Critica Sociale - Anno XXV - n.20 - 16-31 ottobre 1915

306 CRITICA SOCIALE giche. Erano vocì italian~ quelle che proditoria– mente chiedevano notizie ai nostri pescatori prima che volassero le bombe austriache sopra la città dorica. Sulla nave, in caserma, il marinaio ed il soidato non sono che il soldato e il mari– naio. La razza, la lingua, la confessione religiosa, politica, sociale scompaiono, vaniscono davanti al dogma obbligante della obbedienza. · Come lo Stato ha dato il fucile al soldato, può essere sicuro che il soldato sparerà quando e nella direzione che gli sarà comandato. Anche i contadini bulg·ari, che recano in cuore l' immagine dello ·za1· liberatore, che parlano lo stesso idioma dei fratelli russi, e pregano davanti alle stesse icone, mentre non intendono una pa– rola di tedesco, marceranno e spareranno sopra i russi, quando gli_elo comanrierà un ufficiale te– desco, sotto gli ordini del quale saranno messi. La crisi della crisi iniziatasi con la nuova guerra balcanica mostra appunto, che tanto è sicuro lo Stato sui propri fondamenti quanto è incerta, oscillante, senza guida e senza criterio la sua azione esterna. Ma il dominio dello Stato su se stesso è innegabile. Non un accenno di ·ri– volta. Lo Stato ha plasmato tutte le volontà, le ha fuse in uno stesso obiettivo, la vittoria. Il più democratico degli Stati moderni è più forte dei più forti Imperi assoluti dell'antichità. Esso -vince l'omaggio di tutti. I liberali individualisti della scuola classica inglese presentivano forse questo fatto, deprecandolo in nome della libertà, quando, instancabilmente, si opponevano ad ogni allargamento di funzioni dello Stato; restasse lo Stato un organo esclusivo di difesa militare e giudiziaria ed un organo di presa fiscale. Ogni altra funzione economica, civile, commerciale gli fosse contesa, poichè con quella legata a sè un numero sempre più grande di uomini che diven– tavano suoi strumenti, suoi vassalli. Ma i liberali individualisti non vedevano dove volgeva la loro utopia, non vedevano il moto capitalistico, la libertà dell'individuo che diventava il m,onopolio dell'individuo e la schiavitù della collettività. Schiavitù per schiavitù, meglio la schiavitù co– mune nello Stato, se la collettività può aspirare a temperarla con l'esercizio diretto del potere politico. Così si creò dalla democrazia la forza coesiva dello· Stato, la sua onnipotenza, la sua formidabilità a resistere, col concorso del sangue e del danaro di tutti, ad ogni assalto esteriore. · Chi sa se ciò è bene o è male? Est. Forse non potrebbe non essere, e se è, perchè non dirlo? Nello Stato è una volontà di vita e di dominio che si afforza di un consenso, di cui la coercizione per violenza. compare in misura infinitamente minore . della coercizione per suggestione, per persuasione. Lo Stato non comanda soltanto, in– duce a cred.ere.- Nelle grandi ore - quando mette in opera tutti i suoi mezzi, fisici e morali... ed immorali, rinforzando di gran lena l'opera quo– tidiana di propaganda della scuola, della lettera– tura, della stampa, ecc., ed eliminando violente– mente ogni notizia e sperienza contraria al suo -interesse o volere - pu6 veramente tutto. Verrà mai il dì che sapremo esattamente, in che modo lo Stato germanico riuscì -a indurre i socialisti il 4 di agosto 1914 a votare i crediti di· guerra? Di qui, da questa solidità ed onnipotenza dello Stato sorge l'imperativo categorico delle classi: conquistare il Governo, ossia conquistare dal suo interno l.o Stato per foggiarlo il più che sia pos– sibile a seconda dei propri interessi e dei propri sentimenti. Quelli dei nostri compagni che hanno farneticato di una u rivoluzione ,, portata dalla guerra - dall'esterno, cioè - dovrebbero ora essere Biblioteca Gino Bianco prossimi a rischiararsi. Gli Stati ·_sìsono straziati ed hanno straziato le genti; ma di ·essi nessuno che accenni a sparire; anzi, come e11tità _politica ogni Stato datlo sforzo immanè compiuto accenna a uscire concettualmente fortificato, fortificando in pari tempo. con sè i ceti che al tempo della crisi vi sono dominanti. La " rivoluzione ,,, in– ·tendendo con questa parola l'auspicato rivolgi-' mento, in sen·so dell'eguaglianza, delle posizioni rispettive di potere economico e politico delle classi nello Stato, non appare come il portato di una esterna e metafisica abolizione dello Stato, ma· come il portato di un concreto favoro·interno di conquista, di successione o sostituzione nel potere dello Stato. Quando le classi più oppresse dentro dello Stato risolvettero di servirsi dei po- . teri dello Stato per la trasformazione dello Stato stesso da strumento di oppressione, in strumento di miglioramento e di emancipazione di classe, rinunziarono praticamente ad abbatte1·e- lo Stato e con ciò stesso lo Stato cominciò a diventare una Potenza quasi inespugnabile dall'esterno, per mezzo della guerra. Ecco il succo di tanta vana declamazione pro o contro lo sciopero generale in caso di guerra. Troppi e sempre crescenti sono gli interessi legati al.J.a conservazione dello Stato ·morforno, perchè esso possa essere abbandonato dai cittadini alla invasione del nemico. Troppe, d'altra parte, sono le energie coalizzate alla re– sistenza e troppo strabocchevole è il numero dei combattenti e la potenza degli apparecchi di di– fesa e di distruzione che può schierare lo Stato moderno perchè l'invasione possa arrivare a schiac– cia1•e il· vinto: cosicchè, malgrado la distruttività della guerra, o forse -- ci si perdoni il paradosso. - a cagione di essa, la guerra sembra sempre più inetta a dare risultati così positivameqte vantag– giosi in favore di· uno Stato da compensare i sacrifizi che domanda, i quali appena si riterreb– bero compensati dalla sparizione dello.Stato nemico. Il perchè, se lo Stato moderno non si abbatte per cospirazioni dall' interno e nemmeno si ab– batte per furia di guerra dall'esterno, tale è la . sua forza vitale formataisi dall'intensità dei rap– porti individuali e collettivi, che in quello si substahziano, sapienza è dentro di ciascuno Stato sommettere sempre più i poteri dello Stato alla volontà delle masse, sottraendoli alle oligarchie, e, per quello che è la vita esteriore degli Stati, giova affrettarsi ad organizzare la loro coesistenza, i loro rapporti di società. Ora se dalla guerra uscirà una prova di più che essa non ripaga nem– meno il vincitore dei sacrifizi compiuti, e che non c'è così potente ed insolente imperialismo che possa lusingarsi di_ u soffiar via ,, gli Stati che l'imbarazzano, tanta è la loro intrinseca vi– talità e tali i soccorsi solidali che necessariamente essi trov_ano all'interno ed all'esterno, lecito è sperare che queste espressioni, la convivenza de– gli Stati, la società degli Stati, il codice degli Stati, che oggi fanno sorridere c.ome ingenue pastorel– lerie pacificiste, siano per diventare· banali verità della vita prati-ca - non diversamente da ciò che oggi è per noi la legge che ha ridotto a vivere in pace feconda e sicura, tra loro, i no– stri Comuni e le nostre Provincie. o che ha con– federato tre razze, tre popoli, tre· lingue in ima piccola, grande repubblica, la Svizzera. E così sarà salva la varietà, l'autonomia, la indipendenza degli Stati e la pace. E se no, sarà la guerra in permanenza; iii. un ritmo sempre più rapido di offese e di rappresaglie in fondo al quale si pro– filerà erta sopra la schiavitù di tutti l'orrida ti- rannia di Uno. · CLAUDIO TREVES.

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