Critica Sociale - anno XXXVI - n. 7 - 1-15 aprile 1926

96 CRITICA SOCIALE nale ragionerebbe con la stessa gravità di Ros~elli il suo epicedio,' così: « L'esercizi,o del voto, la progressiva partecipazione alla vita pubblica, le J,otte parlamentari, presero sempre più il sapore di atti di normale ammr,nistrazione. La concezione gradualista e pacifista del divenire socia– Jislico ripugnò generalmente, allontanò i migliori o li condusse alle esagerazioni estreme. Il senso dell'eroico, Io spirito di sacrifici(<) e di abnegazione, la coscienza dei valori universali, pei quali il socialismo lottava,' si andarono così sempre più oscurando. Le oonseguenze · iùevitabili non tardarono a manifestarsi. Così che oggi s·iam quasi tratti a pensare che for~e fu necessaria questa tragedia perchè il socialismo italiano rimettesse in onore i valori morali, si ri 1 arccostasse alle realtà e prendesse nozione finalmente deUe grandi questiorn politi~he ». Cotesta Mistica non fa per noi. Dove . ci ·sono chiari i fatti politici detcrmiinatori del crollo rifiutiamo le obiu.rgazi,oni scatologiche di un 'nuovo peccato originale cla riscattare., Il partito socialista e il movimento proletario in Italia non mancarono di f,ede, di Ideale. Posero la premessa del rilevamento ,econo– mico delle plebi per dare alle pl,ebi uno Stato in cui trovassero l'obbiettivo di una superiore sensibilità e degnità politica e morale. Per– sino scrittori ~ noi avversissimi riconobbero al socialismo di avere temprato fisicamente e moralmente le masse aUe pene terribili di una lunga guerra estenuatrice. L'autocritica non è autodemolizione. La tragedia di cui soffria– mo è gravida di insegnamenti - ma è almeno esagerato rappresentarsela come un « giusto castigo». L'insegnamento principe, non af– fatto esoterico, che da essa emana,, è questo: che la assunzione del potere al tempo nostro è l'obbiettivo alfa ed omega del movimento proletario - in ogni proporzione parziale o totale, con ogni mezzo più breve e spedito. Non altro. E non è poco ... La 11).etafisicadella intransigenza massima– lista è stata la trappol'a più grossa in cui si inceppò il proletariato; adesso i nostri gio– vani amici spiritualisti, senza saperlo, st:.mno per montarne un'altra con quell'altra quasi kantiana mela fisica dei costumi, fatta .di una paralizzante teoria di scrupoli: Domine, nan sum dignus. Il proletariato italiano è quello che è - figlio dei suoi padri, uscito da questo suolo, nutrito di questa educazione - mi:– gliore e peggiore, secondo i momenti -ed i punli di vista dei suoi confratelli - ma, così come è, è degnissimo della sua emancipazi-o,.. ne. É questo un problema « terreno » di forza politica e, quando al proletariato sia posto chiaramente dinanzi, esso troverà in sè tutta l'energia morale, tutta la capacità di volere <li durare e di soffrire, che saranno neces~ s~rie per riso~verlo. Ma· non bisogna comin- · ciare col deprimerlo·, con l'avvilirlo - ingiu- ' stamenle. É disfattismo .... Abbonatevi · a Critica BibliotecaGino Bianco RABANO MAURO. Sociale 610VANNIAMENDOLA Ripensando a Colui che· fu tanta parte della nostra comune sommossa morale - che resterà, anzi rivivrà, nella storia - mi torna a mente la parola che Dante dice a Virgilio nell'Ode Gari– baldina di Carducci: · Mai non pensammo forma più nobile· d'eroe; e la ri~posta pronta di Livio, che, sorridendo, com– menta: R della storia, o poeti; de la civile storia d'Italia è quest'audacia tenace ... che posa ne,Zgiusto, ed a l'alto mira e s'irradia ne l'ideale. Percl,1è, in cinquant'anni ormai di presenza nella vita politica, m'imbattei in oratori più af– fascinanti, in letle,rati più brillanli, in filosofi più eruditi, in pubblicisti più dotti, in politicanti più abili; ma nessuno conobbi che eguagliasse GIO– VANNI AMENDOLA nell~ dirittura profonda - vorrei dire, profondamente religiosa - del cuore e del carattere. ' · Egli fu di coloro - pochissimi - per i quali il dovere è fine a se stesso, è il frutto di un im– perativo categorico interiore che non chiede giu– stificazioni al calco1o, compensi agli uomini, sod– disfazioni estrinseche, materiali o morali, in que– sta vita o in un'altra. Fare perchè fare si deve: non pe1:·utile, che ne debba o possa derivare a se stessi o ad altrui: questa era la sua divisa, non nelle parole, negli atti. Sotto questo aspetto egli fu veramente poco italiano e - pel senso che si attribuisce oggi a questa parola - profonq.a– rnente, radicalmente « antinazionale ». Quando lo vidi a Roma l'ultima volta, nella sua casa modesta di Via Prorta Pi.nciana, pr,esentii (lo confidai dolorosamente agli ainici) ch'Egli era se– gnalo dal destino. Sentiva fortemente il pB.dore della sua sofferenza: si studiava di parer ilare; ma riavuto non si era ancora: sentii che non si riavrebbe mai più. Tornavo allora dalla casa de– solata di Velia Matteotti. Ravvicinai le due sven– ture; ·che formavano, in fondo, una sventura me- desima. · E detteranno ai venturi una medesima sen– tenza; iequanjme, giusta, inappellabile. f. t. Una nuova Opera di Arturo Labriola B uscito ~l Voltaire e la filosofia della liberazion di ARTUROLABRIOLA, edito da Alberto Mora.no, in Napoli (L. 19). Ne diamo il sommario: Irrtroduzicne;, I. L'uomo Voltaire; II. L'espe– rienza inglese di Voltaire; III. Il superainento della Metafisica; lV. L'antichità; V. La satira della civiltà; VI. Voltaire e il socialismo fran– cese del secol-0 xvm; VII. Tolleran?a. Appen– dice: Umanitarismo; VIH. Il significato storico e l'eredità della filosofia della liberazioll'e; IX. Voltaire agli italiani. - Conclusione.

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