Critica Sociale - Anno XXV - n. 14 - 16-31 luglio 1915

CRITICA SOCIALE 215 allontani se anche non ne consulta ogni momento i volunii, chè - se ha intelletto e coscienza e solidi studì - egli l'ha fatta sua, l' ha nel sangue, e ne ri- . cava, a volta a volta, un succo vitale per il suo caso contingente, e per il fine costante di ridar la salute. Onde la pratica è la sintesi, non l'antitesi, della dot– trina. · Ma, mentre il Partito - cioè i Circoli, i compagni, gli aventi cariche, gli organizzatori - fanno quest'opera, la Direzione del Partito la seconda, 'la guida, la in– frena. La biasimerà se eccede e sconfina (colpa nostra se v'è chi non sa tener misura e avere quel senso e direi quel buon gusto della f01·ma, che, a certi mo– menti e in certe condizioni, ha tanto valore di sostanza, ossia è, politicamente, tutt'uno con essa); avrà l'aria di tolle1·a1·la più che di ammetterla e incoraggiarla. Ma intanto dovrà seguirci, ossia, non seguir noi, ma la necessità, la realtà; e questa partecipazione di tutti ·a una determinata opera, in un'ora saliente, sarà un elemento, non di sottile abilità, ma di chiara e onesta persuasione, per quella maggior unificazione del Par– tito, che io vagheggio e a cui porto il mio sassolino di forse ingenua ma certo schietta franchezza. .Amico Treves, io potrò dividere almeno con te questa lode - in tema di abilità machiavellica: che i nostri tenebrosi piani.... li andiamo raccontando prima al "nemico,,! - Dobbiamo, possiamo agire, noi, m questa contin– genza, accanto agli altri, senza snaturarci ed arren- derci? - . Questo il problema, che ricade entro l'antico dibat– tito: lotta di classe, collaborazione di classe, intransi– genza, dedizione, ecc. Lasciamo da parte l'obbiezione prima e più sempli– cista e d'impulso, che E!igenera da quel tal fatto di capovolgimento .... con effetto di capogiro, cui accennai sulla fine del precedente mi.o articolo. - Fino a ieri fummo contrari: oggi andiamo con gli altri? Non è incoerenza? Non è capitolazione? - Così osserva lo spirito assoluto, unilaterale, che non comprende più di una idea per volta, e non arriva a concepire la complessità d'una situazione in cui, ac– canto alla principale, v'è la subordinata; che è pronto a imputare a noi la incoerenza e l'assurdo d'una con– dizione, che è essa assurda, e che noi non abbiamo creato ma dobbiamo subire. E lasciamo da parte le irritazioni, spiegabilissime, destate dagli eventi: la corsa al pessilnismo superato, al " tanto peggio tanto meglio ,, e agli altri atti di di– sperata negaziane, di blioncio infecondo, ed iroso; per cui anche gli ad·ulti, in certi momenti, somigliano ai ra– gazzi quando buttan via tutto per dispetto, rifiutano ogni cosa, e si mettono da sè, come in castigo, in un canto: la stramba e comica facilità con cui ogni azione, ogni gesto, mirante a sanare gli effetti, pare adesione alla causa; con cui si confonde il fatto e il suo rimedio, col giudizio politico di esso, e si teme ogni contatto e ogni contaminazione con superstizioso terrore. Guardiamo la media sensata e ragionante del Partito, quella che, pur ammettendo che noi non ce ne dob– biamo stare in disparte, parla però della nostra azione come di una collaborazione che si deve aceettare per forza di casi, ma invito animo. Ebbene, io dico che qui c'è equivoco, che si mette a fascio la forma con la sostanza, la superficie dei moltiplicati contatti con gente dell'altra riva, con il contenuto di un'opera che è pre– valentemente nostra, che è tanto più vittoriosamente nostra, quando son gli avversari che si piegano a riconoscerla e ad invocarla. Che è infatti questo insorgere di quasi tutti contro la speculazione, per l'intervento statale, per le opere municipali che ci salvino dalle unghie rapaci d,el li- jbriotecaGino ·sianco bero commercio? Che è questo gridare al ladro, con cui la società denuncia ai gendarlni se medesima? Non è confessione di fallimento individualista, non è bancarotta dichiarata di regime borghese, non è campo in cui noi· abbjamo da mietere non solo le teo– riche soddisfazioni della ragione rivendicata, ma l'oc– casione di un vasto lavoro, perchè ~i faccia sul serio 1 perchè si ardisca davvero? Oh, nel campo politico la guerra (a parte la inevita– bile stasi al Partito propriament~ detto) ci deprime perchè avvalora la nazione contro la classe, la unani– Inità contro la lotta. Ma nel cam·po economico, larga, mente inteso come la grande contesa tra chi· possiede il grano e chi mangia il pane, tra chi ha e chi non ha, tra produttore e consumatore (chè è qui dove il dramma sociale è più vasto e abbr!!,CCiascena ed attori di più) quale rivincita per noi, quanta materia di azione, fin dove si può, e di propaganda per oggi e per domani, quando la dura legge degli interessi dominanti arresta le buone intenzioni dei riformatori improvvisati! Sarò ottimista, ma io non vedo capitolazioni in n~i; quando, partecipando all'opera di assistenza civile, af– ferlniamo e cerchiamo applicare, con l'adesioue e tal• volta con l'impulso degli alt-ri, quelle che son le no– stre antiche e sempre propugnate dottrine. Nè per ciò prendo troppo alla lettera quel che fu detto già il " socialismo di guerra ,,, quell'insieme di proposte e di provvedimenti, spesso incoerenti ed em– pirici, con cui la società cerca attenuare i mali della sua costituzione che, infesti ai più deboli in pace, si palesano oggi dannosi pressochè a tutti. Ma dico che, entro questo caotico ribollire di progetti e di opere,· del da fare -per noi ce· n'è, a saperlo e volerlo con onesta accortezza e _attiva energia. C'è da fare opera specificamente nostra: da porre il suggello socialista a un'azione che, abbandonata a se stessa e alle viete forme onde suol praticarla la borghesia, non esce dalla solita filantropia incivile e infeconda .. C'è da fare opera, anzi lotta, di classe (già lo di– cemmo) contro la rapacità speculatrice; ma c'è da fare opera di assistenza moderna, efficace, educatrice; da spiegare criteri nuovi, nostri, da segnare indirizzi po– litici, da esercitar freni e controcorrenti benefiche, anche in questo campo. Di fronte alla beneficenza che soccorre e sussidia, devesi affermare l'assistenza che aiuta a difendersi, che porge la mano perchè l'indigente si rialzi e cam– Inini poi con le proprie forze; che mette in moto e in valore tutte le energie. Se, nelle catastrofi improvvise, la beneficenza è indi– spensabile nella prima fase (e quivi pure è bene che sia seguita il più presto possibile dall'assistenza, che riordina, incuora, richiama al lavoro e alla vita le po– polazioni), in un evento preveduto e preparato, come la guerra, è la assistenza che deve prevalere; l'assi, stenza che consenta il massimo di continuità alla vita civile. Un malinteso entusiasmo (cui non è estraneo l'ele• mento politico della preconcetta infatuazione guerresca) spinge invece molti a credere che, quaJ!do una nazione è in guerra, tutto deve sospendersi e trascurarsi, per dedicare e sacrificare ogni energia allo sforzo militare. Con ciò, si paralizza la vita civile, e si compromette, a breve scadenza, l'azione bellica. Una nazione bene organizzata e bene ordinata deve sapere affrontare la guerra, provvedendo con mezzi straordinari ai bisogni straordinar4 e turbando il meno possibile la vita ordinaria, anzi cercando di accelerarne il ritmo e di intensificarne l'operosità feconda, in quelle parti (si capisce) dove la realtà lo consente e il cre– sciuto bisogno lo esige. Ognun sa che certi ram.i di commercio o d'industria sono naturalmente, inevitabil– mente arrestati o depressi dalla. guerra: e sarebbe

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