donne chiesa mondo - n. 73 - novembre 2018

DONNE CHIESA MONDO 4 DONNE CHIESA MONDO 5 Questa differenza di sguardi è un aspetto interessante del nostro colloquio: mentre la detective Vanina ci ha colpito anche per la decli- nazione femminile con cui svolge il suo lavoro, Cassar Scalia sembra ricondurre tutto su un terreno più neutro. Così quando le chiediamo quale sia lo sguardo della vicequestore sul crimine, ci risponde «Vani- na ha sul crimine lo sguardo inflessibile di chi non tollera che resti impunito. Non credo che questo c’entri granché col suo essere don- na». Eppure la sua capacità di guardare i fatti tenendo conto di tutti gli addentellati del reale è spia della capacità femminile di tenere in mano, specie nell’emergenza e nella difficoltà, i tanti fili in cui si arti- cola la vita. In quanto oculista e scrittrice, in qualità cioè di persona doppia- mente competente nel campo dell’osservazione, dove collocherebbe la vista tra i cinque sensi? «Forse per deformazione professionale, tendo a considerarla il più importante». Non demordiamo, come Va- nina non si è arresa davanti al mistero di un omicidio avvenuto più di mezzo secolo prima. Insistiamo: ma esiste, secondo lei, uno sguar- do femminile sul mondo? «Può darsi». abituata. Eppure, la donna guarda senza prestare reale attenzione a ciò che avviene dinnanzi a lei. La sua mente è, infatti, altrove. Que- sta dinamica del vedere senza guardare assume una valenza suggesti- va alla luce del fatto che l’autrice di Sabbia nera , Cristina Cassar Sca- lia, fa l’oculista. Ed è proprio per questa duplice veste di scrittrice e di oftalmologa, che abbiamo deciso di confrontarci con lei sul tema dello sguardo femminile. Nata nel 1977 a Noto, Cassar Scalia ha iniziato a scrivere prestissi- mo: «Avevo 12 anni! All’ultimo anno di liceo ho anche partecipato a un concorso letterario di Mondadori e l’ho vinto, con un racconto scritto su un incipit di Gina Lagorio. Poi ho scelto medicina e, per forza di cose, ho dovuto fermarmi. Ma sono sempre stata consapevo- le che fosse uno stop temporaneo, e che avrei ripreso a scrivere appe- na specializzata. E così è stato. Certo, non avrei mai immaginato che il mio primo romanzo sarebbe stato pubblicato da un grande edito- re!». Sabbia nera è infatti la terza opera di Cassar Scalia, dopo La se- conda estate e Le stanze dello scirocco (usciti rispettivamente nel 2014 e nel 2015 con Sperling & Kupfer), tutti con protagoniste femminili. «Il mio vicequestore non poteva essere che una donna. Per i primi due libri non mi sono neppure posta il dilemma. Però il racconto scritto a 17 anni aveva un uomo come protagonista». Non sono pochi, nella tradizione occidentale, i medici scrittori. Non mancano perfino le scrittrici con specializzazioni particolari, pensiamo ad esempio a Donatella Di Pietrantonio, dentista pediatri- ca e romanziera affermata. Ci sono aspetti specifici tra il fare narrati- va e l’essere medico? «Credo siano molti i punti di contatto tra un medico e uno scrittore. Per fare una diagnosi, il medico deve diventa- re un acuto osservatore. Lo scrittore fa lo stesso, scruta, annota, im- magazzina informazioni. Entrambi, per motivi diversi, devono dun- que studiare le persone che incontrano: il primo per curarle, il secon- do per carpirne qualche caratteristica utile alla creazione di un perso- naggio. Per questo un medico che scrive, soprattutto se scrive narrati- va, secondo me parte un po’ avvantaggiato». Arriviamo al vicequestore Vanina, originaria di Palermo, testarda, scontrosa, amante dei vecchi film e della buona tavola (ma non sa cucinare!), tormentata dall’omicidio del padre e dalla fine di una re- lazione difficile. Quando la conosciamo, nonostante abbia solo 39 anni, Vanina ha già un curriculum costellato di casi brillantemente ri- solti nel corso di una lunga carriera: dodici anni in polizia, la prima metà dei quali all’antimafia, quindi tre a Milano da commissario ca- po e ora da undici mesi vicequestore aggiunto a guida della sezione Reati contro la persona della squadra mobile di Catania. Cinzia Corvo «Etna» Quando la conosciamo, dunque — in un romanzo destinato a diventare una sa- ga (Cassar Scalia sta scrivendo il secon- do), e di cui sono già stati opzionati i di- ritti cinema e tv — Vanina è professional- mente affermata: non sembra dover lotta- re per farsi riconoscere un’autorità in quanto donna. «Esatto. Volevo creare un personaggio femminile che avesse supera- to la fase dell’affermazione professionale, e che fosse già indubitabilmente autore- vole». I problemi, semmai, appartengono al piano personale. «Sì, questo è il suo punto debole». L’autrice, però, nega che questo aspetto abbia a che fare con l’esse- re donna: «È il suo punto debole come per molte persone, femmine o maschi che siano». Eppure, ci sembra che qualche differenza ci sia. Piaccia o meno, nella nostra società non è la stessa cosa se una donna o un uomo arrivano a quarant’anni con un’ottima posizione lavorativa ma senza aver costruito una famiglia o avere dei figli.

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