generosi pare. ebbi finalmente occa- tono. in quei momenti quasi recensori; e che il suo sensi- sione di conoscere Giuseppe pudicamente sorvegliato. co– biie interessamento al mio la- 'Ravegnani anche di persona. deste qualità di animo e di v.oro continuò a seguirmi per nella sua accogliente casa mi- cuore, strettamente intreccia– quasi tutti i miei libri succes- lanese, dove gli eventi bellici te con la perfetta informa sivì, allo stesso modo che ha lo avevan fatto trasferire zione e la generosa adesione seguito il lavoro degli 'altri dall'amata Ferrara. Casa ed alle fatiche artistiche dei poeti italiani. maggiori o mi- ospite mi si mostrarono subi- suoi e contemporanei>. nori. sino ai più recenti._ La tb. con evidenza. saturi di li- A proposito di questi ulti– nostr'! corrispondenza .• ,noi- bresca atmosfera; _ma. nell<? mi. infine. va detto che l'ope– tre .. s1 alimentava. d_1_quan- stesso molT\et!1o._v1br~nt, d1 ra in più tomi che li riguarda do m. quando. per 1I fatto calda. cord1ahss1ma vita at- - e alla quale Giuseppe Ra– che Gius_~ppe Ravegnani ei:_atuale. Longilineo e distinto vegnani sembra voler affirla– tra_ i p1u fedeli e appre~- come di solito ci si immagin'.' re la propria sorte di e crona– Z\(t1 colla~oratori delle r1- debba esserlo un freddo d1- chista > dell'epo~a letteraria viste • Ctrcoll > e < Mae- plomatico, l'ospite. pur ser- In cui si è tro-✓ato a vivere - strale>. da me dlrett,~, dove bando nei modi qualcosa di ha Il irandissimo merito di che perfettamente s intona- remotamente assorto. di pre- non essere solo un ampio ed vano. sebbene con I_asaggi'! la tizio. direi. non perse un equilibrato reoertorio di< mo– prudenz':' dello scntfore d! attimo neJ rivelarmisi a!fet- vim~nti • e di autori. ma di umamst1ca. forma21one, a1 tuoso. fraterno sul piano dimostrare. in chi con tanta tentat1v1 _d1 rinnovazione del umano e non solo su quello paziente cura l'ha messa in hnguag2"Jo poetico che le due della programmatica solida- . • pubblicazioni andavano anto- rietà professionale. s1eme anno per anno. un 11:1u– !ogicamente eselT\piando. _ In ciò. meglio che il lette• ~to ~enso d_elle prospettive Dalle sue lettere, come dai rato sentii il poeta: e mi spie- 1deal1. Essa e tutta permeata suoi articoli sul _~Corriere !!ai !"affettuosità. il tessuto di ADRIANO GRANDE Padano.> e su altri. nu"!eros1 (amlliare sentimento. a sf~n– glornal1. la figura di G1u ep- do cristiano. di talune sue Pe Ravegnani mi appariva. (Continua a pagina 4) Nella critica di Giuseppe Ravegnani è subito riconoscibile li proposito di dar ri– lievo al positivo d'ogni scrittore che ab· bia una sua sostanza, anche quando II po• sitivo è una tendenza non del tutto li– berata. E questo Io sono sempre più convinto debba essere il compito della critica: cer– care l'originalità di una persona umana: il resto è ombra. Le stroncature, il più del• le volte, sono lo sfogo della nostra mali– zia: e, ammesso che si riferiscano ad ope– re veramente nulle, riescono improduttive e superflue come I libri che le hanno pro• vocale: rare volte potrà restarne una pa– gina, purchè non sia velenosa, e forse sarà bella per gli elementi positivi che per poco si sono sostituiti all'occasione negativa. La critlca di Ravegnani non è mal ge– nerica o accomodante. e conosce anche le rigorose condanne; ma la <positività> della ricerca le vieta ogni esclusione o elu• slone che nasca da un'abitudine di scuola, e potrebbe diventare perfino Iniqua: dico qualunque scuola, dalle retroguardie dei vecchi gamberi che al solo nome di un poe– ta d'oggi si strappano i capelli maltlnti, alle avanguardie troppo celeri che perdo– no tutti i contatti, e a un plinto hon-sahno più a quale esercito appartengano. Ma se i ritratti cr,itici del Ravegnani sono oggi la sua parte più nota, io vorrei ricordare l'autore di lo e il, mio cllore, Sin– fo11iale, Le dlle strade, Qu,att.-o canti, Qlla– demo e di altri versi qua e là sparsi. Il suo nome che cominciammo ad avvertire fin dal 1914 ci fu caro soprattutto durante la prima grande guerra: riconoscemmo subi– to Ìn lui quella virtù melodica che rispon• de a uno stato elegiaco per un eliso per• duto, anche quando - dicemmo - esso ven• ga rappresentato da un qualunque fatto, grave oppur lieve, della vicenda quotidia– na. E rlcordo il fervore col quale Silvio Benco, cosi attento alle nuove voci italiane dal suo osservatorio triestino, mi mostra– va un giorno, in quel suo studio al Piccolo, una rivista con una poesia di Ravegnani, destando perentoriamente U mio pieno consenso. DU!ic!le mantenere oggi l'impegno di un canto al quale senza equivoci si possa addire la lode leopardiana di «eloquente, E' chiaro che esso non può più avere la facondia metrica, non dirò dl un D' Annun– zio ma di quello stesso Pascoli che pur diede al verso una musica più intima dello schema formale a cui l'orecchio s'era tra– dizionalmente e pigramente assuefatto. E ogni ritorno anche a forme chiuse dovrà tener conto di un nuovo gusto musicale. i cui modi sono prestabiliti negli accenti e timbri che furono la novità dei nostri an· tichi, ma vogliono essere reinventati nel vivo del periodo, senza arbitrio: presso a poco, direi, come Strawinski può reinventa– re finanche le cabalette. Ma io scrivo da un luogo dove non mi sarebbe possibile preparare un articolo sulle liriche de! Ravegnani, e il tempo avaro mi obbliga presto ad altri temi e faccende. So comunque che la sua elegia– ca fluenza, la sua capacità melodica. non hanno nulla di casuale o abbandonato o predisposto. La voce di Ravegnani, ali– mentata anche dalle esperienze novecente– sche alle quali, aderendo o rifiutando, egli ha pur sempre collaborato, è voce tutta moderna. Amerei che egli raccogliesse le sue poesie. Ii volume confermerebbe il mio parere e sarebbe caro a molti lettori. FRANCESCO FLORA si, come quella di un e com- 1--------------------------------------------------------------- pagno di strada>. e tuttavia rimaneva un po' generica. Era la figura per cosi dire • professionale» ciel giornali– sta di « Terza Pagin.a > - scrittore. come me. sopratut. to in •privato> - il quale non raggiunge mai presso il pubblico lo spicco che tocca invece a taluni ~ fondisti». o < inviati speciali>: e tanto meno quello che ormai tocca a cePti e reporters > di crona– ca nera. Mi appariva, irisom- . ' UN LETTORE, DEGNO DEL NOME, INSTANCABILE La pieaa dell'occhio di MARINO MORETTI' Giuseppe Ravegnani racconta molto be· ne, nel primo tomo dei sue! Uoniin.i visti, come vide la prima volta Panzlni in casa mia. Egli non dice l'anno dell'incontro: dice più poeticamente ch'era allora un giovincello schetzoso < ingozzato di lettu– re e scalpitante nelle idee>. Mettiamo fosse un pomeriggio dell'estate del 1913, e tempo uno scherzoso garzoncello: quasi quasi lo ero anch'io, pur avendo die<:i an– ni almeno più di lui. Fatti i conti, non do– <r,:.,vamoaver più di diciotto e di ventotto anni. E con tutto ciò se ricordo bene, Bep– pino s'era permesso di <stroncare> Pan• zlni e io alla mia volta mi permettevo di rimproverar lui abbastanza $everamente. Quando la voce proprio di Panzini ch.iamò d'irnprovviso dalla riva (rivedo il bel fac– cione ancora giovanile alzalo verso una finestra di primo plano); e cl)iamava: < Marino! Marino! >. Questo grido dové mettere sulle mie labbra un sorriso di trionfo, poi su quelle del giovane collega un sorriso, forse, di puerile imbarazzo. Ho rievocato questo gentile episodio per– ché, se era la prima volla ch'egli incon– tra va Alfredo Panzini, era anche la prima volta che io incontravo lui, Ravegnani. e non era quindi possibile in seguito, se do– vevamo diventare amicissimi, dimenticare come e dove e in quale particolare circo– stanza ci eravamo conosciuti, essendo an– che coqesta una cosa che si dimentica. L'amicizia dura dunque da quarantadue anni giusti. Per quante lacune, cioè per– dite di vista, ci siano state in questo qua– rantennio abbondante, bisogna pur dire che alla buorta amicizia non manchi una nobiltà non dissimile eia quella del sangue. Ma essa dové stringersi e, direi quasi, consolidarsi in questi ultimi anni. quandb Il caso ci portò allo stesso tavolo di giuria dove insieme con altri ottimi colle~lti, fra . cui il carissimo francesco Casna t1, si do– veva molto ordinatamente, cioè ciascuno a suo turno, dissertare su dattiloscritti letti con estrema diligenza a decine, talora a centinaia. E qui, all'atto pratico, ci si rese conto di quanto si facesse valere li critico e saggista non meno che nella pagina scritta. Tutti oggi ammirano I'< acutezza critica>, la < bonomia discorsiva>, l't in– telli•genza aneddotica > (per citare solo il critico della Fie.-a), persino li < Je,ggladro crocianesimo > del saggista e memori:ili– sta dei felicissimi Uomini -visti; io e i miei colleghi, più fortunati, avevamo an– che, modo di ammirare a quel tavolone qualcosa di più: la bontà, l'umanità, una specie di perspicace e ingegnosa longani– mità con la quale colui che in un quaran– tennio aveva letto il leggibile, un po' come Papini, tratta va delle opere e opericciuole dì giovani e giovanissimi fra cui ad ogni costo dovevamo scegliere il romanziere dì domani, ch'era e sarà sempre impegno delicatissimo. Non si aveva insomma bi• sogno di ammonire il caro collega: < Ricordati che sei stato severo con un Panzini •· A proposito dei due recenti volumi, pri• mo e secondo tomv, Giancarlo Vigorelli scrisse su questo giornale: < Uomini -visti come cose viste. Succede che perfino gli sbalzi di giudizio finiscono a coordina~si. Nel critico è l'occhio che conta: nel critico Ravegnani direi che è la piega qell'oc– chio >. Questo mi è jliacluto. Anch'io credo d'aver capito come conti, questo, in un lettore degno de! nome, instancabile. Fi– darsi sempre quando nel critico è l'occhio che conta. E più se conta, come nell'uma– nissimo Ravegnani, la piega dell'occhio. MARINO IIIORETTI l- Ravegnani 1913, al tempo dei primi versi Giuseppe Ral'egnani, Eugenio l\lonta)c, Guido Piovcne e Diego Valeri, agli Incontri di San Pellegrino dei 1951 r

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