Critica Sociale - XXX - n. 24 - 16-31 dicembre 1920

CRITICA SOOIALB 371 111ciascuno Stato poi il proletariato assume qu;mto più può del potere politico per volgerlo a sollievo della propria classe e ad abbattere le classi irriduci– bilmente nemiche. Per questa nostra visione, che sale dalla realtà dolorante èlelle cose, i comunisti moscoviti doman– dano la nostra testa di traditori del proletariato e della rivoluzione. Può darsi che l'ottengano. Noi siamo tali traditori che, per salvare la nostra testa, ,non ci sen– tiamo di nascondere ciò che vi bolle dentro, di velare i! nostro pensiero. Ma come la rivoluzione non è un fine, ma solo un mezzo, essi stessi sono in mora di dimostrare the col mezzo della rivoluzione hanno raggiunto -il fine del Comunismo. Ora è proprio questa dimostrazione che sfugge loro. I loro discepoli possono esaltare lo spirito di violenza, fino a far vedere al proletariato ab– bagliato la rivoluzione come fine a se stessa, e con ciò vengono a confondersi con i rivoluzionari di ogni stile e scuola ; ma non possono dare la dimostrazione della equivalen~a, anzi dell'identità dei termini : Rivoluzione e Comunismo, onde « fare la rivoluzione n sia un tuttuno con « fare il Comunismo». Vna volta che tal dimostrazione è fallita nello stesso fatto della Rus– sia, che introduce il capitalismo dopo averlo cac– ciato, il Socialismo riprende tutti i diritti per la sua dottrina di libertà, di gradualità, e di universalità e di rispetto a tutte le varietà politiche dei partiti so– cialisti che contribuiscono a formare- l'intesa interna– zionale dei lavoratori, mediante la conquista di eia- . scuno Stato nazionale, in ragione del loro numero, in ragione della loro forza. Cosi la lotta si istituisce .fra Socialismo e impe– rialismo: l'imperialismo che mantiene ed acuisce tutti i fattori della crisi in 'cui si disfà il mondo, e l'U– manità, il Socialismo che urge tutti i fattori della risurrezione, demolendo e costruendo con simulta– neità di sforzo e di ideale. In tale lotta il Socialismo non può dividersi, non può frazionarsi, non può ostra– cizzare, perchè ha da mantenere, innanzi tutto, l'u– nità della propria base, il proletariato, da cui trae· tutta la sua ragione di essere. Perciò in Italia e nel mondo, nella grande crisi che batte alle porte di tutti i Congressi socialisti, noi ci presentiamo come uni– tari. A Mosca sono padroni di credery nelle pure élite-s comuniste, che fanno la rivoluzione, e chiedere per queste l'isolamento da ogni contatto della lebbra ,, socialdemocratica n (lebbra, di cui il più grande dif– fusore è stato Carlo Marx e tutta la « Santa Fami– glia»!). Noi abbiamo del Socialismo un concetto cosi classista, che esclude le élites prerivoluzionarie, come le oligarchie postrivoluzionarie, feudalizzanti la rivo– luzione - di cui il pericolo non è un fantasma, nep– pure nella Mecca comunista, se ciò che ci narrano tanti pellegrini risponde al vero. Il Socialismo è uni– tario - della classe lavoratrice - per una ragione di vita. Uno dei segni maggiori della crisi del dopo– guerra è la tendenza generale a contrapporre gli ope– rai e i contadini. La rivoluzione violenta per l'espro– priazione capitalistica non placa il fenomeno, perchè per sua natura non riesce che industriale e urbana, e però viene a urtare contro · i contadini e le cam– pagne, cui deve imperiosamente imporsi. Il Socia– lismo invece penetra e plasma, nelle trasformazioni successive e progressive dello Stato conquistato da tutto il proletariato, le due grandi categorie sorelle ' e nemiche che esso viene, conciliandol'una all'altra, ,, libteca Gino Bianco progressivamente, col suo metodo di educazione e di or;ganizzazione tecnica, in cui si foggia la solidarietà indistruttibile dello scambio naturale tra i prodotti della terra e i prodotti della fabbrica. II Socialismo non dà l'ostracismo neppure al Co– munismo come idea dinamica, ma chiede l'armonia (megHo che la disciplina) di ogni azione. Esso -racco– glie gli spasimi di tutti i 1 sofferenti, ne fa una forza di accusa, un piano di liberazione che poggia sulla realtà e guarda all'ideale. Esso conosce i suoi osta– coli : la disperata cooperazione di tutti i responsabili della guerra imperialista, i persistenti furori bellici che idealizzano la violenza ed il sangue. Ma non abdica, non cede alla voga \!elle nuove dottrine, che vogliono prenderne il posto nel cuore delle masse. E vincerà ... CLAUDIO TREVES. IL CONGRESSO DELLA LUCE Credo_ che gli ultimi dibattiti internazionali, e specialmente la polemica del .compagno Serrati coi dittatori di Mosca, vadano diffondendo rapidamen– te nel Partito, fra i lavoratori, il desiderio della verità, la nostalgia della luce. Era avvenuto nel nostro Partito come nello Sta– to borghese. La situazione di guerra, con tutte le sue limitazioni, con la censura,· coi bollettini uffi– ciali, con la stampa ufficiosa, con l' « imbottimento dei crani», con la occultazione della realtà, si· ri– produceva un poco in seno al Socialismo, in perio– do rivoluzionario, per le analogie che vi sono fra guerra e rivoluzione, e per la identità di necessità che esse impongono a chi le prepara o le conduce. Si può amare o non amare i regimi di violenza, si può avversarli anche per questa menomazione che essi pongono al libero esame, alla libera cri– tica, alla autonomia dello spirito umano, ma non si può non riconoscere che l' « azione » è incom– patibile con la «discussione», e che un· tanto di tenebra è indispensabile a tutti i condottieri di masse per trascinarle o spingèrle a proprio ta– lento. Però, se è vero che sono compiuti or ora due anni dacchè la Direzione del Partito proclamò il proprio programma rivoluzionario, è anche vero che l'attuazione, per circostanze diverse, non ven– ne, e che perciò quello che poteva considerarsi un periodo di « azione virtuale » - in quanto essa era stata decisa, e solo si attendeva il momento per iniziarla - prolungandosi indefinitamente, è caduto in prescrizione, e la gente chiede se non possa esserlfu levata di dosso la « bardatura » di rivoluzione, affinchè essa sia in grado di riesami– nare la faccenda con più pacato esame e con nuovi elementi. La suggestione russa - non dell'augurale pas– sione per la Russia, ma della meccanica « imitazio– ne » della Russia - ha avuto un colpo formida– bile. Il senso comune, sposandosi al sentimento di dignità e di libertà, ha suscitato una reazione con– tro certe imposizioni assurde e irritanti. Quando poi s'è constatato che i dittatori di Mo– sca giudicavano e condannavano in base a una co– noscenza così precisa di casa nostra,. che confon– devano Turati con Bissolati e equiparavano i so-

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