Fiera Letteraria - Anno I - n. 1 - 11 aprile 1946

FJEHA LETTEHARIA e OM_E tanti altri, più d'una volta m1 son domandato co3a ci stia a fare quell'episodio di cavalli. che si incastra con due scene nel quarto at– to delle Allegre Comari. A parte che r.imane un tantino confuso, e in sè e per sè senza speciale bellezza, nes– suno riuscirebbe mai a dimostrare che esso contribuisca in nulla .al.o svi1uppo del{ azione. Non è certo questo il solo caso che, nella com– pagine d'un dramma shakespearia– no, avvenga di notare qualche sal– datura meno pulita, qualche sup– porto che tentenna. Nel quinto atto del Romeo e Giul,dta, frate Gio– vanni (personagg:o ovviamente di co· modo, e che in l:utto starà in scena tre minuti). giust:fi.candosi di n')n aver consegnato .z. Romeo quella ta– le, importantissima lettera, tira fuo– ri ragioni proprio cucile a filo bian– ..:v. E con tutto ciò? L'essenziale è che Romeo non riceva la lettera. E quando il pubblico ne sia capacitw to, bene o male. con la sua barba di stoppu. anche il frate la c:.ua parte l'ha fotta. I CAVALLI RUBATI Ma i cavalli dell'oste? Spronati al galoppo dai tre finti tedeschi, i -:.:.. valli dell'oste della Giarrettiera spa– riscono in un turbine di pillacche– re. A Bardolfo, che i finti tedeschi hanno buttato in un pantano: e che racconta la sua brutta avventura, l'oste sul principio nemmeno vuol credere, e bada a dire che << i te– deschi sono brava gente )>. Sta fre– sco. Ecco che anivano .9iT Hugh Evans e il dottor Caius, a togliergli tutte le illusioni, ed esasperargli la collera con i loro avvertimenti po– stumi e la loro pronuncia -sbagliata. Sopraggiunge anche la signora Qui– ckly; ma soltanto a riattizzare gli umori lussuriosi di Falstaff. L:1 com– media rientra in carreggiata: e dei ,iedeschi e dei cavalli dell'oste non ne sapremo più niente. I moncherini dell" equestre episo– dio. stanno nella costruzione delle Allegre Comari, come quegli spun– toni di mensole e quegli archi mu– rati che t.alvolta si veggono in qual– che vecchio edificjo : ~uperstiti se– gni d'una precedente struttura. o re- 1iquie d'un'idea architettonica lascia– ta a mezzo. Mancarono i soldl. O le mura non erano abba3tanza for– ti da reggere altro peso. O il pro– prjetario cambiò progetto. Un epi– sodio di cavalli rubati è nel Faust del Marlowe. E curioso è' nelle Co– mari~ che ·Bardolfo, con manifesta allusione, riferendosi ai tre }adii scappati coi cavalli, li chiam;i ~ tre diavoli tedeschi, tre dottori Faust >l. Qunnto ai c:ritici. essi s:.ono d'.accor– ...do che nelle Ct>mar." questa ~toria dei cavalli rimar.e un troncone, un fuor d'opera. Che sarebbe anche di– peso dalla gran fretta con la quale, in quindici giorni. la commedia fu scritta e apparecch:ata, d'ordine della cregina Elisabetta che voleva divertirsi sulle amorose sventure di Falstafl. Ammettiamo pure che questa spie• gazione matenialmente sia vera. E che nel testo delle Comari per vari segni !>i riconoscanQ il disordine del· la compos.izione. 1 ·accozzo di cop'.o– ni scorretti e d:scordi, e perfino l'in– tervento d'altre mani. come in una pittura per qualche parte abbando– nata all'1ndustnia di scolari !!d aiuti. Secondo. alcuni. nell'atto terzo. la di– chiarazione di Fenton ad Anna Pa– ge. e nell'atto quinto la cantata che celebra il castello di W~ndsor e l' em– blema della G:arrettiera. non sareb– bero infatti di Shakespeare: e può darsi. Ma i cavalli son suoi. Suo il terzetto dell'os!:e, di Evans e del dottor Caius. Di ciò non è dubbio. Così il lettore torna a chieder~i a che cosa dovevano servire; e per– chè mai furono tirati in ballo. Per dare tempo a madama Ford di cer– care la ~jgnora Quickly. e spedirla un'oltra volta da Falstaff? A cote– sto fungeva per sè il bellissimo On• termezzo di conversazione fra l'o· ste, Falstaff e Simplicio. Senza po'i dire che Shakespeare non suol mai curarsi gran fatto di giustificare, da un punto di vista cronometrico. que– sto genere di trapassi. Fra le ipotesi che furono suggeri. te. 'intorno ad una plausibile appli– cazione di questa macchina dei ca– valli, le due oiù attendibili sono esposte dal Quiller-Couch in una sua dotta introduzione alle Comari. Fu supposto che Sir 1-lugh Evans e il dottor Caius 1 a ven,çlicarsi dell'a– troce burla che l'oste aveva loro giuocata nella faccenda del duello, si mettessero d'accordo con Bardo!~ fo, Pustola, Nym e Rugby (i qual; tre ultimi dovevano fingersi tede– schi), per portare via ali' oste i ca• valli. SemL,.a un po· grossa. Nym ,,. Pistola, l'oste della Giarrettiera li ·aveva avuti a lungo fra I piedi. quando stavano a servizio di Falstaff. Un cretino non era; e non sarebhe stato fac:le che, dovendo ora tratta· re con loro, non li riconoscesse. Rugby è un ragazzotto sempre in– tontito dalle continue sfuriate de! suo padrone, dcttor Caius. La signora Quickly ci racconta eh· era anche Ull baciapile, e non faceva che biafci– care orazioni. Francamente, non si riesce a vederlo in un· impresa di gangsterismo ipp:co. Secondo l' alLra ipotesi. l'episodio dei cavalli si -sarebbe riferito i\lle gesta d'un conte tedesco: Mum· pellgart, che nel 1592, vis:tata a Readlng la regina Elisabetta, passò a Windsor ed a Eton; facendo ride– re di sè, per la sua avarizia e sfac– ciataggi11<:-a viaggiare con cavalli di posta che prelevava a nome della regina, per evitare di pagarli di pro– pria tasca. Può darsi che qualche furfante, a sua volta prelevasse ca valli sull'autorità del conte, che pre· levava <Sulla falsa autorità della re– ~ina. Questo ."Vlumpe1lgart infastidì Ef1sabetta, per essere creato cava– liere della Giarretb:e1a. Giurava e spergiurava che a Reading la regina glie l'aveva promesso. E tanto la Il primo a lasciarsi sfuggire la pa~ola • guerra» fu - incredibile a dirsi - pro. prio il pittore della /oie dc viure, nella cui opera, anch-c la più recente, quella degli • anni '11eri», Pierre Courthion si 'Stupivo di non trov!'re il più lieve r:flesso della tra gedia che insanguinava il mondo. Sino al seuembre del 1939. i soli epiteti toller.iti fra noi erano quelli di • otlimis1a » e di , pessimista •, e la professione di pel!Simi– sta richiedeva un certo coraggio. Moltissi– mi, fra q~e\li che poi scappal'OOO in Ame• rica. subito dopo la dichiarazione di guer– ra, furono, sino all'ult1mo istante, riso-1:.ita• mente, aggressivamente • ottimisti•. Kurt Seligmann, quasi mi aveva tolto il saluto. Non dipingeva, in quel tempo, che batta glie di schdetr'1 impennacchiati, ma non vo. leva sentir parlare di guerra. I tedeschi han• no poi accusato gli ebrei di aver voluto scatenare il conAitto. Di questi pretesi ebrei gue1rafondai io non ne ho conosciuto uno solo. Sarà stato perchè il loro istinto infaJ. libile h avvertiva che nessun Stalin, nessun Roosevelt, nessun Churchill. nessuna poten– zn al mondo avrebbe potuto o voluto im• pedire il massacro di almeno c:nque milio– ni d'isracliti: o soltanto per un mdolentc pacifismo ereditario: ma i più ottimisti a Montpnrnassc erano proprio gli ebrei, i Kisling, i Zadkine, i Seligmann. i Mnx Band. i Mane· -Katz, i Mcnkes. Nei giorni che precedettero la beffa d1 Monaco lutti 'Crono naturalmente furibondi contro Hitler, ma il solo che lo fcnse sino n d"C:sidcrare la gu-erra non era nè un francese. nè un in• glcsc. nè un americano, e ancor menO un ebreo: era semplicemente un •ariano• te· desco, il pila deciso nvV'Crsario del nazismo che io ·abbia mai conosciuto: Karl Nicren– dorf, mercunte d'arte a New York. Come tutti gli anni. Matisse aveva deciso d1 trascorrere a Parigi l'estate del 1939. Era venuto anche quell"anno con la mogli-e, sempre ammalata, le gabbie dei canarini esotici e una stupenda infermiera. non me• no preoccupata delle cure da prodigare alla povera inferma eh-e delle m.illc attenzioni d·1 cui necessitava il maestro, per il quale di tanto in tanto non le spiaceva di po.s.llrc. Tratta va il vecchio pittore come un b•am bino, si gettava a terra per allacciargli le scarpe, e di giorno non tollerava ch'egli s1 av~nturassc senza scorta per le pericolo– sissime strade della città. Di tanto in tonto. la sera, quando il rombo dei tassì lungo il boulevnrd Monlpamasse non cm più che un fioco ronzio, l'autorizzava ad uscire solo. ma forse prima si faceva promettere che in nessun caso egli si sarebbe spinto oltre il mili,· bar, il pili recente dei caffè di Mont· p:irnnssc. a pochi passi da Notre-Dame dcs Chnmps che la gcra era illumin:itn da sotto in su 11econdo gli ultimi avvertimenti di un gusto contro il quale lo steS!o Matisse im• precava tra i denti che non era una cosa !lcrio, che una chiesa gotica non era stata creala per essere illuminata dal basso, ma dall'alto. Al mii/..· bar, gli tenevo spe56o compa– ilnia. La politica era naturalmente esclusa dalla conversazione. Tutt'al più l'imp1eto1i– vn la sorte dei suoi ex-allievi tedeschi pcr– sc'guitati dal naz:smo, mi permetteva di di– re che le naz'1oni moderne sembravano pro• porsi di diventare delle vaste associaz.ioni n delinquere. o sorrideva quand'io osserva. vo che ormai ba.stava che il cnpo di una tribù di ottentotti starnutisse nel cuore del· l'Africa, pcrchè crollasse 'a Parigi o a Lon- Bibliotec Gino Bianco seccò, che il brevetto venne fi.rmato, ma dopo cinque anni; e non gli per· venne, a Stoccarda, che nel 1603, quando sul trono era Giacomo I. In. senta nella commedia, la s 1 oria dei cavalli doveva rievocare alla regina e personaggi di corte, la figura e le imprese, non ancora dimenticate, di questo -scroccone tedesco. Ma 'il danno, e gran parte delle beffe, an– che secondo questa versione, finiva– no sulle spalle dell' ostt... E così siamo al pu~to di poter co– minciare a raccogliere le fila del no~ stro discorso. Ormai della stona dei cavalli ~ar.piamo quel poco ch'è da– to sapere; per arguirne che se ad un effetto e&sa serve, è in certo modo ad interrompere h sequela d] scon· cc disgrazie che finora si sono ab– battute su Falstaff, e a stornare la vergogna e ìl ridicolo verso qualche nuovo bersaglio. Per Falstaff la mi– sura è già colma. Ridetto alla mise– ria. Abbandonato e tradito dai i:.uoì tre scherani. Mezzo asfissiato in ;,in cesto di cenci puzzolenti, eppoi but– tato a fiume. Costretto a camuffarsi pavidamente d.a fattucchiera: da vecchia di Brainford, e legna 1 o di santa ragione. E' vero che la sovra– na vuol ridere sulle amorose disav· venture di Falstaff; ma s1 direbbe che Shakespeare cominci ad averne abbastanz.a. Un buon crib:ico, Hazl:tt, benchè un po' duretto e impaziente, inna– moratissimo delle Comar.", e del ca– rattere di Falstaff quale si presenta nell.e due parti dell'Enrico IV, tro· vava che Shakespeare. nelle Comari, 6' era adattato a compiere una sorta di sostituzione. Col nome ed ·i pa11ni QUESTA ERA PARIGI I PITTORI LASCIANO LA CITTA' dra la bol'Sll dei valori. Prcf'Criva parlare dei suoi viaggi e delle sue polemiche gio– vanili. Mi descriveva lo stupore dei groo:11i papaveri del museo del Pctit Palais, quan– d'egli, che aveva -energicamente rifiutato di consentir loro il minimo sconto sull'acquÌ• sto di un suo quadro. aveva poi offerto Al musco, in dono. il suo • Céznnne •: una piccola tela dalla quale mai, anche nei mo– menti di più nera miseria, aveva voluto se· pararsi, e per la quale gli -era stato offerto. una volta, oltre un milione di franchi, Suppongo che avrete raramente visto focc'C p'ù "Slravohe dallo stupotc ... - Perchè no? - protestava, tirandosi con le unghie i peli dclln barba, come S'C a ciascuno d1 essi corri9pondesse qualche ri• cardo sepolto nella memoria - perchè no? &sta alle volte così poco per ,stupire un uomo. Sapete come riuscii a mcrnvigliare a Tahiti. una modella? Dicendole, sempli• cemcnte, dopo la posa, di vcstir:s1 e di an– darsene. - Avrà creduto di essere stata srriltura• ta a vita ... • • No, la ragione è un'altra, e dovrei con. fo::ssarveln arrossendo. La ragazz.a era abi– tuata, dopo In posa, come tulle le modelle del suo paese. a ricevc1c dall'artLStn, ridi. ventnto semplice mortale, l'omaggio dovuto alla sua bellezza. Non era mdignata perchè l'istinto l'avvertiva che io non ero inscns:. bile al foscino che emanava dalla sua per– sona: era attonita, senza parola. Cercai di giustificarmi. anche perchè temevo, dopo quell'mcidcnte. che rifiula9'SC di tornare il giorno dopo. Era una' modella eccellente, e non volevo perderla. Riuscii infnui t1. strop· d1 Falstaff, aveva presentato un ca~ rattere sostanzialmente diverso; che a tutto rigore aVTebbe anche potuto assumere altro nome e altri panni. Gli aveva tolto quella spiritosita ed eloquenza, su cui anche il Coleridge ins:stettt.., quando descriveva Fai– staff come un intellenuale della bi· oboccia. pronto a passare perfi· no da codardo, per giuocarsi del~ l'altrui credulità e trarne il suo utile. conferinandosi in un profondo (h– sprez:t.o del prossimo. Con qualche ecces:so d'apPoggiature, in lui non insolite, l'osservazione del I-lazhtt è giustc1; ma in senso che nelle Coma– ri~ se non <liventato altro da quello che era, Falstaff è $traordinariamen– te cambiato. Perchè Shakespeare è cambiato. E' <..urioso che la p:ù sfrenata delle sue commedie, si colloca proprio nel tempo (fra il I598 e ;I 160 I) che l'ispirazione gli si fa più cupa, sca– vata, segreta. Sono gli anni del Giu– l:o Cesare e di Amleto; e nei quali ha radice quella ci1~i di disgusto ero– tico e misantropia che dà tanta ma· teria a Misura per m'sura, a T,oilo e Cressiida, e divampa furiosamente in Otello ( 1604). Malgrado la fretto– losa contaminazione da una prece– dente commedja inglese, e dalla no· velia di Ser Giovanni Fiorentino; malgrado il disordine col quale fu composta su motivo obbligato, la commedia ,delle Comari è un altro docu~ento di cotesta crisi, e respira in cotesta aura. Senza vo1er dire che le abbiano nuociuto, contr'ibuirono certo a dissimularne aspetti e Slgni. ficati, l'animale v'iolenza dell'umore fa1sesco che ne trabocca d'ogni par• parie la prom,essa di posare ancora quattro o cinque volte per mc, promossa che man– tenne fedelmente, anche pcrchè io avevo preso l'impegno di rimunerarla alla fine più generosamente degli altri, di quelli, vo– glio dire, che non vedevano soltanto in lei delle forme e dei colori, mn una femmina generosa e procace, Dimenticai però di chiederle d1 non parlare alle s\Jc amiche delle mie ·abitudini, così straordinarie ai suoi occhi: tutte le modelle che tentavo di avvicinare, mi cv'1tava'no con più cura che non mettessero nello scan'Sarc un lebbroso. Fu una. ~i queste amene confidenze che lacerò una sera il sibilo d'una sirena, - • Diavolo, è già la guerra}• - fece Matis\e, acnza scomporsi. Per quanto fosse stata detta per celia, quella parola ci ghiac. ciò un istante il sangue nelle vene. Ma a un tratto .scoui De Pi-s1s eh-e tro– vcrsava il boulevard, spingendo innanzi, co• mc una mamma la carrozzella col bimbo, la sun grossa e simpatica pancia, e trassi inconsciamente un sospiro di sollievo. - Se scoppinsse la gu-erra, - feci '-– come lutti gli italiani di T-mncia, Dc Pisis pm:;serebbe un brutto quarto d'ora. Ma è, scl'1tto che qu'Csto nostro carissimo amico debba ignorare i più lievi fastidi dell'esi– stcnUI, La guerra di Cecoslovacchia non ci sarà. per que,.sto semplice motivo: Hitler potrà sconvolgere il mondo, ma è da csclu· dcrsi ch'egli possa recare la più li-evc noia a Dc Pisis. Ri'SC anche Matisse. Ma io non credevo veramente di essere così facile pro– feta. Quando In guerra scoppiò e le sin:ne muggirono per davvero, e non per un gua• sto d'una centrale elettrica, Dc Pisis «i era 2ià. messo nl sicuro in Italia. Matissc partì. RHornò a Nizza, con la moglie nmmalata, dalla quale doveva poi divorziare, i canarini caotici, la bella infcr• 111iera e i '11ipohni. Vennero le tetre gior· nate di Monaco. I Campigìi. ch'erano in Italia, si precipitarono a Parigi, con il cuo– re m gola, com'C se accorressero al capez.· zalc d'un amico in grave pericolo di vita. Nicrcndorf, il quale non era che per metà cittadino americano, e correva il rischio, ee scoppiava la guerra, di finire in un campo di concentramento. preso da quella molle atmosfera di guerra esitava a rientrare in Amcr:ca. Lo trascinammo ancora riluttante, una mattina, olla Gare Saint-Lazare. Il po– meriggio, da Cherbourg, salpava quello che a molti sembrava dover essere l'ult1mo pi. roscafo per l'America. Una notte spensero le luci. E pareva che ~~ • .f~~ 10 fos::ul:bb:~u~~ ::cl~ull:r;~~llÒa~l:zu:~ nestrc le radio rovesciavano -sulle stradn fiumi di turpe eloquenza. Rovente e stiz• zosa la voce di Hitler colava come piombo. Una sera, a un'csposizion't. di • CMe ao-– $pese• dell'architetto americano clson, Pi. casso disse: e Ma allora gli aerei, per col. pirlc, devono volare sotto} » Erano più che di caac, bozzetti di cnpanne appc.sc come gabbie a forti antenne di acciaio. E Picasso faceva con la mano il gesto di chi lancia non una bomba, ma una granata. Il g'lorno dopo i tedeschi occupavano Praga. Questa volta, pensammo, Hitler avrà la }czione che si merita. Al caffè i surrealisti erano i più indignati, ma rrcl segreto delle loro dimore cominc'mvano a riempire le va– ligie. (Co11ti111,a) G. D1 s. LAZZARO 5 te, la felicità di pittura della vita rustica inglese (Masefield). Spet 1 ato· ri e lettori erano invitati a guardare in superficie; e non se lo fecero dire due volte. Ma se la glor'1osa regina, come tutto fa credere, fu buona intendi– trice di poesia, aJlora c'è un gusto un :,o· macabro a vederla sedere a questo spettacolo. Ormai settanten– ne, nel più catastrofico periodo dei suo, rapporti con Essex, nevropatica ed esagitat.a (si ricordino le stupen· de pagine dello Strachey), assiste alle devast~zioni delle febbri sentii in una corcassa logora come la sua. (I due vecchiardi si confidano le lo– ro indecenze). E qui St dovrebbe di– lungarsi intorno alle immagini che, insistendo su questa mater'ia di di· sfacimento e corruzione, anticipano T roilo ed Ote//o. li corpo andato in bols~ggine, le ren'1 allentate, e l'un– tume de) midollo che si strugge e cola nella lussuria; la fet:da bian• cheria che fermenta, e iJ coccio de· gli orinali; lo scorcio della << vecchia di Brainford )>, barbuta come le streghe del Macbe<h; un';dea del mondo come d'una immensa fabbri– ca d'accoppiamenti e di coma; e ci sarebbe da seguitare un pezzo. Ma– teria per una << discesa agli infen IJ, praticata (uso Joyce) dalla scala di i;:ervizio d'un bordelk,. Ma con la scena della u vecchia di Br~inford "• la beffa a spese di Falstaff comincia ad avere il fiato grosso. Ed io penso che il furto dei caval1'1, con le altre sue parti che non ci son pervenute, e con il da· moroso intervento di Sir Hugh e di Caius, funzionasse come il cc fortis– simo » che in una sinfonia introduce un cambiamento d"mtonazione e di modulazione. L'oste, frattanto, ha avuto la sua; ed è .qualcosa: questo oste insaziabile che ai tedeschi del Mumpellgart. oltre ali' osteràa ed ai cavalli avrebbe dato la camicia, co– me dice due volte a Bardolfo, pur di poterli salassare. E' servito. E la sto· ria riprende. Da! p.iano r.ealistico e farsesco, :-'1prende sul piano fantastico e fia– besco: nella luminaria, nel balletto e nella pantomima dell'ultima e de– finitiva scorbacchiatura di Falstaff. Ma bisogna pur dire che, nonostan· te le bruciacchiature, le punzecchia• ture e le canzoncine morali delle fate, Falstaff se la cava benone. In mezzo al parco di Windsor, egli sta come una specie di toro invalido e rassegnato, con intorno un'arcadia di lattonzoli e pastorelli che sgam• bettano. Ha ritrovato la sua grotte· sca maestà. Non so precisamente se Shakespeare si sia 'impietosito di lui. e abbia deoiso di non plù mal• menarlo. Ma il tono è mutato. Con in testa le corna. ravvolto nelle pelli di Herne il cacciatore, quando a pie' della ouercia. sul rintocco di mezza 4 notte, Falstaff invoca l'aiuto di Gio– ve dal sangue bollente, fattosi cigno per amore di Leda e toro per amore d'Europa, la sua voce nel notturno stupore sembra scandire l'impudente e solenne formula d'~ncantagione d'una copula cosmica. Non s·, pensa più alle vendette dei miseri mariti, al pettegolezzo borghigDano; e che dalle comai1, oltre al resto, Falstaff voleva quattrini. Si pensa piuttosto a certe mitologit.he • poesie n del vec– clUo Tiziano: alla figura di un Pria. po rembrandtesco. Al sopraggiunge· re di Madama Ford, anche la fisca· lità di Falstaff si riscatta, in quella fresch'issima esclamazione: (e O cer· biattina dalla coda nera ... >J. Il rimanente è coreografia e dee\,, razione. E dopo tutto i buoni bor– ihesi accors.i nel parco, non finisco– no col fare', megli<\ figura di Falstaff. Avevano macchinato le nozze d1 Annina Page, ciascuno secondo i suoi criteri e interessi. L'avrebbe dovuta .aver Caius. O quell'altro im– becille di Slender. Invece, nella con– fusione della mascherata, Ann'ma se la sposa Fenton. Fuorchè Anna e Fenton, tutti restano con un palmo di naso. Ridendosela sotto i baffi, Falstaff sl limita dign'1tosamente a osservare che la freccia scagliatagli contro. è rimbalz.ata fuor del bersa– glio e ha colp'1to altrove. Curvi sulle criniere dei cavalli rubati, i tre finti tedeschi scappano ancora. E,m.10 CEcc111

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