La Difesa della Razza - anno I - n.4 - 20 settembre 1938

ILRAZZISMO DI CESARE e la teoria analogica della lingua Dire - con la scorta d'alcuni ..critton di cose storiche - che Cesare non ebbe considerazione di un problema della razza e non curò abbastanza la purezza e l'immunità da inquinamenti del popolo romano. percnè il suo genio, tutto intento a una visione universalistica della civilta e della cultura, aveva superato ogni pregiudizio di sangue e d'origine, o meglio - e vorremmo risparmiarci tanta semplicità di citazione - perchè i biografi ci raccon tono che lacrime copiose sparsero gli Ebrei sul suo feretro, onde s'inferisce la sua longanimità e tolleranza, è porre fittissimo velo ira gli occhi e la pagina, o sètto assai spesso tra i latti e l'interpretazione. Cesare fu invece quello che noi oggi diremmo un assertore della primazia razzista romana, e se ciò non appare con fatti certi dalla sua opera di legislatore e di storico è perchè ai suoi tempi una questione di razza definita e poggiata su basi di scienza non c'era, nonostante potremmo cercarne l'equivalente in parole ben similmente espressive e chiare alle orecchie romane quali: popolo. stirpe, gente. radice. generazione. Nel caso specifico dei giudei, questi servivano a Cesare per quel tanto di traffico e di cosmopolitismo che li ha sempre caratterizzati. Cesare se ne valeva, disseminali dovunque e mai troppo accentrati in Roma. per tenere ammagliate le più lontane regioni dello sconfinato Impero. conoscendoli invadenlissimi ed abili annodatori d'interessi. Ma proibi loro nel modo più severo d'immischiarsi mai in faccende politiche, pena quel trattamento durissimo che Ieee, dell'intero popolo dei veneti, soltanto un ricordo. Quale altro atteggiamento avrebbe potuto tenere verso gli Ebrei, ritenuti allora popolo superstizioso in sommo grado e cabalistico, lui, l'uomo più schivo d'ogni credulità, d'ogni falso incantamento e fascinazione? Cesare è stato forse l'unico governante che. senza ricorrere a crudeli persec1Jzioni. abbia saputo servirsi dei giudei, per quanto essi valevano. senza mai un istante rimanerne asservito E i giudei piansero. chè ne sentirono la superiorità. Sotto altri aspetti considerando il carattere dell'eroe giulio. si scopre in lui un convincimento, più che ostinato. superbo di razzista primasso. I primi richiami non vanno più oltre le antiche letture scolastiche - e sono invece quelle che riassommano più leggere -. " La stirpe matema cli Giulia~ mia zia, ha origine dai re, e la patema è congiunta con gl1ddii immortali. Da Anco Marcio inJatti derivano i re Marcii del cui nome fu mia madre; da Venere i Giulii, della cui gente ò la nostra famiglia", E' Cesare che parla, teste Svetonio. E basterebbe una volta per sempre tanta fierezza d'affermazione se, cosi presa, non avesse significalo troppo individualistico ed esclusivo. Come indice d'una comune credenza di quell'età, della profondità e purezza d'origine, perchè l'albero· si levi su dalla terra ardilo ed alto, ci conforta il pensiero d'uno dei più grandi coetanei di Cesare, che poteva vantare amore di Roma ma non antica nobiltà di progenie· "Come ci dilettano la vista l'alteua e l'eapanaione degli alberi, ::dtrettanto non poaaiamo dire del groviglio delle loro radici. Ma aema cli queate. non si darebbero quelle". Qui, se lo stile sonnecchia a Cicerone, il pensiero a compenso gli è sveglio e chiarissimo. Senza profondità di radici. non c'è albero che tenga il vento. La lettera cesarea e la metafora ciceroniana s'accordano ottimamente. Più tardi verrà Virgilio, che nacque ·• sub Tulio", e farò il miracolo d'accordare e realtà e metafora in poesia purissima. iblioteca Gino Bianco .. __Più profondamente e bene addentro si configge l'albero nella terra. L'iLchio prima di ogni altro. che quanto s'innalza colla sua cima nelle alte regioni dell'aria, tanto veno il Tartaro ai profonda colle radici. Non le' tempoate. non i venti nè le piogge valgono a sradicarlo: immoto resta, e molti nepoti, molle generazioni d'uomini vede nascere e morire ". Nè geli, nè uragani, nè rovesci: " Qui pugni ai vemi e arcane i.storie frema col palpitante maggio ilice nera._ I poeh di razza si chiamano e rispondono a misura d1 secoli. E' un po' difficile dimostrare che Cesare e Cicerone, pur cosi sensibili alla cultura greca del tempo, e tuttavia sentendo appieno l'appartenenza a una comune stirpe - (la virtù e il valore son pro• pri della progenie e del seme romano, scrisse il secondo) - non cercassero colle opere di difenderla la loro purezza o non ne fossero gelosi, massime Cesare, cui lino il proprio nome ricordava costantemente l'origine naturale, gli era quasi da sigillo di razza, po1chè il suo capostipite si vuole sia stato "oculis caesiis •·. vale a dire d'occhi cerulei, e "cresciuto vigoroso oltre ogni norma d'uomo ": od anche perchè .. quello che per primo ebbe il nome di Cesare, cosi fu chiamato per il fatto d'eaaer nato dalla madre mortct in seguito alla rec:iaione dell'utero". E questa volta testifica Plinio. Il nome era il certificato della purezza di discendenza, l' emblema della razza. siccome il colore degli occhi n'era l'impronta. Ma una recente cultura storica o pseudo-storica ha cercato di spezzettare la statua di Cesare, nella segreta speranza forse che cosi a brani se ne perdesse l'idea unitaria. E proprio oggi inoltre si nota una tendenza che s'orienta verso il simbolo e l'allegoria. in perfetta buona fede. ma colla guida di una cultura filosofica che vorremmo definire troppo ingombrante. Bisogna dilfid::ire di un Cesare allegorico e simbolico. accomodato nel gran piatto della storia con un bel contorno di salsa mistica, e non concedere all'c arete > di quest'uomo. che siamo soliti citare il più completo rappresentante della nostra stirpe. più di quello che le spelli oltre il dato storico. Ogni sconfinamento d'interpretazione che. comparando il significato universale dell'opera di Cesare con l'universalità del suo genio. tenda a fame dell'intelligenza una specie di crogiulo di tulle le sperienze. quasi a renderlo una mente panempirica e di conseguenza decadente. è pericoloso e arbitrario 21

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