Critica Sociale - XXXVI - n. 12 - 16-30 giugno 1926

176 CRITICA SOC_IALE L'ebbrezza· di patire Una tesi dei giovani, più espressamente formu– lata e diffusa, in una luttuosa occas:one recente, da uno dei migEori giornalisti dell'Opposizione, con l'altissimQ avallo di una Voce che ora non può più · interloquire, è questa: - Il proletariato italiano, per le sue G:onquiste, non avea ·abba~tanza patito. Perciò le h;:t perdute. Il concetto, che in sè ha certo del vero, e divien meno vero (cioè... più vero) se inquadrato in lutti gli altri elementi del fenomeno, fu preso, afferrato, fatto proprio con voluttà dalla giovani! coorte che volge agli ardçiri del misticismo (cattòlico o prole.– stante, non conta) e si tramutò in una vera teoria dell'espiazione, del castigo, dell~ penitenza. Bisogna s·offrire, bis•ogna patire. Bisogna espiare, bisogna riguadagnarsi il Paradiso celeste, che si perdette nei bassi gaudii della facil,e vita e dei . grassi profitti, al tempo clel Paradiso terrestre, al tempo dell'Eden cooperativo - giolittiano ... E siccome una buona occasione di patire, presso gli ·alt11i popoli, furono le guerre rt::ligiose, e noi, infelici, non le abbiamo avute, occorre resuscitare, nel 1926 e seguenti, quel movimento. protestante che non si' produsse al tempo suo, e dare fiera battaglia al Socialismo riformista in nome della Riforma re– ligiosa: Così, quella che, da principio, poteva essere una constatazione freddamente obiettiva di studiosi di storia e di ·psi oologia - l'attuale situazio~e italiana avere in parte la sua spiegazione nel remoto passato di 'un pop·olo, cui mancarono le vicende e le dure prove a_ cui si temprarono altri popoli - diventò, nello spirito riscaldato di questi giovani « volonta– risti », una infatuazione tutta pr~sente, una que– stione di buona volontà. - Ah, un male dell'.Itali:ai del '900 è di non avere avuto la Riforma nel '500? Non importa. Noi la fai·emo adesso. Giova discutere l'artificialismo, veràmente Genti– liano, di ·questo proposito· di resurrezione di Lazzaro dopo 4 secoli? Quattro secoli nion sono quattro giorni, senza contare· che Gangale non è Gesù Cristo. La Storia non · ama le minestre riscaldate e il , fittiz:o di un simile movimento è pari .alla leggerezza. con cui certi critici giovani fanno il processo ·al Socialismo italiano nelle persone dei leaders di destra, e con le testim~rnianze e il concorso dei ri– voluzionarì, dimenticando che per II}-Oltianni furon questi i condottieri, e non noi. Conoscere bisogna, e poi pensare! La realtà è da realtà, e non c'è barbà di spiritualista che possa « ripensarla » a modo suo, cioè inventarla. Potrà lavorarci sopra con le sue interpretazioni, ma ri– farla di pianta, dicendo: « 1o la vedo .così, io la penso così, io la voglio oos1, dunq11.e è. oosì », questo no. Son10 celie che cominciano a noiare anche nel teatro di Pirandello. *** :Ma torniamo all'inizio, ossia alla faccenda del patire. QL!eStìgiovani, insomma ci guardano con tm'a– ria severa di rimprovero, c~_povolta, cioè quale di soliLo hanno i babbi coi figli scapestrati. ·Non si può negare che l'atmosfera di guerra ,i abbia invec– chiati (che non vool dire, maturati: al contrario!)' e che tatuni di essi siano molto men giovani di noi: neUa incapacità, per esempio, di sentire la fr.esca, bella, perenne idealità del Socialismo, e nel bisogno BibliotecaGino Bianco· .!.___ _ di andare in pesca di ideali foggiandosi d~lle imm,t– gini fatte di reminiscenze. Il loro. rimprovero è questo: - Voi ve la siete spassata, eh?, ai tempi di Giolitti. Il vostro Socia– lismo è nato e fu allevato nel burro e n~l miele. Voi non sapete· cos'è patit,e: e il Dio di Calvino vi ha castigato. Ma è finita la cuccagna, ed è ve~ nuta l'espiazlone. Orsù, tiratevi da parte, voi che ignorate come si fa a soffrire, e facciamoci avanti noi. « Noi ci siamo formati in ut1 periodo di tragiche « lotte che non poteva non insegnarci il disprezzo « per ogni forma di accomodantismo e di paterna– « lism0, e doveva per contro darci la tenacia delle « resistenze disperate, l'orgoglio , delle faticose con– « quiste, la coscienza viva delle antitesi, il culto ap– " passionato della lotta.,. L'Italia d'altri tempi, me– « di~cre e trànquilla, burocratica e provinciale; non « poteva sentire la grandiosità. del problema». È Prometeo Filodemo .· che parla così, nel Quarto Stato del 19 giugno. Linguaggio, stile, spirito, , tesi squisitamente fascista. Fascista · quella iperbolica valutazione della in– fluenza .·educatrice della guerra. Fascista quel « de– clamate» per tenore . e trombone sulla passione della lotta per la lotta. Fascista ·quella dipintura di maniera dell'Italia d'anteguerra ... nella quale, a b_uon conto, si _formarono e crebbero quegli uomini e quei giovit1etti che fecero· e vinse!'() la guerra! Se il postro Prometeo,' evidentemente ampolloso alquanto anche nella scelta ._del suo pseudonimo, ci av,esse messo, nel primo periodo, un « vivere pericolosa– mente», e nel secondo, tra .l'e qualifiche dell'Itaiia– vecchia, ci avesse aggiunto un «sedentaria», quel pezzo ·potrebbe essere firmato da un redattore del Popolo d'Italia. · Davve:rn noi vorremmo consigliare miodestamente questi giovani, inebriati di _patimento, a guardarsi dalle declàmazioni a vuoto, che somigliano troppo a esercitazioni spirituj:l.li hHt'affatto · solitarie, in cui il subietto si confonde, per un . dannoso sforzo di fantasia, con l'obietto e,· i:affigurandosi battaglie e conqtiiste immaginarie, si soddisfa e si esaurisce « in sè medesmo ». Non si patisce perchè si voglia pa– tire, e perchè si dica « io patisco!», con ·un atto soggettivo dello spirito. Si . ,patisce quando· si· so– stiene la milizia per la propria fede, fernnamcnte, . serenamente. E àll?ra ·non si sente neppur. di patire, o non si osa affermar di patire, per una· dedizione di sè, paragonabile. solo a quella della madre che soffre s~rridendo gli strazì del parto e le fa'tiche e i sacrifici della maternità; per un pudore del pro– prio patimento, che trattlene dal proclamarlo. Nessuna intenzione di contestare al lìl.Ostrn giovine censore e ai su~i amici il fervore e la idoneità di combattere e di patire per la loro, P,er la· n·ostra fede; nessun maligno propo~it0 di . chi~der lo.ro le prove delle loro ope1,e ,e deHe loro soff.erenze. È già un operare, .in determinate ciroostanre, il ~:esist-e1·e e il ,non cedere; e, senza dubbio,. nel semplice sÒp– portare, nel dover sopportare, una sit4azione di fatto che idealmente si riHuta di riconoscere, vi è una grave sofferenza. Co11testiamo, semplicemente, che alcm10 possa farsi giudice di se stesso e di altrui . . . ) in tale materia, .e gridare: « Io patisco: nessuno paHsce più, di me! ». Giacohè, che ne .sa egli, d·el patimento degli altri? E chi può sognarsi di misurare il d,olore da11,e parol_e e dagli atteggiamenti di tra- gedia? · Al· postutto, i giovani come Prometeo hii,nno qual-

RkJQdWJsaXNoZXIy