Critica Sociale - Anno XXIV - n.14 - 16-31 luglio 1914

CllltìCA Sù"ClAtE Ma gioverà riassumere un po' meno fuggevolmente il dotto articolo. Si è sempre detto, dai partiti d'opposizione, che il ·Governo aveva il torto di non valersi, contro le risor– genti associazioni religiose, delle poderose armi che gli forniva la legge del 7 luglio 1866, la quale conteneva, nel suo 1 ° articolo, una duplice disposizione: 1) ordi– nando il disconoscimento degli Ordini religiosi (" Non sono più ricono,sciuti nello Stato gli Ordini, le corporazioni e le congregazioni religiose regolari e secolari, ed i conservatorii e ritiri, i quali importino vita comune ed abbiano carattere ecclesiastico,,); 2) sopprimendo le loro case (" Le case e gli stabilimenti appartenenti agli Or– dini, alle corporazioni, alle congregazioni e ritiri anzi– detti sono soppressi .). Mentre la precedente legge, del · 29 maggio 1855, sarebbe stata molto più moderata, limi– tandosi a togliere la qualità di enti morali alle case di determinati Ordini religiosi, ma consentendo che i mem– bri di queste continuassero a con vi vere nei chiostri e costituissero associazioni regolate dai loro statuti: "<:es– sano di esistere - diceva quella legge - quali enti morali riconosciuti dalla legge ·civile, le case poste nello Stato degli Ordini religiosi, i quali non attendono alla predicazione, all'educazione od all'assistenza degli infermi,,. Il Governo, s'impersonasse in Nicotera o in Orlando, in Di Rudinì o in Giolitti· - non dimentichial)'.lo che quest'ultimo, rimpicciolendo le questioni, com'è suo costume, riduceva il problema politico dell'esodo delle congregazioni francesi in Italia ad una modesta faccen– duola amministrativa, all'espulsione eventuale di stra- ! nieri molesti all'ordine pubblico! - il Governo, diciamo; che ha ~empre cercato di evitare il fastidioso argomento e non ha ancora avuto il coraggio di proporre una nuova legge, si è certamente· difeso dall'accusa di in.azione, osservando che le leggi vigenti non davano alcun'arma per colpire il rifiorire della vita monastica, pcichè la legge del '66 ha semplicemente tolto la personalità giu– ridica alle corporazioni e non ha affatto limitato il di– ritto di associazione dei religiosi. Ed anche i migliori giuristi, che hanno studiato la questione ·dal lato tec– nico, pur ammettendo che il primo articolo della legge del '66 poteva fornire argomenti alla tesi avversaria, hanno finito per dire che l'interpretazionll del Governo era la giusta, sicchè, se pure in forma oscura ed am– bigua, il legislatore del '66 non aveva fatto altro che ripetere quanto, con maggiore modestia e schiettezza, aveva disposto quello del" '55. Entramhe le tesi - tanto, per dir così, quella di tutti i Governi, quanto quella di tutte le opposìzioni - van– -tano illustri genitori, poichè la tesi. ... governati va risale a Ruggero Bonghi, l'altra a Pasquale Stanislao Mancini. Il primo, fin da un vecchio articolo della Nuov,1. An– tologia, istituiva il famoso confronto fra le due leggi del '55 e del '66, nel quale scapita il legislatore più recente; ed il confronto e la critica si arricchiscono di nuovi argomenti nelle classiche note del Ruffini al Trattato del Friedberg, e, di là, passano in tutti gli scritti giuridici in materia fino al recentissimo Manuale dello Schiappoli. · Il Mancini, che già nel 1867, in Parlamento, pur riaf– fermando il diritto di associazione per tutti gli appar– tenenti alla chiesa, diceva di non voler pregiudicare la questione del pericolo della ricostituzione delle associa– zioni soppresse, e nel 1873 ripeteva le sue riserve su la pretesa illimitata libertà delle associazioni monastiche, senza carattere di corpi mora)i e senza personalità ci- Bib1iotecaGino Bianco vile, e sosteneva esservi profonda differenza fra le due leggi del '55 e del '66, conchiudendo, però, che il que– sito doveva profondamente discutersi non allora, ma quando ne sorgesse il bisogno - il Mancini, diciamo, divenuto guardasigilli, si limitò ad imperversare con furor d'inchiostri contro le fraterie in una circolare riservata, in verità alquanto grottesca, in cui si invi– tavano i prefetti a vigilare perchè la legge di soppres– sione non fosse elusa e le infrazioni eventuali fossero denunciate all'autorità giudiziaria per gli opportuni provvedimenti. Sa il Grande Architetto dell'Universo, forse - noi non lo sappiamo di sicuro - sotto quale titolo di reato potesser9 cadere le dette infrazioni! In un_a posteriore circolare il Mancini. temperava i suoi ardori e parlava semplicemente di inchiesti>, invitando prefetti ed intendenti di finanza a raccogliere informa– zioni intorno alle comunità religiose nuovamente rico– stituite senza i caratteri di corpo morale. Le prudenti riserve del Mancini, che, quando fu sa– lito al potere e messo in grado di applicare la legge, si vide sfuggir di mano gli auspicati strali, sono fa– cilmente e leggermente sorpassate dagli anticlericali odierni, che trovano di una semplicità, pari soltanto a quella della loro logica, la legge del '66 e imputano tutti, o almeno la maggior parte dei malanni d'Italia - sono mattacchioni questi Sinistri! - alla viltà dei go– vernanti" e dei magistrati, che non la sanno o non la vogliono applicare. Arrivato a questo punto del suo preciso studio, che noi abbiamo cercato_ di riassumere il più chiaral!).ente e brevemente possibile, il prof. Falco si domanda: quale delle due parti è nel vero? E risponde, testualmente, cosi: "Riguardo alla con– clusione pratica, indubitabilmente i propugnatori della tesi liberale. :Ma riguardo alla interpretazione· letterale del primo articolo della legge e alla sua relazione con quello della legge precedente, essi sono tanto in errore quanto i loro avver$ari, e, come questi a torto invocano la cruda statuizione del legislatore, che volle" ;oppressi,, i conventi, èosì .quelli senza ragione cercano di elimi– narla, dichiar-andola oscura e contraddittoria ,,. Dopo ciò, il Falco si accinge a tracciare quella storia costituzionale del primo articolo della legge del '66, che il Ruffini augurava già da qualche auno che si facesse e dal\a quale egli confidava sarebbe venuta luce per l'interpretazione del tormentato e tormentoso testo. Che l'illustre Maestro dell'Ateneo torinese, così opinando, ben si- apponesse, è limpidamente dimostrato dallo studio di questo suo chiaro discepolo. Il quale, a traverso una concisa, ma evidente critica di alcune disposizioni della legge del '55 e della sua applicazione giurisprudenziale, ed un'acuta disamina dei succe~si vi progetti di legge e delltt relazioni par– lamentari, mostra come il primo articolo della legge del '66 sia volutamente diverso, nella sua duplice pis– posizione, dall'unica disposizione della legge del '55. Il legislatore del '66 ha volnto dire, ed ha detto, questo, e soltanto questo: in primo luogo, a mente del dogma della separazione dello Stato dalla Chiesa, io più non riconosco come istituti di diritto pubblico gli Or– dini religioRi, e cioè per il diritto pubblico italiano non · esistono Ordini, generali, abati, professi, novizi, ecc. ecc.; in secondo luogo, disconosciuta la qualità di ente mo– rale dell'Ordine, io sopprimo le case che fino· a questo momento gli appartenevano, che erano cioè gli organi, forniti per lo più anch'essi di personalità giuridica,

RkJQdWJsaXNoZXIy