donne chiesa mondo - n. 47 - giugno 2016

DONNE CHIESA MONDO 38 DONNE CHIESA MONDO 39 L UCA 1, 57-66 G iovanni battista fu straordinario profeta, maestro e amico di Ge- sù. Alla sua sequela, e poi fino alla fine, Gesù imparò molte co- se di Dio. Per i discepoli di Ge- sù la sua importanza è tale che il vangelo solo per lui e per Gesù racconta l’annunciazione, la nascita, il ministero profetico e la predicazione a causa della quale furono assassinati. Come ogni pagina evangelica anche questa della nascita di Giovanni non è una cronaca ma molto di più. Racconta l’invisibile coinvolgi- mento della misericordia del Dio d’Israele nella storia di Zaccaria ed Elisabetta, una coppia di anziani, persone fedeli al Signore che sopporta- vano, senza venir meno, la dolorosa mancanza di figli. Elisabetta, vista nella sua sterilità e nella sua fede, è la prima donna e la prima povertà che apre il vangelo di Luca, che è buona novella per i poveri e le povere. Nella Bibbia le tante M EDITAZIONE Dono e contraddizione a cura delle sorelle di Bose Arcabas, «Jean le Baptiste» A pagina 40, icona della chiesa della Natività di Giovanni Battista (g. Kainske, ora Kujbysev) ripreso nella successiva liturgia dei Lamenti ( Enkomia 164-166): «O luce dei miei occhi, o dolcissimo mio fi- glio, come puoi ora nasconderti in una tomba? Soffro questa passione per liberare Adamo ed Eva, o madre, non piangere! Glorifico, figlio mio, l’immensità della tua misericordia; per essa tu patisci». L’elemento del dialogo tra il Cristo e la ma- dre nell’ora della Passione — attestato dalla litur- gia solo in questi brevi passi per il sabato santo — sembra essere stato introdotto da Romano il Melode (prima metà del VI secolo) nell’inno Maria ai piedi della croce . Attraverso lo stile drammatico egli riesce ad enunciare con chia- rezza e forza il significato della passione e morte, leggendole alla luce della grande mi- sericordia di Cristo: «Ancora un poco di pazien- za, madre... perché tu possa cantare: “Con il sof- frire distrugge il soffrire, il figlio mio e Dio mio”» (13). Il lamento su Cristo morto rimanda al lamen- to di Adamo e alla misericordia di Cristo che, per liberare Adamo ed Eva, si affretta nella pas- sione, va a cercare la pecorella smarrita e come il buon samaritano si avvicina alle sue ferite e le cura. L’immagine di Cristo Uomo dei dolori è già di per sé l’immagine dell’abbraccio di Cristo all’umanità, nella sua carne. Esso corrisponde simbolicamente a quel pri- mo abbraccio pieno di slancio del Bambino nei confronti della madre, meditativa e quasi preveggente il mistero della Passione, fissato nell’icona della Vergine della Tenerezza. L’espressione dei sentimenti di gioia, dolore e affetto è testimoniata nell’arte cristiana solo dopo la controversia iconoclastica. A partire dal IX - X secolo a Bisanzio si cominciano a dipingere il Cristo morto sulla croce, la sua deposizione e la sua sepoltura, spinti dall’influenza di testi omile- tici e dalle innovazioni liturgiche del tempo dei Comneni. Significativamente però il titolo che compare sia sull’immagine della crocifissione che su quella della Grande Umiliazione è Re della gloria , titolo che ritroviamo anche quando è in- trodotto l’abbraccio della Vergine al figlio morto, come nell’icona di Iviron. Una grande pace, so- prattutto sul volto di Cristo, emana da questa icona, così lontana dalle espressioni estreme del dolore conosciute in occidente. I segni del dolore non sono annullati, ma si tratta di un dolore in- teriorizzato, espresso negli occhi chiusi del Cristo morto e nei tratti dolenti della madre. C’è da os- servare che Maria non china la testa ma la solleva verso il volto di Gesù. Forse si può pensare alla frase evangelica «Le potenze dei cieli infatti sa- ranno sconvolte... Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire con grande potenza e gloria... Alzate il capo, perché la vostra liberazione è vici- na» ( Luca 21, 26-28). Questo tratto ben si adatta allo spirito e all’epoca di Teofane di Creta. Dopo poco più di mezzo secolo dalla tragica caduta di Costantinopoli nelle mani dei turchi (1453), la pittura di Teofane è un segno di resistenza e un mezzo per conservare il grande patrimonio spiri- tuale bizantino. Linee spezzate e aspre, luci e ombre si fiancheggiano nella sua opera, testimoni di una tensione ascetica esigente, ma portatrice della luce della resurrezione. «Non piange- re per me, o madre — più esattamente: non fare il lamento funebre — Sof- fro... per liberare Adamo ed Eva». Sì, «con il soffrire distrugge il soffrire, il figlio mio e Dio mio».

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